IL REGNO DI MAMUTHONES E ISSOHADORES: MAMOIADA, LADDOVE VIVE LA TRADIZIONE

immagine di Angelo Cucca
di COSTANZA LODDO

Incastonato tra i maestosi rilievi del Gennargentu e gli aspri profili del Supramonte, Mamoiadaè un piccolo paese dalla fiera tradizione agro-pastorale che si trova nella Barbagia di Ollolai. Questo borgo barbaricino si erge a circa 650 metri di altitudine, a nord delle propaggini del Gennargentu, e si adagia su un territorio circondato da valli e da dolci colline, che si vestono dei colori di viti e castagni: qui la natura è magnifica e si scopre allo sguardo di chi la contempla con paesaggi bucolici, incorniciati dall’intenso profumo dell’uva che, maestosa, prospera nei vigneti circostanti. Cannonau e Granazza, particolari uve autoctone, sono identità e ricchezza di questo paese, perché Mamoiada è da sempre terra di vini pregiati, rossi corposi e bianchi superbi D.O.C. che conquistano al primo sorso: basta un bicchiere e il sapore è quello della fertile terra granitica che nutre i vitigni, del clima così temperato che li accarezza, della fierezza del popolo mamoiadino che sapientemente li cura. Mamoiada, però, è anche il simbolo del carnevale isolano, quello più puro, lontano da carri allegorici e allegre sfilate, ma vicino, piuttosto, a una severa cerimonia rituale, legata ad un passaggio primordiale tra morte e rinascita, che si accompagna a un grave silenzio e a cui si assiste con un sacro e profondo rispetto. Mamoiada è il regno di Mamuthones e Issohadores che incedono per le vie del paese, grotteschi e sinistri i primi, con passi pesanti e cadenzati, leggiadri e pittoreschi i secondi, con movenze leggere e aggraziate: arrivano al calar della sera, quando il 17 gennaio si accendono i fuochi per Sant’Antonio Abate, preceduti dal fragore cupo e compatto di campanacci e sonagli. Mamuthones e Issohadores sono l’anima di Mamoiada, le maschere sarde più note al mondo, affascinante oggetto di studi sempre più numerosi. I primi sono esseri infernali, figure demoniache con una lignea maschera nera dai tratti di pena e dolore, che vestono pelli ovine e portano sulla schiena “sa carriga”, circa trenta chili di campanacci: il loro nome rimanda a “su Maimone”, il diavolo per la tradizione popolare. I secondi, invece, li scortano, indossando una maschera stilizzata dai colori chiari, e sono abbigliati elegantemente con capi maschili e femminili: il loro nome deriva da “sa soha”, un lazzo di giunco con cui catturano le persone. Il significato di questo cupo cerimoniale non è stato del tutto chiarito, avrebbe dei legami con la cultura nuragica ed elementi che si ritrovano nell’antichità mediterranea: assistervi suscita sensazioni difficili da descrivere. A quel suono forte e lento, a quella danza solenne e severa, lo spirito viaggia a ritroso nel tempo, il sangue ribolle, la pelle si ingrossa, un brivido avvolge la spina dorsale e le viscere si aggrovigliano, come se un legame primordiale premesse per riemergere: sono tracce di una memoria che si risveglia, stimoli di un arcaico passato che prepotente ritorna, residui di un sacro rituale dove il mondo di sopra e quello di sotto si invertono.

Vini pregiati, affascinanti riti ancestrali, ma anche forte spiritualità, legata a culti di origine bizantina, siti archeologici e sapienti tradizioni artigiane. Sono tanti i motivi per fare un salto in questo paese, il cui nome – Mamujada, in sardo barbaricino – ha ispirato varie ipotesi: tra le più accreditate vi è quella che lega le sue origini alle sillabe protosarde “Ma-Muia-Da”, con il significato di “col servo di Dio”, e quella che, invece, le collega al verbo latino “manubiare”(sorvegliare) con il significato di “luogo di presidio e controllo militare”.

Al di là delle opinioni discordanti sulle origini del toponimo, è comune certezza che il passato di questo paese sia antichissimo e che il territorio di Mamoiada sia stato frequentato sin dalla preistoria. Tanti sono i nuraghi, le domus de janas, le tombe dei giganti, i dolmen e i menhir che testimoniano la presenza passata degli antichi Sardi: tra i vari rinvenimenti, spicca il misterioso menhir “Sa Perda Pintà”, noto anche come “Stele di Boeli”, inciso in superficie con particolari decorazioni e risalente alla cosiddetta “cultura di Ozieri” (3200 – 1800 a. C.). Anche i Romani calpestarono queste terre, nei pressi delle quali passava la storica strada che dall’antica Caralis portava a Olbia; secondo alcuni, infatti, Mamoiada sarebbe stata in origine una stazione romana chiamata “Manubiata”, fondata con il compito di presidiare e controllare il territorio: all’epoca romana risale la fontana di “Su ‘Antaru Vetzu” e l’antico quartiere “Su Castru”, rimanda al termine latino “castrum”, ossia “recinto fortificato”. Infine, tracce del passaggio dei Bizantini si rilevano nel culto dei santi Cosma e Damiano e nel santuario loro dedicato a pochi passi dall’abitato. Al Medioevo, però, risalgono le prime notizie certe sul centro, quando il paese faceva parte della curatoria della Barbagia di Ollolai, nel Giudicato di Arborea, e il suo nome compariva nei primi documenti scritti, con le forme di “Marmorata”, “Marmoiada” e “Mamoyata”. Successivamente, con l’arrivo dei conquistatori spagnoli, la villa di Mamoyata conobbe secoli di sfruttamento da parte di varie signorie feudali:nel XVII secolo, quando il controllo signorile si fece più aspro, gli abitanti iniziarono un faticoso processo di liberazione con l’istituzione di un consiglio amministrativo e del Monte Granatico, che terminò nel 1838, con il riscatto del feudo. Nel Novecento, infine, Mamoiada conobbe la fama anche oltre i confini isolani grazie ai magici riti del carnevale e alle misteriose maschere locali.

Tra storia, tradizioni, cultura, natura e spiritualità le attrazioni mamoiadine sono numerose. Per avvicinarvi al remoto passato del paese, tra gli innumerevoli siti archeologici, tappa obbligata è il già citato menhir “Sa Perda Pintà”, una grossa statua-menhir granitica dalle misteriose incisioni che la rendono unica in Sardegna: i simboli rappresentati sono collegati ai culti della fertilità e del ciclo morte-rinascita, peculiarità delle comunità agricole nell’era neolitica. Meritano, inoltre, le domus de janas custodite nella piccola necropoli di “Sa Conchedda Istevene”: una delle tombe presenti conserva particolari elementi simbolici, tra cui una protome taurina, un fatto piuttosto raro nelle domus de janas rinvenute nel Nuorese. Per ulteriori approfondimenti potrete recarvi, inoltre, presso il museo dell’Archeologia e del Territorio che offre un percorso narrativo e multimediale sui trascorsi del territorio e della comunità. Nel vostro soggiorno mamoiadino non può mancare, poi, una visita al museo delle Maschere Mediterranee, in cui potrete ammirare le magnifiche maschere locali, ma anche altre rappresentazioni del carnevale barbaricino e le maschere di altri paesi europei e mediterranei. Un’altra interessante rassegna sulla storia, sulla cultura e sulle tradizioni locali vi attende, infine, nel museo della Cultura e del Lavoro che custodisce anche una meravigliosa collezione di abiti tradizionali. Mamoiada, però, è anche un luogo carico di spiritualità religiosa che traspira dai numerosi luoghi di culto racchiusi nel territorio: nel centro storico, tra strette e intricate viuzze e le tipiche case barbaricine in granito, spicca la graziosa chiesetta di Nostra Signora del Loreto, chiamata anche “Loreto de bidda”: probabilmente costruita in epoca medievale, la sua particolarità è nella forma circolare chiusa da una cupola a base esagonale. Altro interessante luogo di culto è il santuario dedicato ai santi bizantini Cosma e Damiano, uno dei più suggestivi dell’Isola: l’antica chiesa medievale è racchiusa da un piccolo villaggio di “cumbessias”, le case dei pellegrini, e sorge sull’altipiano di Lindana, a sud-ovest dell’abitato.

Fare un salto a Mamoiada significa anche godere della natura circostante. Alle colline ammantate dai profumati vigneti, si alternano abbondanti sorgenti e corsi d’acqua, e magnifiche distese di pascoli, attraversate da numerose greggi. La pastorizia, altra peculiare attività locale, ha plasmato il paesaggio, in cui si snodano i famosi “sentieri dei pastori”, le storiche strade della transumanza, da cui si possono intraprendere meravigliose escursioni in bici o a piedi. Le valli e le colline lasciano, poi, spazio ad un territorio che diviene via via più carsico, dove svettano luminosi e folti boschi di rovelle, dal prezioso sottobosco: nelle stagioni più calde potrete avventurarvi in questi luoghi e andare alla ricerca di prelibate specie di funghi, quali l’ovolo e il porcino.

Mamoiada attrae anche per la sua tavola che abbonda di prodotti prelibati e di genuina bontà. Oltre ai vini, sopraffina è la produzione del pane, dei formaggi,tra cui spicca il famoso “casu marzu”, ma anche quella dei salumi, delle carni destinate agli arrosti e dei dolci. Simbolo del paese è il dolce protagonista del carnevale, le famose “orulettas”, le chiacchiere intrecciate e cosparse di zucchero a velo. Eccellente è altresì l’artigianato locale che si focalizza specialmente nella lavorazione delle “vistras”, le maschere indossate da Mamuthones e Issohadores. Pregiata è poi la lavorazione de “sas lesorjas”, i coltelli tipici, e anche quelle del ferro battuto, del ricamo e, ancora, la realizzazione di miniature e riproduzioni delle maschere locali.

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