LOCERI RICORDA SEMPRE I PROPRI FIGLI LONTANI: LA  IV EDIZIONE DELLA FESTA DELL’EMIGRATO

Loceri nell’immagine di Rosaria Mulas

di BARBARA REGINA

Si è svolto a Loceri, il 13 agosto, la IV edizione della Festa dell’Emigrato, nella piazza che ne porta il nome. Un appuntamento che è ormai consolidato per la comunità residente e per i loceresi che invece sono partiti per farsi una vita fuori, sempre restando legati al paese natio.
Una festa con i fiocchi, la presenza delle Autorità, la partecipazione del Coro d’Ogliastra Amistade, un ricco buffèt di salumi e formaggi offerto agli astanti, nel pieno rispetto dell’ospitalità sarda.
Partendo dal pretesto di riconosce il valore di quei sardi che nell’emigrare si fanno ambasciatori nel mondo di quanto di positivo hanno appreso nella propria terra d’origine, Loceri è probabilmente è l’unico paese in Sardegna che ha fatto del tema dell’emigrazione una festa ricorrente e un momento di riflessione ciclico che, mai come oggi in tutta la nazione, è importante affrontare.
I premiati di quest’anno sono stati Luigi Bonano, per essere a Trieste lo stesso punto di riferimento, nel sociale e nello sport, che era tra i giovani di Loceri prima di partire, impegnato a costruire valori positivi ma sempre mettendo in primo piano il suo essere sardo.
A seguire Aldo Monni, già Cavaliere del Lavoro per la sua attività in Francia.
E in ultimo si è voluto dare riconoscimento ad una zona della Renania, Westfalen, per aver accolto e dato una possibilità di crescita e benessere ad una numerosa comunità locerese, rappresentata da Battista Lai, Mario Pistis, Pietro Cabiddu.
Introdotta dai bellissimi canti del Coro Amistade, la cerimonia inizia però con la conclusione di una premiazione dello scorso anno. Mariano Balloi infatti, fra i premiati del 2017, non aveva potuto personalmente ritirare il premio perché impegnato proprio nell’attività che gli è valso l’encomio e cioè, prestare servizio ai terremotati nell’area di Arquata del Tronto. Grazie a lui, in pieno accordo con l’amministrazione Comunale di Loceri, si sta avviando un Gemellaggio proprio fra questi due paesi.
Il sindaco, Roberto Uda, presenta così questa iniziativa: “Arquata del Tronto è un paese che non esiste più, dove Mariano ha toccato con mano la sofferenza, da dove ci ha raccontato di madri che ogni giorno piangono i figli morti e di padri che non hanno più nulla di ciò che avevano costruito per dare un futuro ai figli rimasti. L’idea del gemellaggio nasce proprio da un’esigenza di capire queste situazioni, far in modo che i nostri giovani vadano li per capire il senso di comunità che tiene insieme queste persone anche nelle difficoltà più estreme e coglierne la dignità, ma anche permettere ai giovani di Arquata di venire qui per fargli sentire che non sono soli. Perché la solidarietà si dimostra coi fatti; le parole arrivano fino ad un certo punto.”
Continua il primo cittadino: “oggi siamo qui per parlare di un problema che spesso, quando viene affrontato, si esprime con egoismi e discussioni dove invece bisognerebbe restare umani.”
Ed è qui che, proprio per la delicatezza del tema, non sono mancate delle piccole polemiche e brusii nella platea.
Proprio nei giorni in cui il nostro Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Luigi Di Maio, dice che “non si dovrebbe emigrare”, in piena controtendenza, il sindaco di Loceri, Roberto Uda, dice “io non voglio trattenere qui i giovani del mio paese, io voglio che vadano fuori, che studino le lingue e le culture; così come voglio che i giovani di altri paesi vengano qui a studiare. Qui si fa ricerca sul DNA, si possono studiare le energie rinnovabili. Sarebbe bellissimo se i giovani dall’estero venissero a scoprire le nostre risorse culturali e scientifiche”.
Commento questo che non è stato accolto con piena condivisione. “E se se ne vanno i nostri giovani con noi ci ci resta” dice sottovoce una signora nel pubblico, “qui non sta rimanendo più nulla.”
A maggior ragione non si dovrebbe chiedere ad un giovane che ci è caro di restare nel nulla, casomai di andare ad imparare la vita fuori e, bontà sua, tornare portare la sua esperienza a casa.
Quello che ci si augura è che i giovani vadano a crescere culturalmente e lavorativamente perché questo é un modo per far crescere la comunità, che si aprano al mondo per portare il mondo qui.
“Ovviamente”, continua Roberto Uda, “non bisogna pensare che sia la stessa emigrazione di una volta, quando si partiva con le valige di cartone”, ma questo per molti è un concetto troppo moderno anche se estremamente risolutivo: vedere l’emigrazione e l’immigrazione come una fonte di conoscenza e di sviluppo, non sempre e solo come un problema. Essere cittadini del mondo, poter vivere dove meglio si può crescere e poi magari tornare a casa e riportare in patria ciò che si è imparato.
Dice ancora il Sindaco: “l’emigrazione è un fatto strutturale. Se l’Homo sapiens non fosse emigrato dall’Africa noi non saremmo qua. Proprio noi sardi questo problema lo abbiamo vissuto sulla pelle.”
In effetti i sardi proprio in quanto isolani, vivono questo fenomeno da oltre 4000 anni. Con gli Shardana hanno “invaso” la Mesopotamia e l’Egitto, nei 2000 anni prima di Cristo, così come nei successivi 2000 ha vissuto oltre 20 colonizzazioni di altre civiltà, dai Cartaginesi, ai Catalani, ai Savoia.
“E’ naturale”, prosegue Uda, “che i popoli che migrano creino tensioni, perché ci si sente in pericolo, viene messa in discussione la propria stabilità. Ma i problemi vanno affrontati. Non si può pensare che tenendo al largo del Mediterraneo qualche centinaio di disperati si possa fermare lo spostamento di migliaia di persone. Come ne usciamo? Intanto riconoscendo che è un problema complesso, che non si può dividere il mondo in buoni e cattivi. E’ importante conoscere bene il fenomeno e le persone, senza paure e senza simboli.
E non è neanche vero che noi sardi, quando siamo andati a cercar fortuna nel mondo, ci siamo sempre, sempre, sempre comportati bene.
Stasera infatti parleremo di una zona della Germania, il Nordrhein-Westfalen, che ha accolto molti sardi, dove però un tempo nei bar erano esposti i cartelli con su scritto <i sardi non possono entrare>, perché talvolta il sardo provocava, beveva e poi spaccava tutto cercando la rissa.
Ma comunque noi loceresi siamo stati ben accolti ed è per questo che è il caso di ringraziare le terre che hanno permesso ai nostri emigrati di farsi una posizione e anche di tornare anche a farsi la casa.”
Eccolo il secondo punto in disaccordo con qualcuno della platea. E’ il caso del signore che da pubblico esordisce “io sono stato 42 anni in Germania e non gli devo proprio nulla, neanche un grazie.”
Gli rispondono i rappresentanti degli emigrati nella Renania, chiamati a raccontare la propria esperienza: “io sono grato alla Germania. E’ stata un riferimento per trovare lavoro e prosperità. Se chi c’è andato non è stato bene non è perché la Germania l’ha tenuto fuori, ma è lui che si è tenuto ai margini. Qui appena vediamo due africani chissà che ci sembra, ma li è pieno di nazionalità diverse, li c’è di tutto, coreani, neri, thailandesi, e soprattutto turchi, che, solo nella zona dove siamo emigrati noi, sono 200.000.
Noi emigrati sardi abbiamo avuto dalla Germania molte soddisfazioni, abbiamo però lasciato indietro la balentìa.”
E ancora: “l’emigrazione di oggi sembra una cosa più forzata. Ci si chiede cosa ce ne facciamo di queste persone qui?” Aggiunge: “anche noi però, giovanissimi quando siamo partiti, andavamo a cercare il benessere e pensavamo che in Germania i soldi ce li regalavano ma poi abbiamo scoperto che invece andavano ben sudati.”
Insomma resta ricco di spunti e di riflessioni il dibattito aperto in questa serata voluta ancora una volta dall’amministrazione locerese, cui va riconosciuto il merito di affrontare con impegno e intelligenza la questione sia di chi parte, sia di chi arriva, cercando di coinvolgere tutti i cittadini.
Un’ultima citazione del Sindaco di Loceri dice: “la politica si fa sempre perché fare politica significa fare scelte. Si comincia a 5 anni, quando si sceglie un gioco piuttosto che un’altro.”
Dunque tutti noi facciamo politica nella scelta di come guardiamo il mondo, chiudendoci o accogliendo, da casa o dal mondo.

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