Il primo giorno di primavera non è rinata solo la Natura dopo il lungo sonno invernale. È nato anche un esperimento rivoluzionario che definire “di consumo critico” è estremamente riduttivo: la food coop Mesa Noa che ha preso vita a Cagliari. Questa iniziativa si propone infatti di rovesciare completamente il rapporto fra le persone e il cibo, eliminando la distanza che il modello industriale ha introdotto per separare i consumatori da produttori e processi produttivi.Tutto questo ha un nome: food coop. Potremmo semplificare ulteriormente il concetto definendolo “supermercato autogestito”, in cui i clienti non sono più tali ma diventano soci, lavoratori, co-produttori. Il primo caso al mondo è quello di Park Slope, negli Stati Uniti. Sbarcata in Europa con gli esempi di La Louve e Bees Coop, l’idea ha trovato corpo anche in Italia, con l’emporio autogestito Camilla.
Abbiamo parlato con Massimo Bonifacio, uno dei co-fondatori di Mesa Noa, la prima food coop sarda, che dopo mesi di gestazione dal 21 marzo esiste ufficialmente. «In quella data – spiega Massimo – è stata costituita la cooperativa di consumo con 58 soci. Complessivamente coloro che hanno già acquistato le quote sono 79, più altre 300 persone che si sono dichiarate interessate a partecipare».
Ovviamente il numero conta, anche se va necessariamente combinato con la condivisione dei valori di base e la disponibilità a mettersi in gioco in prima persona: «In una food coop i soci contribuiscono con un monte ore mensile al funzionamento del progetto. Abbiamo calcolato che per partire è necessaria una base di circa 300 soci che coprano nel loro complesso 5 ore al giorno».
Questo vorrebbe dire che ogni socio dovrebbe “donare” alla cooperativa due o tre ore al mese. Il traguardo è decisamente alla portata di questo gruppo che ha già creato delle sinergie importanti con il tessuto locale e non: «Stiamo partecipando a un bando di Sardegna Ricerca che ci ha dato una serie di servizi di validazione dell’idea. Abbiamo anche un rapporto molto stretto con Camilla, che ci ha accolto con entusiasmo e da cui abbiamo “copiato” diverse idee».
Come detto, è fondamentale che chi partecipa si senta coinvolto in prima persona, abbandonando l’idea delle delega – ovvero pagare una quota annuale e demandare la gestione ad altri – e facendo propri i principi fondanti del progetto, sempre in maniera partecipata e condivisa: «Lavoriamo con la sociocrazia e i cerchi di condivisione – racconta Massimo – e uno dei temi su cui insistiamo di più è quello della formazione. Non puntiamo a raggiungere un numero elevato di soci paganti, ma cerchiamo persone che mettano a disposizione tempo e volontà».
Questo approccio è testimoniato anche dalle varie iniziative portate avanti dal gruppo di Mesa Noa, incentrate su tematiche quali sharing economy e sociocrazia. Massimo si sofferma a parlarci di un’iniziativa svolta insieme a Sardegna Ricerca: «L’abbiamo chiamata Centuconcaspo Mesa Noa e abbiamo chiesto ai partecipanti di formulare delle proposte per il futuro del progetto, fra realtà e sogno. È venuto fuori di tutto: finanza etica, mutuo aiuto, asilo, scuola libertaria».
Questo humus eterogeneo e variegato condivide una visione di base che chiarisce le origini del percorso che ha dato corpo alla food coop sarda: «Il progetto è aperto e inclusivo, ma chiediamo a tutti gli interessati la condivisione dei sette sentieri di Italia Che Cambia, che sono la struttura valoriale portante. Prevediamo un breve periodo di prova per i nuovi soci per introdurli a nozioni necessarie per la gestione dell’emporio e per formarli sulle delibere, sugli aspetti burocratici, sui processi decisionali, ma anche sui valori fondanti».
In un commento Massimo Bongini, un altro socio di Mesa Noa, riassume le prerogative del progetto: «Prodotti di qualità a prezzi ridotti rispetto alla media del mercato comune, socialità e partecipazione attiva ad azioni concrete per lo sviluppo di un’economia locale etica e sostenibile. Un impegno fattivo per una nuova società più giusta, equa e solidale, che rimetta al centro l’individuo e spezzi la catena della logica del profitto a tutti i costi».
Come hanno spiegato i fondatori in un’intervista rilasciata a RadioX, è fondamentale la comunità d’intenti. Non è una frase fatta, ma un bisogno che gli stessi partecipanti hanno espresso: sentirsi un gruppo coeso, che lavora in maniera condivisa per un obiettivo comune.E adesso? «La prossima grande sfida è trovare lo spazio fisico dove far sorgere l’emporio», confessa Massimo. «La politica locale ci corteggia, ma noi non vogliamo legarci a nessuna sigla». L’invito è dunque rivolto a chi condivide le finalità del progetto e può contribuire a superare questo scoglio: Mesa Noa cerca una sede!
Massimo conclude con una considerazione incoraggiante, suscitata dal percorso compiuto in questi mesi: «Nelle occasioni pubbliche come il Festival di Scirarindi o gli eventi organizzati per promuovere Mesa Noa mi sono reso conto che i valori di cui parliamo a volte possono risultare nuovi, complessi da comprendere. Può spaventare pensare di cambiare la propria vita abbandonando un modello di consumo che si è rivelato insostenibile, facendo in prima persona ciò che prima si delegava ad altri, condividendo spazi e momenti che consideravamo privati. Eppure mi accorgo che è sempre più facile parlare di questi concetti e, anche se non li conosce, la gente li ascolta con attenzione e ne apprezza il valore».