di MANOLA BACCHIS
Tra i grandi nomi del Novecento nel campo della Letteratura Italiana bisogna annoverare anche il sardo Giovanni Salvatore Satta, (1902-1975). Ultimogenito di nove figli, sette maschi e due femmine, Salvatore Satta nasce a Nuoro nel cuore della città: era sufficiente che si affacciasse alla finestra per ammirare il corso Garibaldi, allora via Majore, a due passi dallo storico Caffè Tettamanzi.
Ma chi è Salvatore Satta?
La sua è una presenza importante,non solo in Sardegna,per l’eredità lasciata in tema di Diritto e di Letteratura. Eppure, di lui si parla ancora poco, e talvolta c’è chi lo confonde con il poeta e avvocato Sebastiano Satta, che viene evocato al suo posto.Anche Salvatore era avvocato, o meglio grande giurista, e i suoi manuali sono presenti nelle aule delle facoltà di Giurisprudenza, come in quelle dell’Ateno di Pisa, dove Satta, dopo il trasferimento da Pavia, studiò per un anno, per poi concludere gli studi accademici a Sassari. Ma è, tra l’altro, a Pisa che Satta ebbe un ripensamento, tant’è che inizialmente fece un passaggio di Facoltà, scegliendo quella di Lettere. Ma fu solo per un attimo… infatti, come è noto, si laureò in Legge.
Allievo di Antonio Segni, Satta non esercitò principalmente la professione legale, per lui le porte furono diverse, come quelle del mondo accademico: fu professore universitario in diversi Atenei della penisola, preside a Genova e a Roma. Un importante incarico l’ebbe a Trieste dove fu il primo Rettore dopo la seconda Guerra Mondiale. Le sue dimissioni da Rettore giunsero a breve, era l’anno 1946. Fu una decisione ponderata, come tante altre fatte nel corso della sua vita.
Proprio a Trieste c’è un suo ritratto, realizzato dall’artista sardo Antonio Ruju che risalta negli anditi dell’Università e l’orgoglio dei triestini è evidente. Lo spessore umano e professionale distinsero Satta, e possiamo apprezzare tale dote anche nel discorso inaugurale dell’anno accademico: «La facoltà di lettere dell’Università di Trieste è un atto di fede in questa resurrezione. Amatela, o Triestini, e se mi è lecito formulare una esortazione, con l’autorità che mi proviene non dal mio effimero ufficio, ma dal perenne rimpianto che ho sempre avuto di non poter seguire le mie inclinazioni, non esitate a mandare i vostri figli migliori in questa facoltà, non misurate col danaro ciò che gli studi umani possono dare(1945-1946)».
Satta, giurista, in veste di Rettore, sottolinea l’importanza degli studi umanistici. Non è un caso.Egli sognava, fin da bambino, la magia che gli proveniva da ogni cosa semplice della vita e di esse si nutriva. La poesia era fin da allora nelle sue vene e ogni suo scritto ne è impregnato. Non c’è riga che non evochi il ricordo;la sua musa è la memoria, ancella e compagna, confidente e coscienza interiore.
Quando Satta racconta la vita è diretto, mai banale, sempre coinvolgente. Talvolta, mentre leggi, ti sembra di averlo accanto. A volte ti appare bambino e, con la vivacità tipica degli anni dell’infanzia, ti salta in grembo e non smette di raccontare. Proprio come faceva con la sua adorata madre che lo ascoltava stupita, piena di meraviglia e di amore.
Il bambino che racconta lascia poi il posto all’adulto e allora la voce cambia. La vivacità è sempre presente, ma è diversa. Si tramuta in riflessione perché, questa volta, lui – seduto sulla poltrona– porge il suo animo a chi ascolta.
Salvatore Satta, diventato poi un fine giurista, ha sempre cercato di realizzare i suoi sogni letterari. Lui amava i classici, Dante prima di tutto. E chissà se la scelta di lasciare Pavia per Pisa fu dettata anche da questa sua passione dantesca.La conferma per la passione letteraria si scorge anche da un passo tratto da un’importante raccolta di scritti, “Soliloqui e colloqui di un giurista”: «…questo figlio di un vecchio notaio oggi vuole essere tra voi, e vuol parlare di voi con voi, cercando più con l’amore che con l’intelletto la poesia e la verità, indissolubilmente congiunte…»
Satta dunque non ha mai smesso di sognare, la sua ‘stortura’ poetica e prosaica era presente ovunque e nel mondo giuridico e accademico non passarono inosservate le sue strofe alate. Sottile velatura di poesia, magia e mistero che troviamo, in particolare, nella sua opera postuma, “Il giorno del giudizio”, editata nel 1977 dalla padovana Cedam, e tradotta in sedici lingue.Il libro è considerato un capolavoro della letteratura italiana del Novecento.
Ogni casa, mentre si sfogliano le pagine de“Il giorno del giudizio”, si arricchisce di nuovi profumi antichi. Quasi si riesce a percepire le urla gioiose dei bambini tra le vie di Nuoro, dalle prime luci dell’alba–quando si recano a scuola –o al tramonto quando gareggiano dietro Maestro Ferdinando per raccogliere i fiammiferi spenti lasciati cadere dall’alto: ogni fiammifero era, per quei bambini, come una stella cadente, e chissà quanti desideri avrà espresso il piccolo Salvatore mentre li raccoglieva.
Ne “Il giorno del giudizio” la ‘lentezza’ della narrazione regala un dono unico: ti proietta nel tempo del racconto. Allora vedi ogni sfumatura e cogli la ricchezza dei dettagli offerti dalla Natura; oppure dalle mani di donne che si apprestano a fare il pane, o il profumo del mosto di quei grappoli d’uva che trasformano in poesia tutta la casa…
Sono emozioni che trapelano e invadono chi legge. Occorre solo lasciarsi cullare, come tra le braccia della persona amata, e lasciarsi andare alle sensazioni elargite. I ricordi profumeranno di pane, e l’uno evocherà l’altro. L’incantesimo proseguirà nello scorrere del tempo infinito, come lo è la grandezza della narrazione di Salvatore Satta.
Perché dunque parlare di Salvatore Satta?
Per tante ragioni: una è la sua raffinatezza nella scrittura – fine come il ricamo di una deliziosa jana –senza tra l’altro rinunciare, come afferma prof. Nicola Tanda,«alla sostanza lirica e soggettiva del vissuto in lingua sarda».E poi per il grande patrimonio culturale che ha lasciato.
I libri, in assoluto, sono storia. E quanta Storia dell’uomo e sull’uomo ritroviamo nei saggi sattiani, da “La Veranda”al “De Profundis”, per finire con“Il giorno del giudizio”. In tutti, Satta ha lasciato il segno, incidendo il cuore come lo scalpello di uno scultore. Proprio come la fantasia che«entrava nella casa austera coi libri, e operava silenziosamente, toccando con la sua bacchetta magica uomini e cose».
La potenza del verbo di Salvatore Satta è insita nell’attualità e nell’universalità del suo pensiero che ha radici antiche. Anzi trova le sue origini nel luogo di nascita e dell’infanzia, Nuoro, e nella sua Terra, la Sardegna. Che Satta ha portato sempre nel cuore.
articolo pubblicato su LACANAS