di LUCIA BECCHERE
«Un artigiano del verso» si è definito Antonio Mou (Jerzu 1939) durante la presentazione del suo libro Su Sulidu ‘e su ‘Entu (L’alito del vento) edizioni Solinas, avvenuta nel dicembre scorso alla Biblioteca Sebastiano Satta di Nuoro alla presenza di un pubblico attento. Laurea in Scienze Agrarie, ex insegnante, più volte sindaco del Comune di Jerzu dove attualmente vive, dedicandosi all’agricoltura e ai suoi quattro nipotini. Il testo comprende una raccolta di poesie scritte in lingua ogliastrina, «la lingua che mi appartiene e che ho usato fin da bambino» ha affermato l’autore che le ha tradotte anche in italiano senza tuttavia alterarne il ritmo e il carattere del verso. La dottoressa Ninetta Busalla, sua compaesana, che nell’intervento introduttivo ha definito il dialetto jerzese «l’imprinting del nostro io», gli ha chiesto come è nata l’idea di scrivere questo libro: «Nei silenzi delle lunghe notti invernali quando si è maggiormente disposti a pensare, scrivevo tante e tante poesie che custodivo nel cassetto – ha confessato l’autore –. Sono stati amici e parenti a salvarle dalla fiamma del caminetto, esortandomi a partecipare, il 25 febbraio 2017, al 1° premio letterario “A. Gramsci” ad Ales e che ho avuto l’onore di vincere». Mou ha spiegato anche il perché del titolo Su Sulidu ‘e su ‘Entu: «L’alito del vento sono le ali del mio pensiero che alla fine di questo viaggio terreno mi condurranno là dove sono i miei cari e dove potrò dare e ricevere carezze». Con profonda emozione ha ripercorso i temi dei suoi versi: lutti e dolori per chi da una natura matrigna viene privato delle persone care « M’haslassau un orfaneddubarsolu » (Mi lasci un orfanello da cullare)» (Disperada) è il lamento di una giovane mamma per la perdita del marito, affetti per amici e gioie per la nipotina che deve venire al mondo, vera testimonianza della vita che continua, ma anche la speranza che non si sia destinati al nulla eterno: «Ti cercherò/ nella pace del fulgido mattino/ ti porterò del campo il più bel fiore…» (T’hap’ a circai). Poesie impegnate che trattano di lavoro, d’immigrazione, di accoglienza e d’integrazione: « Unurumenu pastori/ chi frastima per ’in limba/ arrennegau, scudi sa perda che pastori sardu… ». «Un pastore rumeno…/ impreca in lingua sarda, se adirato/ lancia le pietre da pastore sardo/ in un anno si è bell’e integrato» (L’integrazione).
Per il professor Piero Carta l’autore può essere definito un artigiano nel significato latino della parola, artifex cioè artigiano-artista-creatore del verso, poesia come linguaggio dell’essenzialità, come canale di conoscenza intuitivo ed estetico. Attraverso il linguaggio ogliastrino, l’autore «va alla ricerca di una essenzialità senza tempo con la cura dell’artigiano ma con l’intuizione dell’artista, scolpisce la parola per penetrare il senso delle cose, con una perfetta corrispondenza fra segno e parola, fra significato e significante».
Carta ha sottolineato la maestria dell’autore nel saper porgere al lettore temi gravi «con il pessimismo della ragione ma l’ottimismo della volontà» in quanto maestro di fede e cultura laica alla ricerca di qualcuno che faccia valere la giustizia che non alberga sulla terra e poi superato il dubbio, si riappropria delle sue convinzioni e intessendo un dialogo con il suo cuore chiede « non tradirmi in quel momento estremo/ ma prendimi per mano ». Profonda poesia dunque che sottende una solida struttura di pensiero.
«Poesia d’introspezione e d’autoanalisi, dove si fondono sentimento e ragione», ha affermato Tonino Serra, medico-scrittore, che ha collocato Antonio Mou fra i poeti veri «non solo perché ha dato dignità al suo popolo parlando la lingua jerzese, ma perché con le sue liriche ha valicato i confini del proprio paese». Nel testo una visione critica della realtà, uno studio dell’ambiente, la cronaca di un intero paese pennellata con l’arte poetica dell’autore. «Un artigiano che trasmette emozioni nel renderci partecipi del suo rapporto armonico con la natura, del suoi più intimi affetti per trasmetterli anche a chi viene dopo di noi». Per Serra sono versi permeati di spiritualismo improntato all’ottimismo dove l’amicizia, gli affetti familiari sono ammantati da una dimensione spirituale che rifugge dall’egoismo dilagante, dal becero individualismo per nutrirsi di generosità e di quel senso profondo di umanità inteso come atto d’amore e di condivisione fra popoli. Sopra ogni cosa lo sguardo ironico e benevolo dell’autore.
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