di DARIO DESSI'
Nel mese di giugno del 1940 erano presenti in Sardegna un centinaio di bombardieri, una trentina di ricognitori e una quarantina di caccia. Una settimana prima che l’Italia entrasse in guerra a fianco della Germania, il 3 giugno del 1940, il 28° Gruppo dell’8° Stormo si trasferiva a Villacidro, in provincia di Cagliari, nell’aeroporto di manovra s’Acqua Cotta, dove ebbe, per la prima volta, sede il Comando della X Brigata Aerea Marte, che aveva a disposizione due stormi da bombardamento: l’8° Stormo, comandato dal Col. Ferrante, sardo, nato a La Maddalena, formato da due gruppi il 27° e il 28°, dislocati appunto a Villacidro, e il 32° Stormo, che schierava i suoi bombardieri S79 nell’aeroporto di Decimomannu, a una quindicina di chilometri a nord di Cagliari
In quegli stessi giorni gli apparecchi in carico alla 19° Squadriglia dell’8° Stormo erano: 7 trimotori da bombardamento tipo S79, che erano stati sistemati lungo il lato nord del campo, a una distanza, l’uno dall’altro, tale da ridurre i danni eventuali causati da un attacco di bombardieri nemici. Quell’ aeroporto, il più grande della Sardegna, era appunto dotato di aree, appositamente destinate al decentramento dei velivoli, i quali erano inoltre protetti dalle schegge di bombe a frammentazione tramite appositi muretti in pietra. In una di queste aree, la foto in alto mostra il Serg. Maggiore Pilota Sestilio Gentiletti, appartenente alla 19° Squadriglia, mentre è intento a brandeggiare una mitragliatrice, utilizzata per la difesa contraerea.
La pista di quell’aeroporto era di dimensioni enormi, tali da permettere il decollo e l’atterraggio degli aerei da svariate direzioni. Purtroppo, durante l’estate, a causa dell’intenso vento sempre presente e dei continui decolli ed atterraggi degli aerei, si accumulavano grandi quantità di polvere, che in autunno, con le prime piogge, contribuivano a trasformare il terreno, già argilloso di natura, fangoso e vischioso, rendendo, in tal modo, alquanto laboriose le operazioni di decollo dei velivoli.
Nell’aeroporto non esistevano aviorimesse e pertanto gli addetti alla manutenzione dei velivoli dovevano lavorare all’aria aperta, salvo qualche riparo di fortuna; tra i velivoli schierati in linea di volo, erano state sistemate delle tende, adibite a uffici e a laboratori per la manutenzione dei velivoli da parte del personale tecnico. Il materiale aeronautico assegnato a ogni squadriglia era, in parte, custodito in quelle tende e, in parte, sistemato all’aperto, protetto, alla meglio, da tendoni impermeabili. Non esisteva inoltre alcun tipo di deposito o di rimessa per custodire i carburanti e le munizioni, che, pertanto, giacevano accatastate in apposite piazzole, non distanti dagli aerei in modo da poterli rifornire e armare prima di ogni missione operativa. Tra i fusti di carburante e le bombe di vario calibro c’era immancabilmente una brocca in terracotta, piena d’acqua che veniva portata in volo per il fabbisogno dell’equipaggio.
Ai bordi del campo esisteva un punto ristoro, protetto da alcuni teli tesi tra pali di legno, dove gli avieri potevano rifocillarsi con panini e bibite.
Non esisteva il ben che minimo equipaggiamento, che potesse essere utilizzato per il rifornimento dei velivoli destinati a decollare per una nuova missione bellica. Il carburante veniva pompato manualmente dai fusti e mentre le bombe, tra le quali anche quelle da 250 Kg. massimo carico consentito nella stiva degli S.M.79, erano caricate a braccia. Spesso si ricorreva a frasche e a ramaglie per ottenere una mimetizzazione, atta ad occultare le cataste di fusti di carburante, di bombe e di altre munizioni, alla vista degli aerei nemici..
L’autoreparto, oltre a una Fiat 1500, assegnata al comandane dell’aeroporto, disponeva di 4 Fiat 1000 per i comandanti di squadriglia, di due autobus per gli ufficiali e di due autocarri con rimorchio per tutto il personale di ogni gruppo di volo.
Due camioncini SPA 38 erano, inoltre, a disposizione della mensa ufficiali e della mensa truppa per la spesa quotidiana.
La manutenzione di tali automezzi era alquanto laboriosa, sia per i continui danni causati dalle buche e dai fossi nelle strade di comunicazione dentro e fuori il perimetro aeroportuale e sia per l’endemica carenza di parti di ricambio.
Tutto il territorio, che era stato trasformato in aeroporto, era notoriamente una zona malarica, in quanto le numerose pozze d’acqua nelle adiacenze dei rii Leni e Leonaxis e gli acquitrini semi caldi in prossimità delle sorgenti di S’Acqua Cotta, favorivano la proliferazione della zanzara anofele. Si cercava di correre ai ripari cospargendo le pozze d’acqua con olio bruciato e tramite la distribuzione settimanale di chinino al personale.
Gli alloggi ufficiali, oltre ad essere dotati di zanzariere, venivano bonificati giornalmente con liquidi insetticidi.