di ERIKA CALCAGNINI
Lo scorso sabato, 6 Aprile 2019, è stata inaugurata la mostra fotografica “Una Maschera un Volto un Paese – Quando indossare una maschera non è folklore ma pura identità di appartenenza ad un popolo” presso il Palazzo Ruspoli di Nemi (RM). L’evento organizzato dall’Associazione Culturale Grazia Deledda di Ciampino con il patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna, dalla Regione Lazio, dal Comune di Nemi, dalla F.I.A.F ( federazione italiana associazioni fotografiche) e dalla F.A.S.I. (Federazione delle Associazione Sarde in Italia), ha visto protagoniste alcune tra le migliaia di fotografie raccolte dai fotografi “I disertori della vanga”, Carlo Andreani, Fabrizio Baldazzi, Fabrizio Cimini e Paolo Lolletti, appartenenti al “foto club Castelli romani”. Il progetto ha preso forma nel 2014 con l’idea di raccontare, attraverso la fotografia, le tradizioni sarde, in particolare quelle del territorio barbaricino.
“Ogni anno siamo partiti per la Sardegna in occasione dei diversi carnevali sardi, iniziando da Mamoiada con i famosi “Mamuthones e Issohadores” e proseguendo per Fonni, Lula, Orotelli, Ottana, Sorgono e Ula Tirso.” – spiega il fotografo Carlo Andreani – “l’esposizione fotografica ha avuto lo scopo di mettere in luce sette paesi con i loro costumi e tradizioni”.
Questi piccoli Paesi, in alcuni casi con pochi abitanti, si popolano a dismisura quando avviene la ricorrenza del carnevale sardo, facendo accorrere persone da ogni dove. Ogni festività ha un suo rituale, una sua maschera e una sua storia. L’attenzione dei fotografi è ricaduta proprio sulla “maschera” quale simbolo di un’identità culturale profondamente radicata e che trova la sua massima espressione nel rapporto con la terra sarda. Tra le maschere più caratteristiche, oltre ai famosi Mamuthones, i quali portano dei pesanti e rumorosi campanacci sulle spalle, si ricordano “su Battileddu”, la vittima, la maschera protagonista del Carnevale di Lula, vestita di pelli di pecora o montone, ha il volto sporco di fuliggine e sangue e porta un fazzoletto femminile nero; i “”Boes e Merdules”, le figure principali del carnevale di Ottana; indossano maschere di legno con lunghe corna (i boes) e i contadini (i merdules) con corde e bastoni tentano di tenere a bada i boes.
“Il carnevale sardo, su Carrasegare, è uno degli ultimi avamposti contro lo svilimento delle leggende, dove osservare le loro maschere oggi è un privilegio ed entrare con la mente tra le loro cerimonie, capendone i significati, è pura fortuna.” – commenta il fotografo Paolo Lolletti – “il nostro scopo, come fotografi, è proprio quello di portare a più persone possibili le nostre conoscenze e sensazioni, con la speranza che vengano in futuro ampliate da chi ha la capacità di recepirle e comprenderle.”
L’inaugurazione ha visto la partecipazione dell’antropologo Roberto Libera, il quale ha ripercorso, attraverso la storia, l’antropologia e la lingua, il significato intrinseco della maschera che accompagna da sempre l’uomo, asserendo che la maschera “nasconde” e “rivela” al tempo stesso la nostra identità.