di DARIO DESSI’
Con l’offensiva del mese di giugno del 1918, le truppe dell’Impero austro – ungarico speravano di ripetere in proporzioni più vaste, con l’invasione della pianura padana, quello che era successo nel Friuli e nel Veneto invaso dopo la disfatta di Caporetto subita dai soldati italiani. Ma dopo alcuni giorni di numerose lotte accanite e di stragi cruente tra soldati che, in pratica, furono gli inconsapevoli e cocciuti esecutori in una delle più inutili e abominevoli carneficine del secolo scorso.Tra caduti, feriti e dispersi arrivarono a più di mille i fanti della Sassari, messi fuori combattimento ; 1/6 dell’ intera brigata. Parimenti innumerevoli e inenarrabili furono le vicissitudini che dovettero affrontare le popolazioni civili.Negli anni antecedenti allo scoppio della conflagrazione, la mortalità nelle terre che erano già state invase era pari al 18 per mille, nel 1918 era ascesa con un rapido crescendo sinistro al 65 per mille. Tuttavia, gli esiti di quella offensiva, che fu praticamente l’ ultima combattuta dall’ Impero austro – ungarico contro gli italiani, che mai, prima di allora, erano stati minacciati da un esercito così forte ed agguerrito, non furono di certo favorevoli agli invasori. Fu quello un evento che è stato quasi sempre ignorato in tanti libri di storia della Grande Guerra e quindi pressoché sepolto nell’oblio e pertanto poco conosciuto ai più.
Tutta la fame, tutta l’ansia di pace, tutto il tormento di un grande impero europeo avevano cercato di esercitare la loro pressione tra l’Astico e il mare. Un popolo immenso di gente in armi, acceso d’odio mortale, trepido di speranze cupide, bramoso di bottino e certo di vittoria, aveva minacciato di rovesciarsi, orrenda marea apportatrice di rovina, di morte e di lutti sulla ferma vigilanza dei fanti italiani, i quali, sugli altipiani e lungo la riva destra del Piave, si erano preparati con fervore non meno intenso alla strenua difesa della patria. Intanto con la circolare N. 6288 del 17 dicembre 1917 il Governo e lo Stato maggiore avevano riconosciuto la necessità di una più abbondante alimentazione per i soldati: la razione giornaliera di carne era stata aumentata di cento grammi, la pasta di 50 grammi, il caffè tostato di cinque grammi, lo zucchero di venti grammi, la distribuzione di vino, nella quantità di 25 centilitri, da tre a sette volte la settimana. Per assicurare una certa varietà, la razione di carne poteva inoltre essere sostituita da 200 grammi di baccalà o da 266 grammi di salame. Intanto il soldo giornaliero era stato elevato a 90 centesimi, mentre era stata autorizzata la pubblicazione di periodici, i così chiamati giornali di trincea, fra i quali i più noti furono la Tradotta, la Trincea, la Ghirba, il Razzo, l’Astico, la Giberna ed era stato assicurato un certo benessere al personale militare con l’organizzazione di spettacoli teatrali e proiezioni cinematografiche,erano stati agevolati certi spacci a carattere di cooperativa, dove si potevano acquistare viveri di conforto a costi contenuti, fu istituita una polizza gratuita di assicurazione per tutti i soldati combattenti e con delibera del governo e circolare del comando supremo N. 170 del 4 maggio del 1918 furono concessi sussidi straordinari, erogabili direttamente dai comandi di corpo per le famiglie di ufficiali e soldati in particolari strettezze finanziarie, e ci fu il riconoscimento da parte del governo del diritto dei contadini e dei braccianti al possesso della terra, cosa che avrebbe potuto risolvere il problema dell’emigrazione. Nel frattempo era dato corso al completamento di innumerevoli sistemazioni difensive su una linea arretrata che da Valdagno arrivava al mare sotto Venezia, passando per Vicenza e Padova, e si era proceduto all’armamento e all’addestramento dei reparti rinforzati da ben 150.000 uomini che erano stati precedentemente riformati. A iniziare dalla fine del mese di maggio, dopo che il Comando Supremo italiano era stato messo a conoscenza di un prossimo attacco austro – ungarico fra gli Altipiani ed il mare,tutto lo schieramento difensivo era stato organizzato in modo da consentire un’accurata ed efficace azione di fuoco dell’ artiglieria, arrivando a schierare fino a tre batterie ogni chilometro di fronte, mentre le unità di fanteria erano state dislocate in modo tale da consentire la costituzione di forti riserve, da impiegare rapidamente ovunque fosse stato necessario. L’esercito dei mandolinisti, come il defunto imperatore d’Austria aveva avuto la cortesia di definire le forze armate italiane, era riuscito ad accumulare strumenti di ricambio, in misura più che sufficiente, dal momento ché se si voleva suonare a lungo, occorreva premunirsi in tempo. E pertanto una consistente teoria di cannoni di riserva era pronta, nelle immediate retrovie, a testimonianza degli sforzi magnifici compiuti dall’industria nazionale e dal contribuente italiano. Si era provveduto inoltre a un’ indispensabile opera di rinnovamento degli uomini, dei materiali e dei concetti tattici.
Formidabile era stata la mobilitazione industriale del paese, dove ben 3700 stabilimenti avevano a disposizione ben 900.000 operai che lavoravano a pieno ritmo per assicurare le forniture militari. Già nel mese di febbraio del 1918 l‘artiglieria