MEMORIE DALLA GRANDE GUERRA: IL CORPO D’ARMATA SPECIALE DEL GENERALE DI GIORGIO

Questo monumento, dedicato al fiume Piave, fu  inaugurato  nei pressi della sorgente del Piave, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia.

di DARIO DESSI’

CAPORETTO

“Ah! Quanta gente ho vista

Venir giù lasciare il tetto

Pel destino fatal di Caporetto,

Profughi ovunque dai lontani monti

Venivano a gremire tutti i suoi ponti.

Dalla “Leggenda del Piave di E. A. Mario

 

24 ottobre 1917 Operazione Waffentreu. Lo schieramento nemico era costituito dalla 14° armata austro tedesca, che comprendeva 88 battaglioni in prima linea, 34 in seconda linea e 41 di riserva. In numeri, 856 battaglioni italiani erano schierati contro 574 battaglioni austro tedeschi, mentre 6918 bocche da fuoco italiane si opponevano a 5255 cannoni nemici. Oggi è ancora inspiegabile come sia stato possibile che  oltre 600.000 soldati avessero rifiutato di combattere con la piena convinzione di por termine alla guerra, gettando le armi e andandosene a casa.

 

Tutti e tre i corpi l’VIII,  il XXVII e  il VII della II Armata avevano gettato le armi e si erano sbandati. Chi sapeva taceva.

 

Nella storia dell’umanità, l’offensiva di Caporetto è considerata uno dei più grandi scontri armati avvenuti in territorio montuoso e fu quella anche una delle prime operazioni belliche condotte con alcuni criteri propri della guerra lampo.

Era stata, inoltre l’operazione di sbandamento meglio riuscita nella 1° Guerra Mondiale che aveva posto la parola fine a tutti i logoranti e sanguinosi combattimenti, che avevano avuto luogo  lungo le sponde del Fiume Isonzo.

Non esistendo più alcuna  posizione d’arresto, era stato possibile al nemico, organizzatosi con reparti di punta e truppe celeri, procedere d’infilata a bordo di motocarrozzette da inseguimento, armate di mitragliatrice leggere e seguite, a distanza, da divisioni armate con artiglierie campali.

Da parte italiana era mancata la  consultazione di un piano organico di ritirata e pertanto i soldati del Regio Esercito, che non era mai stato addestrato alla ritirata, senza istruzioni adeguate, erano stati costretti a una rotta precipitosa dal nemico che incalzava da tutti i lati. Chissà perché non era stato ritenuto consigliabile insegnare alle truppe italiane come eseguire una ritirata strategica davanti al nemico?

Forse per evitare di compromettere lo schieramento e l’allineamento ordinato degli altri reparti nel resto del fronte?

 

24 ottobre 1917Alla sera di quel primo giorno dell’offensiva Waffentreu “Fedeltà d’armi”, considerata anche la 12° Battaglia dell’Isonzo, i reparti di una divisione tedesca erano già arrivati al vecchio confine italo-austriaco.

In sostanza, tutto il territorio che era stato faticosamente conquistato dal R. Esercito in ben 26 mesi di guerra e nel corso di 11 sanguinose offensive, costate la bellezza di quasi 600.000 perdite tra morti, feriti e dispersi, era stato rioccupato dal nemico in meno di un giorno. E pertanto….il Generale Cadorna ordinava la costituzione di un:

 

IL Corpo d’Armata Speciale( CAS), comandato dal generale Di Giorgio.era composto da due divisioni: la 20° comandata dal generale Lorenzo Barco e la 33° agli ordini del generale Carlo Sanna; entrambi avevano il compito di proteggere i ponti di Dignano, Pinzano, Pontalba, Comino e Trasaghis sul Tagliamento e contemporaneamente di salvaguardare la ritirata ordinata della III Armata.

Il 31 ottobre 1917Il generale Di Giorgio rivolgeva con energia e risolutezza le seguenti parole alle sue truppe:

 

“Ora che i carriaggi sono tutti sfilati, che gli sbandati degl’ altri corpi sono ripiegati, intendo che l’ordine sia assoluto e mantenuto a tutti i costi, intendo che intorno alle valorose truppe delle due divisioni sia stabilita una zona perfettamente risanata. Gli sciagurati che per avventura si annidassero,  ancora, fra le truppe delle divisioni devono essere spietatamente soppressi prima che facciano divampare la spaventosa infezione.

Ordino, pertanto, in modo perentorio, che tutti i militari dei corpi dipendenti, che abbiano abbandonato il proprio reparto, siano  immediatamente  passati  per le armi

in presenza del reparto più vicino raccolto in armi. L’ordine può essere dato senza procedimento di sorta da qualunque ufficiale superiore, in seguito all’evidenza del fatto constatata da un ufficiale. Di fronte al minimo segno di resistenza, ogni graduato ha il dovere di far uso delle armi. Si disponga che pattuglie comandate da ufficiali energici accompagnati da carabinieri perlustrino continuamente la zona compresa tra il fronte e la linea Travesio Valeriano.

I comandanti di divisione dispongano altresì che un ufficiale superiore ispezioni e controlli il servizio delle pattuglie. Agli ufficiali colpevoli di negligenza in questo servizio sia inflitto il rimprovero solenne; gli ufficiali sorpresi a contraddire palesemente gli ordini ricevuti, siano deferiti a un tribunale straordinario per rifiuto di obbedienza e codardia. Il rinculare di fronte al compimento di un dovere cosi tragico e doloroso è codardia non minore di quella che fa rinculare di fronte al pericolo personale. L’ufficiale, se uno ve ne fosse, che in modo evidente opponesse con la sua apatia una resistenza passiva al presente ordine e fosse oggetto di scandalo, deve essere passato per le armi senza procedimento. Tale ordine non può essere dato che da un ufficiale generale.  Cogli sbandati senza armi non si esiti ad adoperare anche il bastone. Essi con l’aver gettato via l’arma che la Patria aveva loro affidato per la sua difesa, si sono spogliati da se della veste di soldati, si sono messi da se fuori dalla legge.

Sappiano tutti i componenti delle due valorose divisioni che la salvezza della Patria e del re, l’onore della Nazione e dell’Esercito, sono nelle loro mani. Sarà loro gloria l’averli salvati. A nessuna truppa è mai toccato l’onore, la fortuna di battersi con un compito così grande come quello che invece incombe a noi in questo momento. Mostriamocene degni”.

 

Pur non avendo, in quei momenti difficili,  una solida coesione organica, il Corpo d’Armata Speciale, era sempre una grande unità che avrebbe conservato, fino allo schieramento del Regio Esercito nel nuovo fronte lungo il fiume Piave, oltre a una notevole capacità di resistenza,  anche una discreta attitudine alla manovra.

Tuttavia, se I tedeschi stavano arrivando voleva  dire che avevano intenzione di continuare a far la loro guerra, e a quel punto la paura aveva incominciato  a insinuarsi anche tra i borghesi e furono, così, in molti, coloro che, dopo aver preparato un frettoloso fagotto, iniziarono a unirsi ai soldati, contribuendo, in tal modo, a rendere la situazione più caotica nella via della fuga.Cosa che, di certo, nonavrebbe favorito le operazioni di  quei reparti  regolari che stavano  cercando di fare tutto il possibile per opporsi all’avanzata del nemico.

 

Bollettino di Guerra n. 888:“I movimenti ordinati dal Comando Supremo si compiono regolarmente. Le truppe incaricate di fronteggiare l’avversario adempiono il loro dovere, rallentando lo sbocco in piano delle forze nemiche”.

 

GIOVEDI’ 8 novembre 1917L’ultimo bollettino di guerra, firmato da Cadorna, il N. 898, fu emanato dal Servizio TelegraficoMilitare  dello Stato Maggiore: “Nella giornata di ieri è proseguito il ripiegamento della nostra linea.

 Il movimento dei grossi calibri ha potuto compiersi indisturbato. Le truppe di copertura con numerosi combattimenti valorosamente sostenuti tra le colline di Vittorio e la confluenza del Monticano nel Livenza  hanno ritardato l’avanzata all’avversario.

I nostri aviatori, vincendo l’accanita resistenza degli aerei nemici, rinnovarono i bombardamenti sulle truppe avversarie nel  Tagliamento. Risultano abbattuti cinque  apparecchi nemici.

 

GIOVEDI’ 8 novembre 1917. Nel frattempo, tra Chiarano e Cessalto e a Gorgo al Monticano alcuni reparti dei Granatieri di Sardegna e alcuni plotoni della Brigata “Sassari” stavano impegnando duramente le avanguardie austriache.Una volta ricostituito e rimesso in efficienza, il Regio Esercito, avrebbe avuto il non facile  compito di  riconquistare i territori perduti e di  cancellare l’onta dell’infamante  sconfitta di Caporetto.

 

VENERDI’ 9 novembre 1917.Il tratto di strada ferroviariaUdine Veneziaaveva continuato a funzionare, ininterrottamente, fino al momento in cui erano state intraviste le prime pattuglie nemiche  e si erano udite le prime fucilate e le prime raffiche delle mitragliatrici.Alle 4 del mattino del 9 novembre sul ponte  ferroviario di San Donà di Piave era transitato l’ultimo lunghissimo convoglio militare.Trasportava mezzi speciali, trainava carrozze civili cariche di militari feriti, diretti agli ospedali nelle retrovie del nuovo fronte e vagoni merci con a  bordo profughi fortunati , che avevano trovato posto per loro e le  poche cose che erano riusciti a raccogliere in fretta e furia, per non perdere quel treno che rappresentava l’ultima occasione di scampo e di libertà.

I genieri della III Armata, intanto,  erano sul punto di a far brillare le mine che avrebbero fatto saltare il ponte.

Alle 5 del mattino furono fatti brillare i ponti di San Donà e di Ponte di Piave.

Poco dopo, sotto una pioggia fitta e mentre soffiava un forte vento, arrivava il 145° reggimento della Brigata Catania.Il ponte stradale di Ponte della Priula era rimasto praticabile sino alle prime ore del pomeriggio; questo per permettere, il più a lungo possibile, il passaggio dei profughi e il retrocedere degli ultimi fanti del Regio Esercito: un battaglione della Brigata Sassari, comandato dal maggiore Musinu.

A questo proposito una lapide su una fiancata del Ponte della Priula recita: “9 novembre 1917 Il battaglione complementare della Brigata “Sassari”, già schierato in azione ritardatrice  sulle alture di Feletto di S. Pietro (TV) – estremo reparto di retroguardia, supera il ponte della Priula alle ore 14 del giorno 9 novembre”.

 

Quei fanti erano proprio gli ultimi. Il nemico aveva occupato Collalto.

L’esercito d’Italia finiva con quei prodi.

 

La Brigata “Sassari”, nei giorni che precedettero lo sfondamento del fronte a Tolmino e a Plezzo, si trovava a San Giovanni di Manzano, in addestramento assieme ai corpi degli arditi e perciò, puressendo parte integrante della IIArmata,  non era stata  coinvolta in quell’ incredibile rotta disordinata dei soldati che appartenevano a quella potente unità.

Anzi,fu, quasi subito, chiamata ad allinearsi in seno al Corpo Speciale, agli ordini del Gen. De Giorgio, col compito di cercare di fermare o quantomeno di rallentare l’irrompente avanzata del nemico e proteggere, inqualche  modo, la ritirata dell’intera III Armata.

 

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