L’ULTIMO RIGORE TIRATO E SEGNATO DA PIERGIORGIO PULIXI E’ “L’ISOLA DELLE ANIME”: LA PAURA VIBRA QUANDO SI SCENDE NEGLI INFERNI DELL’ANIMO UMANO

ph: Piergiorgio Pulixi
di PIER BRUNO COSSO

“Dei cinque poliziotti assegnati nel tempo all’omicidio di Dolores Murgia, sono l’unica ancora in vita. Ho perso quattro colleghi, quattro amici. Alcuni dicevano che quel caso fosse disgraziato. Che tutti noi avremmo fatto meglio a dimenticarcene, a lasciarlo irrisolto. A furia di scavare, invece, avevamo risvegliato sas animas malas, gli spiriti malvagi, e il buio ci aveva investiti tutti, uno dopo l’altro. Come una maledizione.”

L’incipit mi sorprende come l’improvviso schiaffetto di un caro amico. Lo rileggo per essere sicuro, ma è così.

Ammiro il gusto spericolato di spifferare nella prima riga come finisce il tutto. È indice di una grande sicurezza, di una trama talmente solida che è certo che terrà comunque il lettore avvinghiato alle pagine. Come il calciatore che deve tirare il rigore e dice al portiere: «Te lo mando in basso a destra!», che poi lo spara davvero in basso a destra e fa goal.

Ecco, Piergiorgio Pulixi fa goal. Ti dice dove tira l’ultima pallonata, ti incanta per quattrocento quattrocentoquarantacinque pagine, e alla fine va in rete come aveva detto.

È tutto nel tessuto narrativo. E ti chiedi se il giallo in generale, e il noir in particolare debbano iniziare ed esaurirsi solo con la trama.

In realtà io mi avvicino al noir sempre con un certo sospetto. Sospetto che, nell’eterno dualismo tra scrittura e struttura di ogni libro, quelli che scavano tra le ombre più oscure dei delitti debbano essere sostenuti per forza da uno stile funzionale e asciutto, legato ai ritmi serrati delle indagini.

Invece Pulixi, nel suo ultimo “L’isola delle anime” (Rizzoli), abbatte con leggerezza questo muro, componendo un noir molto ben strutturato con una scrittura assolutamente godibile. Una cifra alta che si sa esprimere, anche nelle fasi più dure e concitate, con spessore, con visioni poetiche, con metafore che accendono immagini.

L’azione fa perno sulla questura di Cagliari, dove viene istituita la sezione dei Delitti insoluti. Una sorta di cimitero degli elefanti dove sbattere gli agenti per punizione. Qui si trovano due ispettrici di polizia, due prime donne, in difficile convivenza. Mara, di Cagliari, sarda in ogni molecola del suo carattere, vessata dalle alte sfere del suo ufficio. Ed Eva, il suo controcanto, sbattuta in Sardegna da Milano per un vissuto professionale e personale tutt’altro che limpido.

Le due devono risolvere almeno due omicidi, ma potrebbero essere di più, avvenuti negli anni ’70 e ’80, di giovani donne rimaste ancora senza identità. I delitti, e questo è caratterizzante, sono stati commessi in siti archeologici avvolti nella magia, con una identica, crudele liturgia.

Contemporaneamente nelle zone più impervie e selvagge dalla Sardegna si srotolano le drammatiche vicende della famiglia Ladu, che vive, come un’isola dentro isola, in un’epoca tutta sua con i tratti somatici del medioevo.

Piergiorgio Pulixi, che ha sempre la sua terra nel sangue, spiega molto bene questo concetto: “La Sardegna non è un’isola. È un arcipelago di tante isolette separate non dal mare, ma da lingue di terra. Alcune sono così piccole da essere atolli, ma ognuna ha un’identità propria. Spesso anche una lingua e delle usanze differenti. E i confini che le separano sono invisibili all’occhio umano. Perlomeno, per chi non è del luogo. Per tutti gli altri sono ben percettibili perché tracciati col sangue in tempi immemori”.

Le indagini delle due poliziotte e la storia della famiglia Ladu procedono su piani paralleli, facendo capire fin da subito che ci potrebbe essere una connessione, ma non un incrocio.

L’autore è molto bravo nel coordinare questo continuo cambio di angolo di visuale della narrazione.Quasi una telecamera che riesce a seguire più azioni scollegate, ma tenute insieme solo dalla contemporaneità dei tempi.

Non c’è frattura. Si viaggia da un ambiente all’altro senza scossoni, come un panorama che cambia nel finestrino della macchina. Aspettando un compimento. Attesa che aggiunge sapientemente tensione narrativa.

In mezzo a tutto questo c’è la Sardegna. Una Sardegna insolita, con angoli sconosciuti, siti archeologici reali, e le montagne più intime dell’inviolabile entroterra. E proprio in questi ambienti, a proposito della famiglia Ladu, che l’autore racconta, senza reticenze, di superstizioni e tradizioni millenarie che sembrano provenire da un’altra epoca, e che non si sa se ancora sopravvivano realmente in qualche sacca. Fa male, da sardi, vedere descritta questa cultura così abbarbicata e quasi ottusa. Però, magari, il dolore era proprio quello che si cercava. Ma, attenzione, non è un mondo alla deriva, anacronistico. Forse è un mondo ripiegato su se stesso per non subire contaminazioni; che è un’altra fobia con cui si deve fare i conti. L’autore non ritaglia giudizi, racconta di un radicamento socio culturale,con dei valori arcaici, ma ancora attuali, almeno nella loro più intima essenza.

Piergiorgio Pulixi interpreta anche così la sua Sardegna, e l’amore per la sua terra. Lo descrive persino nel silenzio. Anzi qui si dà voce al silenzio, una sublime voce suadente del silenzio: “In Sardegna il silenzio è quasi una religione. L’isola è composta da infinite distanze e silenzi ancestrali che hanno qualcosa di sacro. Pervadono tutto: le colline di macchia mediterranea che si stagliano fino all’orizzonte, le distese a perdifiato di grano, le piante rivestite di cisto, lentischio, mirto e corbezzolo che saturano l’aria di profumi inebrianti; le montagne che si ergono timide verso il cielo, quasi che paventassero di dissacrarlo”.

Ma nel libro la Sardegna è anche mare. Però non è mai il mare delle affollate spiagge alla moda. È il mare che bagna la terra, il mare come elemento di vita o di rinascita; come la nostra tipica inondazione luce, che è un altro mare: “Fu camminando a piedi nudi lungo la spiaggia del Poetto che Eva Croce scoprì che Cagliari possedeva due mari. Il primo lo aveva davanti a sé: era un’infinita distesa d’acqua, mansueta per essere un giorno di fine ottobre. Il secondo aveva una liquidità completamente diversa: era un mare di luce. Una luminosità morbida, di una dolcezza materna, che si riversava impetuosa su tutta la città, scorrendo fin nei suoi più reconditi anfratti”.

Ed è proprio Eva, la poliziotta catapultata da Milano, che scopre la Sardegna che può salvare. Perché forse, sembra suggerirci l’autore, l’isola è una zona del nostro animo. Una zona da scoprire, e che se gli dai voce, ti può salvare.

Perché alla fine tutti i personaggi, quelli buoni che patiscono, o quelli neri che uccidono, cercano solo una via di salvezza. Cercano di sintonizzarsi con quella parte della loro anima che è un’isola, la sola che ti può dare pace.

Quindi, accogliendo l’invito di Pulixi, il lettore perde qualunque distanza tra lui e le pagine investendoci tutta la sua gamma di emozioni, per scoprire qualcosa che è nel libro, ma che è dentro di te.

Si toccano tutte le corde: senti la paura vibrare quando si scende negli inferni dell’animo umano;percepisci la stessa rabbia delle protagoniste, che devono fare pace con un passato difficile; e poi ti lasci sorridere insieme ai personaggi disegnati con un carico di simpatia grande così.

Ma il sorriso dura poco perché subito l’autore cambia ambientazione e ti senti precipitare. Sono le sensazioni che ti contaminano, che ti emozionano, che ti portano in alto e in basso. L’editore dovrebbe scriverlo nelle avvertenze: “attenzione, “L’isola delle anime” può dare emozioni.”

Un libro nel libro sembrano invece le due agenti, Eva e Mara, che rappresentano un dualismo opposto e irrisolvibile. Una chiara, una è oscura, una è elegante, una è metallara, una è diretta e sprezzante, l’altra è sottile e cerebrale. Due personaggi opposti, ognuna coi suoi demoni, complementari e combacianti negli estremi. Così diverse che forse qualcuno potrebbe dire che la risultante delle due potrebbe essere la donna ideale. No! Errore madornale. Non fate l’errore di miscelarle. Perché ognuna delle due è già una donna ideale, col suo fascino, con la sua faticosissima ricerca della salvezza. Con quella sofferenza dentro gli occhi, per aver fatto a pugni con la vita. Lasciatevi innamorare di loro, danno energia vitale.

Direi quasi che le due protagoniste sono così belle e così ben disegnate che valgono di per sé il libro intero. Anche se non conducessero l’indagine, anche se non facessero niente, reggerebbero benissimo da sole le quattrocento quarantacinque pagine.

Così quando chiudo il libro, ripensando con piacere a tutta la bellissima avventura che abbiamo passato insieme, mi rimane solo un leggero rammarico: aver lasciato troppo presto le due nuove amiche. Anzi no, perché a costo di sembrare temerario, chiederò a nome di tutti a Piergiorgio Pulixi (che mi maledirà per questo, ne sono certo) di rimetterle pericolosamente insieme per una prossima indagine.

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