di ALBERTO MEDDA COSTELLA
Sono le parole utilizzate dalla Pro loco di Meana per presentare il lavoro di Raffaele Cau, raccolto nel libro Sambanaus de Meana (Ortacesus, 2017). In effetti l’argomento non è tra i più semplici e in questo bisogna riconoscere che l’addetto all’Archivio Storico Diocesano di Oristano è stato abile nel proporre un tema locale e specialistico, contestualizzando nella storia della Sardegna e del Mediterraneo fatti ed eventi dei casati meanesi.
Questa è peraltro una delle raccomandazioni rivolte costantemente agli storici che si occupano di microstoria, una corrente specializzata della storia moderna che privilegia gli episodi legati ai gradini più bassi della scala sociale o dei territori più “marginali”. E dalla microstoria sono venuti veri e proprio capolavori. Il più noto, forse, è Il formaggio e i vermi, un saggio storico di Carlo Ginzburg, dove si racconta d’un processo a un mugnaio friulano accusato di eresia.
L’autore di Sambanaus de Meana provvede fin dal principio a fornire le chiavi di lettura per poter gustare il suo lavoro di scavo e ricostruzione, fornendo nell’introduzione le coordinate per orientarsi fra gli eventi storici della Sardegna.
In questo, non sfugge come gli scritti degli archivi non siano sempre nella medesima lingua, ma seguano i mutamenti del clima politico del tempo, a volte sono redatti in sardo antico, in catalano, in castigliano, in latino o in italiano.
Ma andiamo con ordine. Fondamentale per poter ricostruire gli alberi genealogici di Meana è stata la consultazione dei Quinque libri, i registri istituiti col Concilio di Trento (1545-63), in cui si annotano ancora oggi gli atti di Battesimo, Cresima, Matrimonio, Morte e gli episodi legati alla vita comunitaria, tanto religiosa quanto civile: il cosiddetto “Stato delle Anime”.
Esiste peraltro una letteratura specifica sulla difficoltà di applicare i dettami di quel Concilio. Si pensi solamente al ritardo dell’istituzione dei seminari, spesso centenario, in alcune zone. Corsica e Sardegna per esempio venivano definite le Indie di quaggiù, terre da evangelizzare al pari del Nuovo mondo. Usi e costumi che, come rileva Raffaele Cau, dovevano essere corretti non solo su richiesta dei prelati, ma anche su sollecitazione od ordine dell’autorità centrale.
A ogni modo il primo battesimo registrato a Meana è del 1597. Già da questo si denota l’uso spagnoleggiante dei nomi: Sebastiano De Muruviene accolto nella chiesa di Cristo dal parroco Francisco Corriga. Curioso poi, al passo coi tempi moderni, l’utilizzo del doppio cognome tra il 1600 e il 1700.
Per avere un’anagrafe di Stato bisognerà attendere il 1866, la stagione che seguirà l’unità d’Italia, rientrando essa pienamente nel complesso lavoro di armonizzazione della legislazione e degli ordinamenti amministrativi presenti nei vari stati preunitari.
Ed è proprio col Regno d’Italia che si affacciano sulla scena locale cognomi “esotici” rispetto a quelli sardi “tradizionali”. I lavori per le grandi opere, come la strada statale 128, tra il 1863 e il 1879, della linea ferroviaria Cagliari-Sorgono tra il 1885 e il 1889, quella che percorse alcuni decenni più tardi David Herbert Lawrence descritta nella sua opera Mare e Sardegna, e le attività minerarie e agricole tra la metà dell’800 e i primi del ‘900, attirano infatti diversi operatori, capitalisti o tecnici, dal Continente: Baldi (Romagna), Clemente (Puglia), Pattarozzi e Tagliazucchi, Ricci (Emilia), che fanno per il più famiglia nell’isola, trasmettendo alle generazioni a venire il loro cognome (o il patronimico).
Ci sarebbe poi da snocciolare tutta la parte legata all’origine dei cognomi locali, ma per questo rimandiamo alla lettura del libro e ricordiamo che chiunque volesse ricostruire la storia della propria famiglia, e quindi anche di parte della storia del proprio paese, deve necessariamente passare attraverso gli archivi ecclesiastici, che le diocesi mettono generosamente a disposizione di storici e appassionati. E sono veramente numerosi coloro che oggi frequentano le stanze della curia, consultando gli antichi registri con lo scopo di ricostruire gli alberi genealogici della propria famiglia. Un bell’impegno che accosta virtuosamente chi si considera “non competente” ai tesori della storia, sia pure della storia di una piccola comunità.