di CLAUDIA ZEDDA
Io non sono pastora, ma una volta ho provato a tirar fuori il latte da una pecora. E non ci sono riuscita.
Io non sono pastora, ma una volta ho invitato una famiglia di pastori al mio matrimonio e alcuni di loro hanno dovuto rinunciare, perché le pecore non vanno in vacanza, mai. E beninteso mi hanno fatto un regalo generoso pur consapevoli che non ci sarebbero stati.
Io non sono pastora, ma una volta ho visto le mani di un vecchio pastore. Erano mani forti e callose, di quelle che hanno sofferto. Ma non ve la so raccontare la gentilezza con la quale sapevano trattare gli agnellini.
Io non sono pastora, ma una volta ho parlato con la moglie di un pastore. 50 anni fa, quando il marito era lontano da casa, con il bestiame, lei diventava marito e moglie, che le pecore non vanno mai in vacanza e nemmeno i pericoli.
Io non sono pastora, ma una volta un pastore ha insegnato a mia madre a fare il formaggio e la ricotta. E da allora sono rinata.
Io non sono pastora, ma una volta ho visto la preoccupazione di un giovane pastore perché una volpe aveva preso d’occhio il suo gregge. E lui per molte notti ha dormito con il suo bestiame. Perché le pecore sono vita.
Io non sono pastora, ma una volta ho ascoltato un vecchio pastore che mi mostrava i campanacci del suo antico gregge. “Io le pecore le riconoscevo dal suono de su pittiolu, era diverso per ciascuna”. E ho visto l’amore nei suoi occhi.
Io non sono pastora, ma una volta (e anche qualcuna in più) ho letto che se la Sardegna è così, selvaggia, bella, antica, incontaminata, è anche e soprattutto merito dei pastori, che la Sardegna la vivono per davvero, tutti i giorni. E parlo della Sardegna che noi vediamo solo in escursione, ma che c’è. E ci piace che ci sia.
Io non sono pastora, ma una volta ho parlato con una tessitrice che raccontava di quando i pastori le portavano la lana, molta bianca e poca nera, ma lei usava entrambe perché la lana, bianca o nera è bella e utile comunque.
Io non sono pastora, ma una volta un contadino mi ha mostrato le forme di formaggio che il suo compare, pastore, tale Giorsanto, gli aveva portato. In cambio lui gli aveva dato la semola, ma quella buona, che si dà solo agli amici.
Io non sono pastora, ma una volta un pastore mi ha portato a zonzo per la sua montagna. Ha spezzato con le mani nere un ramo di timo verde e me lo ha regalato. “E’ lui”, mi ha detto, “che rende tanto buono il latte e la carne del mio bestiame”. Quel rametto di timo io lo conservo ancora.
Io non sono pastora, e non lo so quanto può spezzare il cuore versare a terra il proprio lavoro. Ma lo posso immaginare.
Io non sono pastora, ma quando vedo un pastore che offre il latte delle sue pecore a mamma terra non gli consiglio di pastorizzarselo in casa, di donarlo alla Caritas, di svenderlo, e non gli do la ricetta de sa timballa, che la sanno fare meglio di me.
Quando vedo un pastore versare il latte a terra mi fa male il cuore e capisco che qualcosa non va. Perché il latte è vita per loro e un poco anche per noi. Non penso a che consigli dargli. Penso a come posso essergli utile, perché quel che prendiamo, dobbiamo restituirlo una volta o l’altra.
Io non sono pastora, e forse non lo sarò mai. Ma so che i pastori sono nobili e generosi, che hanno custodito buona parte della Sardegna, che l’altra è di competenza dei contadini, dei pescatori e delle donne e so che se sono in difficoltà devono essere sostenuti.
Questo mi aspetto da me, questo mi aspetto dai sardi. E per la cronaca, a fare sa timballa a me ha insegnato la moglie di un pastore.
Io sto con i nostri pastori, perché una volta ho desiderato essere pastora per dormire sotto le stelle e sopra la terra.
Io sto con i nostri pastori perché, come me, sono Sardegna.
Tutto questo per raccontare che il lavoro dei pastori è crudo e doloroso. Tutto questo per raccontare che il lavoro dei pastori è faticoso e utile. Tutto questo per raccontare che io il lavoro dei pastori non so se riuscirei mai a farlo. Tutto questo per raccontare che qui le cose possono funzionare solo se tutti ci diamo una mano, perché la rete, da sempre, è stata la nostra forza, alla faccia di chi ci vuole disuniti e deboli. Tutto questo per raccontare che il lavoro dei pastori va retribuito a dovere. Tutto questo per raccontare che i pastori vanno rispettati e aiutati. Perché pastori lo siamo un poco tutti. E per fortuna.
sarebbe bellissimo se tutti i circoli di Italia si unissero nel gesto di buttare un bicchiere di latte in una piazza Ognuno nel suo paese e città. Non si potrebbe organizzare con la FASI??
se ci sono persone che lavorano veramente tutti i giorni , feste incluse , sono i pastori , chiedono solo di rispettare il loro lavoro , non chiedono il reddito di cittadinanza , ma quello che gli è dovuto , il reddito lò chiedono i magnaccia ,