UNO STUDIO CURATO DAL CNR DI ORISTANO E DALL’UNIVERSITA’ DI VENEZIA: LE SPIAGGE D’ITALIA SEMPRE PIU’ A RISCHIO EROSIONE

di SIMONE REPETTO

I cambiamenti climatici in atto a livello planetario – resi espliciti da fenomeni atmosferici estremi, aumento delle temperature e innalzamento progressivo del livello dei mari – hanno degli impatti anche sulla struttura costiera, in termini di erosione, riguardante, in particolare, spiagge e sistemi dunari.

Una stretta correlazione emersa da uno studio inedito, a livello internazionale, pubblicato sulla rivista Climate Change e compiuto dall’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche di Oristano, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia nell’ambito del progetto RITMARE, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Gli autori Simone Simeone, Emanuela Molinaroli, Alessandro Conforti e Giovanni De Falco, sono giunti a queste conclusioni realizzando il primo studio scientifico sugli effetti  a catena che legano emissioni in atmosfera, acidificazione del mare ed erosione costiera, prendendo come riferimento la baia di San Giovanni di Sinis, vicino a Oristano, in Sardegna.

L’ipotesi più eclatante e preoccupante dell’aumento di CO2 sugli ambienti marini, emersa dalla ricerca, è che fino al 2100 l’accumulo di sedimenti alla base dei sistemi dunali mediterranei potrebbe calare del 31 per cento, con erosione delle spiagge e maggiori rischi di inondazioni.

Spiaggia di Guidi, nell’isola di San Pietro, oggetto di un corposo avanzamento stagionale dell’arenile. Fotografia di Simone Repetto “Le misure strumentali effettuate negli ultimi due secoli, mostrano che il livello globale del mare è aumentato con tassi più rapidi rispetto al passato, raggiungendo valori a 3,2 mm/anno negli ultimi decenni”, ha spiegato Giovanni De Falco, ricercatore del Cnr-Ias di Oristano, citando i dati riportati nel recente rapporto sul cambiamento climatico globale dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).

“Come noto, l’aumento del livello del mare è correlato al riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra di origine antropica, in particolare anidride carbonica, incrementando considerevolmente il rischio di inondazione a livello globale, soprattutto nelle piane alluvionali, con conseguente arretramento delle coste. L’aumento del livello del mare relativo previsto entro il 2100, potrebbe cambiare drasticamente la morfologia attuale della fascia costiera, inondando miglia di chilometri quadrati di pianure costiere con un’altitudine vicina all’attuale livello del mare”, ha precisato De Falco.

Un problema serio, se si tiene conto che, in Europa, circa 86 milioni di persone (il 19 per cento dell’intera popolazione) vivono in una fascia costiera di 10 km dal mare, mentre nel Mediterraneo, la maggior parte della popolazione (circa il 75 per cento) vive in aree costiere (70 per cento in Italia).

Un ulteriore effetto del cambiamento climatico è l’acidificazione degli oceani e la relativa diminuzione di sedimenti marini. “L’acidificazione potrebbe comportare una riduzione della disponibilità del sedimento biogenico presente nel settore sommerso dei sistemi spiaggia-duna a composizione carbonatica”, ha rimarcato Simone Simeone, coordinatore dello studio per conto del Cnr – Ias di Oristano.

“Questi sistemi sono particolarmente diffusi in aree tropicali e presenti anche nei mari temperati, come il Mediterraneo, dove costituiscono siti di grande pregio ambientale, ad esempio la spiaggia rosa di Budelli, nella Sardegna nord orientale. La dissoluzione dei carbonati dovuta all’acidificazione, causa una perdita netta di sedimento e un’inversione del bilancio sedimentario di queste spiagge. Recenti studi indicano come l’effetto combinato dell’acidificazione sugli organismi produttori di materiale biogenico e sul sedimento biogenico sommerso, porti ad un considerevole deficit sedimentario. Una diminuzione del pH – precisa Simeone – potrebbe condizionare in maniera rilevante l’abbondanza di questi organismi negli ecosistemi marini”.

Il problema, dunque, sta nella riduzione/distruzione di quei sedimenti marini che alimentano i tratti costieri e ne costituiscono le fondamenta. “Alcune spiagge, da ambienti in progressivo accrescimento o in equilibrio, potrebbero trasformarsi in ambienti in erosione. La ricerca dimostra come l’effetto dell’acidificazione sul sistema spiaggia-duna, combinato al previsto innalzamento del livello del mare, potrà incrementare l’arretramento della linea di riva, l’erosione del sistema spiaggia-duna e gli effetti negativi delle inondazioni”, conclude Emanuela Molinaroli, docente di geomorfologia e sedimentologia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

La foce di un canale naturale in spiaggia, importante apporto di materiale solido e sedimenti per contrastare l’erosione costiera. L’erosione costiera in Italia appare preoccupante, anche se aumentano le informazioni utili per contrastare il suo avanzare. In base ai dati raccolti dalla Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque presso il Ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare, le variazioni della linea costiera dal 1960 al 2012 hanno fatto registrare un arretramento di 92 km quadrati (interessando 1534 km di coste, il 23 per cento del totale) ed un avanzamento per 57 km quadrati (su 1306 km costieri, il 19 per cento del totale), da cui un bilancio negativo di 35 km quadrati di litorali andati perduti.

I tratti costieri maggiormente a rischio erosione, risultano essere quelli di Emilia Romagna, Abruzzo, Marche e Calabria, con un dato medio nazionale del 10 per cento della costa bassa, mentre sono 669 i km di coste con beni (centri abitati, strade e ferrovie) esposti a potenziale rischio di erosione costiera, ovvero posti a una distanza di 20 metri dalla linea di riva in arretramento.

Secondo un dossier di Legambiente, aggiornato al 2015, il 42 per cento delle spiagge italiane è in erosione, con situazioni preoccupanti in Molise, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Marche e Lazio. Oltre ai cambiamenti climatici, tra le cause lo studio pone l’intensa antropizzazione delle coste (consumo di suolo costiero per costruzioni private e infrastrutture), l’impoverimento dell’apporto di materiale solido dai fiumi e gli interventi stessi di mitigazione dell’erosione, non sempre risultati efficaci a contrastare il fenomeno.       

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