di VERONICA MOI
Qualunque sardo conosca lo status di fuori sede o emigrato sa benissimo che bisogna evitare di partire senza i prodotti della nostra terra, soprattutto perché alcune cose non si trovano, altre costano il doppio e non sono come quelle fatte in casa.
Durante le festività natalizie è comparso lo spot pubblicitario di una grande catena di supermercati, che ritrae proprio una scena simile, se non fosse per coloro che gridano al potere d’acquisto “maschilista” e danno della “povera donna” a una madre che parla in dialetto.
Per chi non lo avesse visto, la scena è questa: un giovane riceve una telefonata che gli comunica la sua nuova posizione lavorativa. Nel clima di festa, tutto sembra improvvisamente spegnersi, compreso lo sguardo della fidanzata, che non dice nulla. La madre si affretta a riporre il caciocavallo nella valigia, in mezzo alle camicie, ma il giovane, infastidito, chiede di toglierlo perché i vestiti si sgualciscono. Arriva allora il padre che con una carta prepagata risolve il problema, dicendo al figlio che così può comprare i prodotti tipici direttamente alla filiale più vicina di quel supermercato.
Conseguenza dello spot, sono insorti coloro che considerano un problema il fatto che la madre parli il dialetto, il padre un perfetto italiano e che questi detenga quella carta/buono, simbolo del potere d’acquisto.
Dovremmo ripensare al modo di utilizzare i termini, ormai tutto è sessista e classista. In realtà, la madre che parla il dialetto non è certo una “povera donna” per questo, e neppure il padre è imprescindibilmente colto solo perché parla un italiano corretto (senza fare, peraltro, grandi discorsi). Quel che ci insegna questa pubblicità è che spesso i pregiudizi e i preconcetti stanno solo dentro la nostra testa perché chi parla il dialetto è semplicemente una persona legata alla propria terra.
Sono cresciuta bilingue e, da laureata, penso che saper parlare fluentemente la lingua delle proprie origini sia un enorme valore, soprattutto perché in italiano alcune cose sono inesprimibili con la stessa potenza semantica. Ogni lingua ha le sue peculiarità, può essere più o meno difficile da imparare dal punto di vista grammaticale e fonetico ma non è certo sinonimo di becera ignoranza.
Quel che dovrebbe preoccupare, piuttosto, è la valigia di un giovane che parte così triste, come lo sguardo della sua fidanzata. Per ogni giovane che non vorrebbe lasciare, probabilmente in modo definitivo, la propria terra, c’è un panorama socio-culturale ed economico che ha delle responsabilità, la prima delle quali è domandarsi cosa sta facendo per coltivare i sogni dei ragazzi. D’altra parte, chi fa le valigie ha il grosso compito di non piangersi addosso, nonostante la condizione di emigrato sia difficile. Penso che uno dei motivi per cui si studia ancora geografia nell’era di Google Maps, sia per rendere i ragazzi consapevoli che i confini sono solo delle linee tracciate su una mappa; bisogna avere il coraggio e la forza di uscire perché si impara tanto. Bisogna trovare una fidanzata o un fidanzato che sappiano gioire dei successi professionali dell’altro/a, anche se è difficile stare lontani. Bisogna imparare a dare il giusto valore alle cose e alle persone, insomma.
per gentile concessione de https://www.arborense.it/