Era il 10 aprile del 1991, quando la vita di 140 persone presenti sul traghetto Moby Prince, stava per terminare in un modo drammatico, e con la consapevolezza, forse, che oramai, nessuno sarebbe giunto a prestar loro soccorso. Gli anni sono passati da quel terribile giorno, ma nessuna giustizia è ancora arrivata per le vittime di questa tragedia. I familiari però, non si sono mai arresi e non hanno mai accettato passivamente le accuse e le bugie raccontate nel tentativo di nascondere quello che realmente accadde quel giorno. La verità ad oggi non è ancora emersa, ma la forza e la grinta di chi quella notte ha perso i propri cari, ha fatto si che venissero ribaltate alcune verità ufficiali, come la presenza della nebbia, e accuse vergognose nei confronti del Comandante Ugo Chessa, morto carbonizzato nel tentativo di portare in salvo i passeggeri. E c’è chi come, il professor Luchino Chessa, figlio del Comandante del Moby Prince Ugo Chessa, scende sempre in prima linea, in veste non solo di figlio, ma anche di Presidente dell’Associazione 10 aprile per portare a galla una verità che probabilmente disturba troppo. In un comunicato in occasione dell’anniversario del disastro,
Luchino Chessa afferma:
“Nell’immaginario
collettivo la storia del Moby Prince è stata quella di un banale incidente. Il
traghetto della compagnia Nav.Ar.Ma la notte del 10 aprile 1991 centra in pieno
la petroliera Agip Abruzzo, alla fonda nella rada del porto di Livorno, 140
persone eccetto uno, il mozzo Alessio Bertrand, muoiono in pochi minuti. Fin da
subito, personaggi di primo piano parlano di nebbia, buio, errore umano e
qualcuno tira in ballo anche la partita di calcio. Per anni la nebbia, calata
repentinamente sulla petroliera, è stata il principale collante del castello di
verità preconfezionate, costruito allo scopo di ridurre tutto alla distrazione
del Comandante del Moby Prince, Ugo Chessa. Non solo, ma la morte repentina di
tutti i 140, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, scagionava completamente
l’autorità preposta ai soccorsi, impossibili da portare al traghetto in quel
brevissimo lasso di tempo. I numerosi tentativi da parte dei familiari delle vittime
per contrastare la verità ufficiale sono stati per anni inutili, e persino
l’ultima inchiesta bis, aperta nel 2006 e chiusa nel 2010 con l’archiviazione,
aveva ribadito l’errore umano e anche censurato il comportamento dei figli del
Comandante Chessa, Angelo e Luchino, rei di aver distratto risorse alla
giustizia. Sembrava oramai tutto compromesso, ma quest’ultima bastonata è
servita ancora di più per spronare i familiari delle vittime ad andare avanti,
e grazie al lavoro dei tecnici e dei legali, diventati anch’essi parte dei
familiari delle vittime, è iniziata ad essere scritta una nuova verità. Grazie
poi alla campagna di sensibilizzazione #iosono141 ideata da Francesco Sanna,
alla divulgazione tramite siti web e social, al lavoro di tanti giornalisti di
inchiesta e registi con libri e documentari, la storia del Moby Prince ha
cominciato ad uscire dall’oblio. Su questa scia nel luglio 2015 è nata la
Commissione Parlamentare d’Inchiesta, presieduta dal Senatore Silvio Lai, le
cui conclusioni, esposte pubblicamente il 24 gennaio 2018, hanno ribaltato
completamente le verità processuali. Viene esclusa la presenza di nebbia, e per
cui la distrazione del Comandante Ugo Chessa, ed ipotizzata un’azione turbativa
alla rotta del traghetto precedente la collisione con la petroliera, a sua
volta alla fonda in una zona interdetta. La vita a bordo del Moby Prince è
durata ore e non minuti e ci sono esempi eclatanti come il cameriere Antonio
Rodi, vivo sicuramente fino alle 7.30 del mattino dell’11 aprile. Sul traghetto
era stato organizzato un piano di intervento da parte dei membri
dell’equipaggio per mettere in sicurezza i passeggeri, radunati nel salone
Delux, ma la mancanza di soccorsi, una vera e proprio omissione da parte di chi
doveva dirigerli, ha lasciato i nostri cari al loro atroce destino. Ma un
aspetto molto importante è stata la scoperta di un accordo tra le compagnie
assicurative del traghetto e della petroliera, solo due mesi dopo la tragedia,
di non attribuirsi reciproche responsabilità, che può aver agito sull’esito
delle indagini e dei processi. Gli atti della Commissione sono stati trasmessi
alle Procure di Livorno e Roma che, contattate dai legali e dai familiari delle
vittime, hanno espresso la volontà di non tirarsi indietro e di aprire nuovi fascicoli
di indagine, Livorno per eventuali reati non prescritti, Roma per eventuali
reati legati alle audizioni in Commissione Parlamentare, come falsa
testimonianza od omissione.
Dopo tanti anni possiamo oramai affermare che siamo ad una svolta. Abbiamo una
verità storica che può essere raccontata e sulla quale esiste la speranza
concreta di avere giustizia. I familiari finalmente si ritrovano nel giorno
dell’anniversario con uno spirito completamente diverso, c’è tanto ottimismo,
una nuova fiducia nelle istituzioni e nella giustizia, una vera primavera
civile, ma anche tantissima rabbia. Una rabbia immensa pensando ai nostri cari
che hanno perso 28 anni di vita, una rabbia immensa al pensiero che oramai è
sicuro che sono stati lasciati morire senza alcuna azione per salvarli. Una
carneficina che sembra inspiegabile, che poteva essere evitata, ma che ha fatto
comodo a chi aveva scheletri negli armadi. E infine una rabbia immensa perché
noi familiari abbiamo avuto una vita sconvolta, 28 anni di strazi, delusioni,
sofferenze, frustrazioni, per molto tempo nella solitudine e nel silenzio,
squarciato dai nostri tentativi di riscatto, abbandonati fino a poco tempo fa
dalle istituzioni, nel tentativo di fare una vita normale, ma con
consapevolezza che non sarebbe mai stato così.Noi familiari ovviamente non ci
fermeremo mai! Questo 10 aprile è lo spartiacque tra passato e futuro!
Attendiamo finalmente fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso e che
tutti coloro che hanno avuto a che fare con le cause della strage e tutti
coloro che hanno coperto la verità paghino per quello che hanno fatto”.