di MARCO SCARAMELLA
È una forza della natura. Canta, recita, insegna e fa la regista. È uno degli esempi della perseveranza e della passione dei sardi, in giro per il mondo. Incarna la figura della chanteuse che in Francia negli anni ’20 era la protagonista dei celebri cafè chantant, ma insegna anche in una scuola di arte circense in Andalusia, il CAU. Lei è Alessia Desogus, sassarese che con la sua arte, sta riscuotendo un grande successo in terra iberica. Abbiamo fatto due chiacchiere con lei per conoscerla meglio.
Quando nasce la tua passione per il mondo dello spettacolo? Volevo fare l’attrice da quando ero una bambina. Sono cresciuta in un ambiente familiare molto sensibile sia alla musica che al teatro. Mio padre suonava le percussioni e mia madre, grande appassionata di Eduardo De Filippo, mi dava da mangiare pane e Mina. Perciò sono cresciuta con un’idea chiara nella mente: fare l’attrice. Dopo un fortuito incontro con Pierpaolo Conconi, regista de La Botte e il Cilindro di Sassari, ho fatto un laboratorio teatrale con loro e, così, ho iniziato a frequentare il teatro, ed il teatro a frequentare me, senza mai smettere. Quindi ho iniziato a studiare teatro a Sassari, con il maestro Emmanuel Gallot Lavallée, e a fare i primi incontri importanti, sia umanamente che professionalmente: Antonello Zicconi, Paolo Piana, Daniele Coni, Laura Calvia, Michele Manca, Rachele Falchi.
C’è un momento in cui hai capito che questa sarebbe stata la tua strada? La vita è strana. Ad un certo punto ti accorgi che tra tutte le cose che fai, ne funziona solo una. Ho iniziato a capire che il teatro poteva essere la mia strada, perché è ciò che mi dà la possibilità di calmare il mio spirito inquieto, e che riesce a tenere a bada la mia follia latente. Ho capito che il teatro era la mia strada perché è ciò che mi fa sentire più viva.
Com’è stato il tuo percorso artistico? Se decidi di non accontentarti di quello che hai, la gavetta in questo lavoro non finisce mai. Una delle mie certezze era la necessità di partire, di viaggiare e di studiare. Così ho deciso di trasferirmi a Ibiza per specializzarmi nello studio del clown. La tappa successiva di questo viaggio è Granada dove, nonostante alcune difficoltà, tra le quali la lingua, mi sono dedicata alla musica visto che mi è sempre piaciuto molto cantare, e la cosa ha subito funzionato. Parigi ha, invece, segnato una svolta nella mia vita grazie all’incontro con Philippe Gaulier, maestro di attrici del calibro di Emma Thompson, e uno delle persone più importanti, dal punto di vista artistico, che abbia mai conosciuto. Tutto ciò è stato il motore per scoprire la mia personalità artistica, che mi consente di portare qualcosa di autentico sul palco.
Hai viaggiato tanto per inseguire il tuo sogno. Come mai ti sei fermata in Spagna? In realtà, ho scelto Granada per amore. Qui sono successe tante cose che mi hanno portata poi a sviluppare e creare progetti. Anche se Granada non è la sede dove conto di stare per sempre, è un punto di partenza che mi permette di far conoscere i miei progetti a livello nazionale. Questo è l’obiettivo del lavoro che sto portando avanti da un punto di vista musicale, ma anche pedagogico, in qualità di maestra di teatro.
Raccontaci un po’ dei tuoi lavori. Ho iniziato con la commedia dell’arte, esibendomi in strada. Ad un certo punto mi sono dedicata di più alla musica ed al cafè chantant: quel famoso cabaret della chanteuse, figura un po’ cantante e un po’ comica, che negli anni ‘20 e ’30 è stata così importante in Francia. In quest’ambito i miei spettacoli da cantante/attrice sono basati sul rapporto con il pubblico. Uno dei più importanti è “Casi in blanco y negro” col quale sono stata ospite sia al Festival del cabaret di Città del Messico, in rappresentanza della Spagna, che al Teatro Fernán Gómez di Madrid. Questo spettacolo è stato ospitato anche a Sassari in occasione di Ottobre in poesia. “Lady sing the blues” è una sorta di spettacolo monografico sulla musica di Billie Holiday. In “Le Donne d’oro” il mio personaggio gioca e sogna, saltando da un tema di Mina ad uno di Audrey Hepburn o di Rita Hayworth. Il mio ultimo lavoro, invece, si chiama “Calling America”. È uno spettacolo in cui sono circondata da musicisti pazzeschi. Negli arrangiamenti utilizziamo degli strumenti particolari come il seghetto (utilizzato nei film muti per gli effetti sonori) e il theremin, oltre a mandolino, contrabbasso, pianoforte e batteria. Calling America parla del sogno americano, e di chi parte alla ricerca di qualcosa di migliore nella propria vita. Si parte sulla grande nave, si dice addio e si guarda l’orizzonte sperando in un futuro migliore. Senza dimenticare che un tempo anche noi siamo stati migranti in cerca di fortuna.
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