di PAULA PITZALIS
Viola Vistosu Villani, pittrice di profonda sensibilità culturale e raffinata espressività artistica, ha rivelato nel nostro incontro dialogico le nuove forme di ricerca dei linguaggi e dei colori che la Sardegna sa ancora offrire in questi tempi di grandi cambiamenti planetari.
Viola pittrice, modella, artista, che cosa è per te la pittura? La pittura è nata con me. Da sempre. Fin da bambina mi ha accompagnato con la fantasia molto fervida. Non sapevo leggere e già inventavo storie che poi disegnavo. Ha reso reale la mia interiorità.
Perciò la pittura è anche una scrittura? Per me è sicuramente una scrittura. L’arte è il mio diario segreto. Descrivo ciò che mi succede interiormente, dipingendo ciò che provo e che sento, in forma allegorica. Così piuttosto che scrivere il classico diario, utilizzo il pennello ed i colori.
I colori come i suoni hanno delle frequenze. Quali colori per te sono più attinenti alla tua personalità? E che cos’è il colore? E che ricerca fai sul colore? Ricerco delle mutazioni che costantemente sento in me e nella vita che conduco. E’ proprio in questi cambiamenti che esprimo la varietà dei colori che non sono sempre gli stessi. Anni fa, per esempio, dipingevo con una pluralità e varietà di colori, molto naïf con tonalità accese.
Come gli impressionisti? Più verso i surrealisti, un po’ Magritte un po’ Frida Kahlo. Colori onirici. Ora ho cambiato verso una colorazione più profonda, ma non perché la mia vita sia cupa; è lo studio di ricerca e il cambiamento verso un’evoluzione. È uno studio alla Caravaggio con la genesi della luce. Amo questi corpi che provengono dall’ombra e vengono rischiarati dalla luce. Oggi perciò utilizzo il nero e i colori della luce. Amo molto il rosso che predomina. Ecco che, in un mio quadro, un piccolo elemento in rosso tende a sottolineare un preciso simbolo, perché considero il rosso il colore della vita, del sangue, del cuore umano, del sentimento e dell’amore. Quindi il rosso è una costante del mio dipingere che procede simultaneamente con il lavoro di contrasto dove al caldo del rosso aggiungo dei colori freddi. Penso che l’arte, per essere tale, debba assolvere diversi piaceri. In questo caso il piacere è visivo, consistente nelle forme, nel bilanciamento dei colori.
È molto interessante ciò che ricerchi. Mi ricorda la poesia dei Crepuscolari dove esprimevano, attraverso la tecnica poetica, il contrasto, il crepuscolo ed il gioco della luce in esso. O come canta Franco Battiato, che anch’egli è oggi pittore, “trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Si. Lui ama molto i contrasti. Ha fatto anche una canzone dove parla dell’ombra della luce.
Tu ti ci ritrovi in queste espressioni? Si, mi ci vedo molto in questo.
Non pensi che tu come artista hai usato in un periodo i colori in certo periodo mentre ora stai maturando una nuova visione introspettiva di riflessione? La definirei di raccoglimento.
Questa è una spiritualità esistenziale? Si. Sicuramente all’inizio ho usato i colori perché avevo il desiderio di raccontare. È come una persona che stando muta per lungo tempo, poi, per contrasto, si mette ad urlare. Dopo l’urlo avviene un bilanciamento e si usa un tono vocale più moderato nel parlare. Io per anni sono stata muta. Dipingevo ma frequentando il liceo artistico, mi sentivo un poco tarpata per quelli che erano i miei studi accademici. Non riuscivo ad esprimere esattamente la mia esuberanza artistica attraverso la pittura. Quando ci sono riuscita ho gridato ciò che volevo narrare con questi colori acuti. Sono poi passata alla fase successiva di raccoglimento dove non c’è stata più la necessità di urlare. Così adesso pongo più attenzione alla forma di un oggetto e di un corpo piuttosto che al colore. I miei primi dipinti erano molto naïf, perché ciò che mi interessava era il messaggio e non il virtuosismo della forma. Invece adesso è il contrario. Il messaggio è sempre importante, però sono un po’ più sazia.
Che soggetti rappresenti in questa ricerca? Tendo quasi sempre ad un diario personale e sono quasi sempre autoritratti. E anche quando non mi assomigliano c’è una similitudine. Per esempio se sto ritraendo un cervo rappresenta un animale sacrificato. Questo perchè in un periodo della mia vita mi sono sentita così, come un trofeo appeso e quindi adesso sto semplificando quello che ho provato. Ecco questo mio sentire in questa rappresentazione. Infatti come lo finirò sarà un cervo con gli occhi umani.
Tu sei anche una modella. L’immolazione ha una relazione con questa professione? Cosa significa fare la modella? Noi vediamo le modelle nei cartelloni pubblicitari e si ha una idea delle modelle prive di personalità, quasi fossero esseri asettici manipolate dal mercato del visivo. Invece le modelle sono delle persone. Sono delle persone. Fare la modella o essere modella, questa è una differenza sostanziale. Io ho fatto la modella. Lo sono stata. Ho acquisito la parte positiva, il viaggiare, conoscere persone creative come i fotografi, fare parte di uno staff, fare un progetto di una campagna pubblicitaria e quindi, ribadisco, stimolante dal punto di vista creativo e di crescita. Essere modella è un altro discorso. È molto rischioso perché esisti per quello che appari e non per quello che sei. Ciò è molto brutto e l’ho provato per un periodo. Ci si può ammalare, per esempio, si rischia di diventare anoressici, o stravolgersi con siliconi o con chirurgie estetiche, perché uno non si piace mai. Mentre in un altro mestiere possiamo migliorare con le nostre capacità, concentrazione e abilità- L’aspetto fisico che la natura ci ha dato non possiamo mutarlo. Possiamo andare dal parrucchiere, metterci un poco a dieta e fare sport, ma non possiamo modificare i connotati. Questo desiderio che ti porta a fare cambiare così sostanziali sfocia purtroppo nella patologia. Malattia ragguagliata al cibo o al rifarsi completamente con la chirurgia. È una cosa che io ho eluso. Ho evitato proprio di fare parte di questo mondo, tanto che quando mi è stato proposto di partire all’estero per tanti mesi a Parigi, a Tokio, ho rifiutato proprio perché percepivo questo pericolo. Vedevo molte colleghe che vivevano certe situazioni tristi. La mia salvezza è stata l’arte, e vivere in un ambiente come la Sardegna e la mia famiglia, dove le cose semplici, grazie a Dio, ancora hanno dei valori e trionfano sul superficiale. Recarsi a Milano e fare diversi casting e non sentirmi all’altezza. Con il desiderio opprimente di rientrare a casa: tornare in Sardegna, andare al mare, mangiare un bel piatto di pasta e sorridere delle cose più banali, mi ha aiutato e mi ha fatto capire che erano situazioni molto più importante per me.
Eppure negli anni settanta e ottanta le modelle erano molto creative e con forti personalità. Creavano delle mode. Cosa è successo? Credo ci sia stata un’inflazione. Prima fare la modella era un’eccezione probabilmente e sicuramente tu ti riferisci a Twiggy Lawson, che è diventata un’icona. Dopo si è passati ad un’ideale di perfezione assurda. Negli anni novanta modelle come Naomi Campbell e Cindy Crawford erano bellissime, giunoniche, rappresentavano la loro identità. Poi bisogna fare presente che una tra mille diventa una Naomi. Ma cosa è successo poi alla donna? È accaduto che si è “incartata”, ha voluto deformarsi per rispondere alle richieste irrazionali del mercato. Ritorniamo al discorso dell’anoressia, che se ne è parlato tanto negli anni passati e fortunatamente oggi la moda sta cambiando perché non c’è più l’esigenza della ragazza magrissima. Prima c’era l’occorrenza della donna immagine stereotipata. Molti stilisti cavalcavano la convenzione della donna senza forme.
Viola tu che sei artista a 360 gradi non pensi che una donna deve tornare a riappropriarsi della sua femminilità e creatività senza delegare allo stilista, ma alla sarta che modella sul tuo corpo le tue misure e i tessuti? Si assolutamente si.
C’è un’ideale di donna o anche sarda e artista che ti piace? Non ho un mito. Però ammiro molto Maria Lai. Lei è riuscita a creare, con un lavoro di ricerca sulla tradizione millenaria della nostra isola, un’arte dalle innumerevoli sfaccettature. Da quest’arte, dal punto di vista della Teknè, ne ha fatto un’espressione totale di ciò che sentiva. Poi ammiro tanto Grazia Deledda per come ha saputo costruire una propria identità di donna sarda attraverso la letteratura. Comunque sono tante le donne sarde che mi attraggono. Donne che hanno vissuto in diverse epoche e alle quali era concesso poco nella società ma hanno avuto la tenacia di andare avanti. Anche donne a cui era stato posto il divieto di dipingere. Gli acquarelli, utilizzati nelle illustrazioni dei libri di botanica, erano dipinti solo da loro, perché era l’unica espressione che veniva permessa. Era vietata anche la libertà di espressione artistica e potevano fare dell’arte solo legata alla teknè, ad un utilizzo specifico. Poi ci sono le eccezioni come Artemisia Gentileschi, la pittrice rinascimentale che dipingeva benissimo. Pitturava delle scene molto femministe perché lei aveva subito una violenza da ragazzina, e ciò che raffigurava richiamava personaggi come Salomè.
Viola le tue letture preferite? Sono una grandissima lettrice. Le mie letture sono varie. Dai romanzi ai libri di botanica. Sono anche un amante del simbolismo proprio perché dipingo utilizzando questa tecnica. È un linguaggio che mi si addice in questo momento della mia vita. Sto leggendo un libro sul simbolismo massonico, uno su quello sacro e su quello dei tarocchi. Mi affascina questa comunicazione ermetica.
Come il simbolismo di Leonardo Da Vinci che utilizzava nel suo comunicare Si. Inoltre era anche famoso per la sua scrittura speculare. Però confrontarmi con un grande è davvero complicato.
Ma stiamo parlando di espressioni artistiche umane. Secondo te perché si sceglie il linguaggio simbolico? Posso parlare dal mio punto di vista. Il simbolo è un codice. Un codice che deve essere poi decifrato e che non è alla portata di tutti, ma solo per chi ha veramente voglia di comprendere e approfondire. E’ necessario possedere le chiavi di lettura del simbolismo pittorico. Io utilizzo dei miei simboli che poi sono la chiave di lettura che dev’essere soggettivamente interpretata da un osservatore. Raramente utilizzo dei simboli con significati preesistenti, proprio perché non voglio che il mio messaggio possa essere travisato. Per esempio, lo scorso anno, dipinsi la “torre di Babele” dove ho voluto ultimare questo minareto, che in genere viene raffigurato per metà come punizione divina. In cima raffigurai un occhio di Dio che scrutava. Risultò una specie di piramide con un occhio e tutti mi domandavano se fosse un simbolo massonico, mentre per me esprimeva ben altro.
L’arte salverà il mondo? La bellezza salverà il mondo? Magari! Sicuramente se non salverà il mondo, l’arte è una delle componenti che potrebbe salvarlo. Da sola non penso. Serve altro. L’arte è sensibilità, è bellezza, rispetto e disciplina. Ma non basta a salvare l’universo perché l’uomo è riuscito ad utilizzare l’arte anche utilizzandola per fini negativi. Ad esempio la macchina da tortura “la Vergine di Norimberga”, la vergine di ferro, è un’espressione artistica. L’uomo ha utilizzato una forma medievale d’arte anche per torturare il suo simile. Ciò è bestiale e terribile.
Molti compositori ebrei durante la prigionia nei lager nazisti hanno composto musica per sopravvivere. Qui l’arte li ha salvati È vero. Ma è anche vero che molti nazisti hanno utilizzato la pelle degli ebrei per creare dei paralumi. Purtroppo l’arte viene utilizzata anche per cose orrende.
Cosa è la bellezza? La bellezza è l’armonia. Ciò che può essere armonico allo sguardo. Per esempio un viso bello non deve avere per forza i lineamenti simmetrici, o con i lineamenti piccoli, deve essere un qualcosa di armonioso. Per essere euritmico deve avere dei bilanciamenti precisi.
Eppure Picasso questi bilanciamenti non li raffigurò più. Picasso ha stravolto la concezione che noi conosciamo di bellezza nella quale ci riconosciamo, però ha ottenuto una tipologia personale di armonia. Questo è molto bello. Per conoscere veramente la bellezza dell’arte basta osservare la natura.
Cosa ami della natura? Ne amo la sezione aurea, nella sezione numerica di Fibonacci, è intrinseco ciò che può fare intendere come concetto di armonia. Noi siamo strettamente legati a questo perché la vita si è sviluppata grazie anche a questa sezione aurea. Come lo può essere la chiocciola della lumaca o un cavolfiore che cresce proprio grazie a questo numero, perché la natura stessa ha capito che la sua vitalità dipende da questo numero. Noi siamo strutturati per vedere questo genere di armonia. Quando c’è questa concordanza, e questo numero si ricompone, non importa se un occhio è storto o se parlando come il linguaggio di Picasso, gli ordini degli addendi sono completamente stravolti, perché se poi sono ricomposti, secondo un altro tipo di composizione armonica, allora abbiamo di nuovo la bellezza.
Ho visto che c’è un quadro vi è rappresentato un corpo maschile o no? E sembra squarciato … è una vendetta verso l’uomo? Sono rappresentati due corpi. Uno femminile e uno maschile. Sembrerebbe una vendetta ma non è una ritorsione verso l’uomo. Quella è un’immaginazione esacerbata, è la “rottura delle illusioni”, come quando noi pensiamo di avere davanti un certo tipo di individuo, perché noi stessi ci siamo creati delle aspettative e delle illusioni, e poi invece questo sogno si frantuma. Vi è uno “squarcio dell’identità” della persona che abbiamo davanti. Quando si dice: “ma io pensavo che tu fossi diverso”. Pensare che una persona fosse l’opposto di quello che si è rivelata essere. In realtà non è la persona che è cambiata. Sono le nostre aspettative che si sono spezzate e noi automaticamente cancelliamo l’altro individuo. Questo quadro vuole rappresentare la rottura di un’identità, di un’immaginazione che si è rivelata fasulla. Poi ho voluto far uscire dallo squarcio la colomba della pace, perché da tutti i traumi ne deriva una liberazione. Da uno rottura si può realmente apprendere la persona. La perdita dell’illusione può essere traumatica, ma solo così riusciamo a vedere la realtà. Questo ci porterà alla pace a alla consapevolezza di vivere meglio.
C’è un sogno o un progetto di Viola Vistosu Villani? Tantissimi. Nel campo della pittura riuscire a dare un contributo alla Sardegna. Sembra un grande sogno, mi piacerebbe riuscire portare l’arte sarda all’estero. Farmi conoscere come pittrice sarda nel mondo. Come ha fatto Maria Carta con la musica, e, mettere sempre nei miei quadri degli elementi di sardità, che possono essere il velo sardo campidanese, o un bottone o un fico d’india, ecc. Elementi della cultura sarda. La Sardegna è molto conosciuta per le sue spiagge, ma poco per le sue millenarie tradizioni. Abbiamo un insieme di erudizioni mediterranee meravigliose nel nostro DNA, di colori e musiche e di riti ancestrali. Mi colpisce la dignità, la fierezza ed il camminare a testa alta delle donne sarde. Vorrei addolcire e raffigurare con i miei colori questa fierezza solare mediterranea.
Quando si dice belle fuori e belle dentro!! Non conoscevo questa artista ora spero di avere l’opportunita di apprezzare i suoi lavori!!
Incontrare un fiore raro, sentirne il profumo, ascoltare il fruscio dei suoi petali al vento e coltivarne poi la nostalgia. Quel fiore ha il colore Viola.