di ANTONELLA DE SANTIS
Azienda vitivinicola, agriturismo, wine resort: le Tenute Delogu sono un sistema che ruota attorno al mondo del vino ma non si limita alla produzione in vigna e in cantina. Perché l’accoglienza è un tutt’uno con l’anima enologica. Del resto Piero Delogu è un imprenditore che la sa lunga: un passato nel settore della zootecnica, entusiasmo da vendere e la lungimiranza di chi sa come valorizzare risorse, territorio, talento dei luoghi e delle persone. E la precisione con cui porta avanti il suo progetto lo dimostra. A 10 anni di vita, le Tenute Delogu continuano a macinare riconoscimenti e premi, e quest’anno arrivano i Tre Bicchieri per il Vermentino di Sardegna Die 2017. Un vino che nasce tra le vigne di Palmavera, primo nucleo dell’azienda, e quelle a pochi chilometri di distanza, dove oggi si trova al cantina e tutta la struttura, nelle campagne di Alghero. Un’area a forte vocazione agricola e vitivinicola, per via di un microclima costante, particolarmente favorevole alla vite. Tant’è che le prime testimonianze del vino, qui, si fanno risalire a 3000 anni fa. A questa eredità Delogu si è ispirato quando ha deciso di rilanciare la viticoltura nella zona nuragica di Palmavera, dando seguito ai racconti di chi favoleggiava di uve magnifiche e grandi vini. E così è stato. Cominciando a lavorare al fianco di enologi e cantinieri e mantenendosi sempre fedele a due punti chiave: resa e tempo. Circa 50 quintali a ettaro, e la giusta attesa: “oggi vendiamo i rossi 2014” dice con orgoglio, e aggiunge che anche nei bianchi occorre rispettare certi ritmi, per far sì che si possa creare quella prolifica sinergia tra terra, uomo, tempo e vite. Come emblematicamente raccontato dai nomi dei suoi vini.
Non nasce viticoltore, ma imprenditore. Può raccontarci come ha approcciato al vino? Sono solo 10 anni che mi dedico al vino, ma è una passione profonda e una tradizione di famiglia. Tutto è fatto con sentimento anche perché, in questo settore, il business lo fanno le grandi industrie, al nostro livello ce ne è ben poco. Queste sono cose che si fanno per amore per la terra, perché si vogliono seguire certi valori e fare un certo tipo di lavoro. Conosco ogni cosa di questa terra, controllo tutto: l’uva, la vinificazione; anche se ci sono enologi e cantinieri non importa, perché credo si debba essere presenti.
Come sei arrivato al vino? La mia esperienza è sempre legata alla terra: avevamo progettato circa 30 anni fa un impianto di mungitura, che si chiamava Agritalia, oggi lo usano più di 1000 aziende agricole. Poi abbiamo diversificato le attività, non per una strategia industriale, ma per passione: sentivo di dover fare qualcosa di diverso.
Non era nei suoi progetti il vino però. Avevo acquistato un terreno con delle vigne a Palmavera, quasi sul mare. A un passo da uno dei più grandi villaggi nuragici, con resti sotterranei vecchi di 3mila anni; lo avevo preso per edificarlo, poi ci sono stati dei blocchi e non ho potuto costruire. Gli anziani mi hanno detto che l’uva e il vino di quella zona erano i migliori di tutta l’area. Da lì è partito tutto: ho cominciato a fare il viticoltore proprio su questi terreni. Poi ho acquistato altri ettari a 10 chilometri di distanza, dove oggi ci sono i vigneti, l’agriturismo e le stanze.
È tra Santa Maria La Palma e Sella & Mosca, due colossi del vino. Come è il rapporto tra piccole e grandi aziende? Per noi è bellissimo stare in questo territorio: facciamo parte del Consorzio di Alghero e siamo insieme a cantine così grandi, che fanno milioni di bottiglie mentre noi siamo intorno alle 100mila. Per noi è una cosa fondamentale, volendo possiamo anche chiamare i vini con la denominazione Alghero: è un rapporto perfetto, da quel punto di vista.
Come vede la Sardegna nel mondo nei prossimi anni? Pare che il vermentino sia uno dei 6 vitigni italiani che girerà di più nel mondo. Un’uva tipica della Sardegna ma presente anche di altre regioni, che si continua a impiantare. A testimonianza di quanto interesse sia suscitando. Credo che ora sia importante lavorare bene sulla comunicazione non solo per far scoprire il vino, ma soprattutto per far conoscere le differenze che ci sono tra un Vermentino e l’altro.
Come è l’annata 2018? La vendemmia 2018 è tragica, nel nord Sardegna ha piovuto tanto, molti hanno usato prodotti sistemici per combattere malattie, noi ne abbiamo impiegati meno e abbiamo avuto delle perdite, ii alcuni casi importanti, come per l’uva da tavola: in 3 ettari abbiamo perdite intorno all’80%.
È la prima volta che il territorio di Alghero viene premiato con un Vermentino di Sardegna. Cosa ha di particolare? Senza togliere niente al vermentino di Gallura, che è il primo in Sardegna, anche la piana di Alghero è importante per questi vini. Per la brezza che arriva dal mare, il microclima e le escursioni termiche. Penso che il Vermentino della piana della Nurra abbia un grande valore con mineralità e profumi importanti.
Quale è il segreto di questo Vermentino? Per il Die parte delle uve arriva dalla zona di Palmavera, il resto dalle altre vigne che nascono su terreni argillosi, lavoriamo tenendo la resa dai 40 ai 60 quintali per ettaro. Quest’anno, poi, abbiamo usato la formula del batonnage affinché i profumi rimangano tutti nel vino: dopo una decina di giorni dalla fermentazione lo mettiamo in movimento quotidianamente. Otteniamo così un’acidità perfetta.
Ego, Geo, Die e Ide: sono i nomi dei suoi vini. Da dove arrivano? Mi piaceva che con sole tre lettere si potessero avere due nomi che hanno un significato: i nomi sono importanti. Ego e Geo sono i rossi, indicano l’uomo, l’io e la terra. Die e Ide sono i bianchi, il primo è quello premiato con i Tre Bicchieri, Die indica il giorno, mentre Ide è il nome con cui chiamiamo la vite qui. Quindi abbiamo l’uomo, la terra, il tempo e la vite.