di CARMEN SALIS
Accade, che lo scrittore si innamori di un personaggio o di un luogo; Roberto Brughitta è innamorato della sua terra e delle storie che profumano di tradizioni antiche, quasi dimenticate.
Con l’ultimo libro, Genna di Taquisara (Edizioni Amicolibro), ci accompagna dentro un tempo passato, lasciando che la lettura ci porti a credere che quei personaggi, quei luoghi, li abbiamo visti davvero.
Roberto, cosa ami di più del mestiere dello scrittore? Quando per me sarà diventato un mestiere, te ne accorgerai, perché i mei file arriveranno dalle più svariate parti del mondo. Per ora continuerò a mandarli dal paradiso, visto che vivo in Sardegna. Per quanto mi riguarda, amo scrivere storie perché posso dare libero sfogo alla fantasia. Con la professione di burattinaio e artista, in genere non avevo mai avuto nessun problema, ma in seguito svolgendo una professione per così dire “normale”, sentivo la mia fervida immaginazione bloccata. Ecco, lo scrivere mi ha ridato quella valvola di sfogo creativa che mi mancava. Per questo amo scrivere.
Il fantastico mondo delle Janas, le pietre magiche, is Brebus. Un mondo che intriga, ma che non è più una realtà parallela alla vita di tutti i giorni. Ebbene sì, stiamo perdendo quel fantastico mondo fatto di riti scaramantici e rituali propiziatori. Si sono quasi estinti i gesti istintivi del passato. L’unica espressione che si sente dalle nuove generazioni è quella di “toccare ferro”. Solo da alcune donne residenti in città, dove tutto è più veloce e frenetico, scatta il gesto automatico di toccare un neonato dopo averne esaltata la bellezza, “Po no ddu pigai a ogu”, sussurrano. Purtroppo perderemo anche questo, così come si è perso quel parallelismo fattucchiera-Chiesa. Capitava spesso che gli scapolari con all’interno chicchi di grano, sale, erbe aromatiche e altro, che la “mazzinera” di turno ci metteva all’interno, prima di cucirli, fossero poi portati dal parroco per farli benedire. In quel caso, le parole del sacerdote non si discostavano troppo da “is Brebus”, le formule che le fattucchiere pronunciavano per caricare di energia gli oggetti. Is Brebus, iniziavano infatti sempre con il segno della croce e terminavano con un Ave Maria o altre preghiere. Due binari che andavano nella stessa direzione. Il personaggio del libro, Genna, porta appeso al collo “su Coccu”, l’amuleto sardo più potente che esista, realizzato in onice, corallo o ossidiana. Si narra che arrivi a spezzarsi pur di proteggere il cuore di chi lo indossa. Veniva quasi sempre cucito sotto i vestiti dei neonati o messo nella culla. Spesso accompagnato da un inseparabile nastrino verde.
In ogni tua storia la natura è protagonista in tutta la sua necessaria bellezza. Come spesso ho detto, io ho avuto la fortuna di vivere in città e quindi negozi, luminarie, luna park aperti tutto l’anno, mare vicino e quant’altro, ma anche la fortuna di passare tantissimo tempo in un paesino della Marmilla dove vivevano i miei nonni. I profumi e i colori della natura li sentivo solo lì. Una volta che la natura ti entra nel sangue, non puoi fare a meno di andarla a cercare appena puoi. Vivo in una bellissima isola dove c’è il mare, che amo vivere in tutte le occasioni che ci propone: nuoto, immersioni, e l’immancabile canoa con la quale quest’anno ho avuto la fortuna di partecipare all’inanellamento dei pulli di fenicotteri. Un’esperienza unica. Poi abbiamo le montagne, che seppure tra le più basse d’Italia, non certo sono meno suggestive. Come potrei non descrivere le bellezze che incontro durante le mie svariate escursioni, mi viene spontaneo. Io giro per i boschi, mi appendo sulle pareti a strapiombo, mi calo con le corde e mi addentro nelle cavità sotterranee. Genna è nata lì, dopo aver visitato la grotta di Taquisara. Niente mi verrebbe più naturale. Non amo stare per troppo tempo tra quattro mura. Purtroppo questo è un tasto dolente che mi ha creato non pochi problemi anche a livello scolastico. Il mio sguardo dopo qualche ora si posava oltre la finestra, e se non vedevo nulla, mi bastava una nuvola o la chioma di un albero per fantasticare. Sono tuttora così, il sabato e la domenica, che potrei stare a letto di più, non appena spalanco gli occhi, dopo due o tre giri tra le lenzuola, mi alzo. Se non ho nulla da fare, cosa quasi impossibile, me la invento. Cerco un attrezzo e mi invento qualcosa da fare in giardino, giusto per non stare in casa. E comunque appena posso scappo dalle mura domestiche per recarmi in laguna, oppure nelle cavità sotterranee di Cagliari, dove sono comunque al chiuso ma l’adrenalina va al massimo. Roberto, un caro amico, mi ha fatto notare che ormai nelle case non esiste quasi più la cassetta degli attrezzi. Questo è un bruttissimo segnale. Ci stanno abituando a non riparare nulla e ad acquistare un nuovo prodotto. Cento anni fa c’erano ancora tante persone analfabete che comunque tiravano su famiglia e grazie al lavoro non la facevano morire di fame, i nostri figli invece sapranno leggere e scrivere ma non riconosceranno un cacciavite a taglio da quello a croce e vivranno tra montagne di rifiuti elettrodomestici.
Sei impegnato nel sociale su diversi fronti. Quanto si può fare con la scrittura? Tantissimo. Nel mio piccolo posso dire che grazie al racconto “Trucioli di cuore” contenuto nel libro “La trilogia di Pinocchio”, di aver contribuito alla divulgazione del messaggio della donazione del midollo osseo, degli organi e del sangue. Questo grazie alla presidentessa dell’ADMO Alto Adige Emanuela Imprescia, al disegnatore Giuseppe Pisano e al presidente di “Thalassa Azione” Ivano Argiolas. “La donna farfalla”, “Oro, corallo e arcobaleno” e “I racconti del giocattolaio”, sono anch’essi pregni di spunti riflessivi. Per questo sono entrati come testo di lettura in alcune scuole. Quello che cercavo, e che spero di essere riuscito a fare, è aver parlato dell’autismo, della cecità, della bulimia, del bullismo, patologie gravi e menomazioni fisiche, in modo semplice e senza usare pietismo. Odio chi lo fa. Se inserisci nel racconto un problema, in modo naturale, come se si descrivesse un quadro alla parete, un colore, ecco… il messaggio passa senza quasi farsi notare.
Tanti i personaggi nati in questi anni dalla tua scrittura. Se potessi diventare uno di loro quale saresti? Beh, questa è troppo facile. Indubbiamente Berano, il gatto girovago e sornione di “Baci di laguna”. Tutto il giorno a spasso per la laguna, giri in barca, abbuffate di pesce avanzato, grattini nella pancia, insomma una pacchia. Per un gattaro come me è non è stato difficile immaginarmelo, mentre scrivevo il racconto, che si strusciasse nelle mie gambe. E comunque, anche il giocattolaio. Io spero ancora di diventare come l’anziano uomo che ripara i giocattoli dei bambini. A tempo perso naturalmente, ma come abbiamo detto prima, nulla si ripara più e l’odore della colla che mi aggrediva le narici quando entravo da un ciabattino o da un falegname, diventeranno solo degli sbiaditi ricordi che si depositeranno nella mia testa come le alghe di posidonia dopo una mareggiata.
Nei suoi racconti esperienze vissute intrecciano la fantasia….