di DARIO DESSI’
Accanto a una passerella semidistrutta dall’artiglieria italiana galleggiano rottami di varia natura e alcuni cadaveri di soldati austriaci.
La fotografia fu scattata subito dopo la ritirata delle truppe austriache il 24 giugno 1918. In taluni promemoria ritrovati nelle tasche di qualche incauto prigioniero austriaco erano contenute tante istruzioni, tranne che cosa bisognava fare con i cadaveri dei propri commilitoni e questo anche perché i comandi superiori erano decisamente convinti che, sin dall’inizio dell’offensiva, si sarebbe verificata una fulminea penetrazione dei loro reparti scelti in profondità nel territorio italiano.
Domenica 23 giugno 1918 Nelle prime ore del mattino, il Comando del Corpo d’Armata comunica che le informazioni ottenute dai prigionieri fanno ritenere che il nemico stia proprio per riattraversare il Piave e tornare sulla sponda sinistra.
Vengono inviate pattuglie che, seppur contrastate dalle mitragliatrici nemiche, si spingono avanti e riescono a fare prigionieri che confermano quelle informazioni.
Alle ore 19 inizia la terza fase della battaglia.
Il Comando della Divisione ordina che il III gruppo bersaglieri ciclisti si metta in avanguardia e che tutta la Divisione muova immediatamente per lanciarsi all’inseguimento degli austriaci e raggiungere il Piave nel tratto CaseGradenigo – Musile, con il 152° a nord ed il 2° bombardieri, rincalzato dal 151°, a sud. Il movimento dei reparti inizia immediatamente, fortemente contrastato dalle artiglierie nemiche e dal fuoco delle mitragliatrici che ne rallentano la marcia, impegnando gli uomini in accaniti combattimenti di retroguardia.
I campi intorno a Losson sono cimiteri, sulla riva destra del Piave, a Croce, a Musile ancora si attarda qualche sparuto invasore, in attesa di riguadagnare le posizioni sulla sponda sinistra del Piave a bordo di un barcone o di qualsiasi altro mezzo. L’operazione di disimpegno dei reparti della V Armata del generale Wurm, intrapresa subito dopo l’esito disastroso degli ultimi attacchi nemici del 20 giugno a Losson estudiata nei minimi particolari per essere portata a termine nel meno disastroso dei modi, stava per iniziare. Contro la testa di ponte nemica, che si protraeva ad est di Meolo, fino all’altezza di Cà Malipiero lungo il Canale della Fossetta e di C. Bellesine lungo il fosso Gorgazzo, ci furono ancora dei duri combarrimenti.
Le retroguardie avversarie cercavano di proteggere il ripiegamento dei resti delle divisioni della V Armata con il fuoco micidiale di numerose mitragliatrici.
In quel tratto di fiume materiali da ponte e da traghetto d’ogni genere frammischiati ad alcuni macabri cortei di cadaveri nemici avanzavano in direzione del mare.
Si trovavano in balia della corrente che li stava sballottolando da una sponda all’altra, rendendo l’attraversamento del Piave alquanto impegnativo e rischioso.
Il capitano dei bersaglieri Antonio Zanecosì descrisse quello che apparve ai suoi occhi:“E’ un macello. Impossibilitati a riguadagnare la riva sinistra, essendo ormai quasi tutti i ponti e passerelle distrutti, interi reparti si arrendono: sono centinaia e centinaia di soldati che non hanno più parvenza umana. Altri di loro tentano l’attraversamento del fiume a nuoto. Il Piave porta via travi, tavole, barche e mucchi di cadaveri; anche provetti nuotatori vengono presto travolti. Qua e là le acque del fiume sono rosse, letteralmente rosse di sangue”.
“Nell’impossibilità di dar sepoltura ai morti, gli italiani avevano buttato i cadaveri nei fossi e negli scoli perché raggiungessero il mare; ma l’acqua non defluiva e i cadaveri si gonfiavano intasando fossi ecanali, e alla fine della battaglia li si dovette arpionare e tirare a riva per seppellirli”. Da “Di là dal fiume tra gli alberi” di Ernest Hemingway.
L’osteria di Fossalta assieme a quanto rimaneva di Fossalta, di Capo d’Argine e di Cà Gradenigo furono ben presto riconquistati.
Quell’operazione comportò la cattura di un ricco bottino di fucili, di mitragliatrici, di casse di munizioni, oltre a mille prigionieri.Quando finalmente fu ristabilita la linea difensiva italiana lungo la sponda destra del Piave, si dovettero sgombrare le strade dai cadaveri, abbandonati dagli austriaci in fuga, per permettere il passaggio degli automezzi e dei carriaggi carichi di rifornimenti.
Domenica 23 giugno 1918Fraccaroliscrisse:“Il fervore combattivo dei nostri soldati nella settima giornata della battaglia. Dalle lagune di Cortellazzo, di Cavazuccherina al Montello è tutto un impeto di aggressioni nostre che scattano fulminee. I tentativi del nemico, soprattutto nella zona di San Donà, da Zenson a Caposile in direzione di Meolo sono in continua convulsione. Il nemico è stato ributtato sulla linea dalla Fossetta all’Osteria di Fossalta”.Nella zona a occidente di San Donà, dove gli austriaci occupavano una testa di ponte alquanto larga e profonda che, molto probabilmente, il maresciallo Boroevic aveva pensato di mantenere in attesa di una probabile ripresa dell’offensiva, i combattimenti durarono più a lungo. Ma là i fanti della 33° divisione, impazienti di raggiungere la sponda destra del Piave, si lanciarono contro i folti nuclei nemici di copertura e di retroguardia, costringendoli a ripassare il fiume e a ritornare sulle loro posizioni di partenza.
Lunedì 24 giugno 1918 Il 152° reggimento iniziava ad inseguire l’avversario con risolutezza e tenacia e pertanto all’una del mattino aveva già rioccupato i capisaldi di Capo d’Argine e Croce. Alle ore 02:00 , primo fra tutti i reparti italiani, riusciva ad occupare l’argine del Piave tra Case Gradenigo e Scuole di Campagna. La colonna di destra, invece, procedeva lentamente e quindi la Divisione faceva passare avanti il 151° reggimento, che raggiungeva l’argine del Piave alle sei del mattino.Finalmente la Brigata “Sassari”, dopo otto giorni di lotta furibonda, si affacciava sul Piave.Il mattino del 24 giugno tutte le truppe A. U. si trovavano nuovamente schierate sulle loro precedenti posizioni orientali, lungo il Piave. Secondo Peter Fiala il ripiegamento su quel fiume, superato all’inizio dell’offensiva con tanta fatica e sacrifici, fu un vero capolavoro dell’arte della guerra, anche se è risaputo che qualora il Comando Supremo Italiano si fosse deciso a mettere in campo tutte le sue divisioni di riserva, agli austriaci, in ritirata oltre il Piave, sarebbe stata inflitta una disfatta senza precedenti.
I campi attorno a Losson erano cosparsi di caduti e sulla riva destra del fiume ancora si attardava qualche sparuto gruppo di austriaci in attesa di riguadagnare la sponda sinistra a bordo di un barcone o di qualsiasi mezzo di fortuna.
Le perdite subite dai due reggimenti della Brigata “Sassari” in questo ciclo operativo, durato meno di dieci giorni, tra caduti, feriti e dispersi assommarono a oltre 1000 fanti.
In pratica più di un sesto della brigata era stato messo fuori combattimento
Nelle file delle unità austriache che si batterono in questo settore del basso Piave si contarono oltre 1.200 morti, 1.000 prigionieri e una grande quantità di materiale catturato, fra cui anche 40 mitragliatrici.
Il valore e la tenacia dei sassarini e delle altre truppe italiane che combatterono assieme a loro, contribuirono ad allontanare l’incubo di una ulteriore invasione austriaca, a differenza di quanto era accaduto dopo Caporetto.
Encomiabile fu anche l’opera del genio, che aveva assicurato la continua percorribilità delle strade tra le retrovie e le prime linee e così dicasi del supporto logistico e del parco automobilistico che aveva sede a Mira (VE).Ogni giorno quasi 4.000 automezzi, manovrati da 7.000 conducenti, provvedevano al trasporto di truppe, approvvigionamenti, materiali, armi e munizionamento vario dovunque era necessario rintuzzare l’offensiva austriaca nelle linee di difesa sul Montello e sul Basso Piave.
Degni di tanta stima sono da considerare anche i reparti della Sanità con le ambulanze, i portaferiti e tutto il personale addetto alla rimozione e alla sepoltura dei caduti e soprattutto coloro che furono costretti ad una fatica disumana, in quanto dovettero anche prendersi cura della rimozione delle centinaia di caduti austriaci, abbandonati in uno stato pietoso di avanzata putrefazione, un po’ dappertutto in mezzo ai cespugli e alle siepi, nascosti dall’ erba alta dei prati, tra le spighe di grano ormai maturo o galleggianti goffamente nelle acque dei tanti canali d’irrigazione e nei fossati di scolmo.
In verità i comandi superiori nemici, preoccupati di salvare le truppe ancora valide da un sicuro macello, facendole rientrare in tutta fretta nelle posizioni di partenza sulla riva sinistra del Piave, avevano preferito delegare alla generosità degli italiani il pietoso compito della sepoltura dei loro caduti.
Le popolazioni venete si resero conto del pericolo che avevano corso e della loro gratitudine verso i difensori se ne fece portavoce il sindaco di Vigodarzere in una lettera indirizzata al Generale Sanna:“Illustre Generale, Il Consiglio Comunale di Vigodarzere, ieri riunitosi, nell’espressione di tripudio per l’esito trionfale della battaglia vinta dal solo valore italiano, ha ricordata l’ospitalità data all’eroico Comandante della 33^ Divisione ed alle gloriosissime Brigate “Sassari” e “Bisagno” ed ha reputato ad alto onore l’avereda vicino conosciuto chi in questa pagina gloriosa della nostra storia sarà indicata tra le più fulgide figure.
Accolga, illustrissimo signor Generale, i sensi nostri d’ammirazione e di gratitudine, essi non sono la isolata espressione della modesta rappresentanza di Vigodarzere, ma fanno coro al plauso dell’Italia intera, superba e tranquilla nel valore dei suoi soldati e nella sapienza di chi li comanda. Con vero ossequio”. Sindaco f.to Agostino Relli.
Lunedì 24 giugno 1918Treviso esultante spiega al sole le sue bandiere. I cittadini festanti apprendono che il nemico inseguito dai fanti italiani, dal tiro implacabile delle artiglierie e dagli aeroplani è ritornato sulle posizioni di partenza, mentre il Montello e tutta la riva destra del Piave sono nuovamente in mano italiana.
Il Commissario di Treviso Maggiore Battistel invia al Capo di Stato Maggiore nella zona di guerra il seguente telegramma:“ Al valoroso esercito, alle truppe alleate e a Voi che con altissima sapienza e fermissima fede foste il grande organizzatore della Vittoria, Treviso, fiera di aver sentito e vissuto le giornate gloriose della superba lotta, plaude associandosi alla voce d’Italia tutta.
La Battaglia del Piavenei Bollettini Austriaci.
I nove bollettini austriaci che seguirono le vicende della battaglia del Piave, indicarono una diminuzione dei baldanzosi toni iniziali col passare dei giorni e il non certo brillante
andamento delle operazioni.Dai primi annunci bellicosi e trionfanti si passò a comunicati ben più umili e modesti.Indubbiamente, prima dell’offensiva, avevano pensato di spezzare la linea italiana, così, come era successo, otto mesi prima, a Caporetto e di avanzare fino a Treviso, Padova e Vicenza.
Solo per l’assalto della linea difensiva italiana tra il Montello e San Donà ebbero a disposizione ben 30 divisioni, ma già il loro terzo bollettino citava la vigorosa combattività delle truppe italiane che aveva portato al contenimento della loro offensiva.
Nel quarto, nel quinto e nel sesto bollettino non si parlava più di avanzate, ma veniva messa in evidenza la violenza dei ripetuti contrattacchi da parte italiana
Nel sesto bollettino si parlava addirittura della necessità per gli austriaci di assumere una posizione di difensiva contro gli assalti degli italiani.
A un certo punto della battaglia, le truppe austriache si erano trovate esposte al fuoco micidiale di numerose batterie italiane e alla continua minaccia dei bombardamenti dei velivoli tricolori, che distruggevano i ponti con tiri ben aggiustati.
L’ottavo bollettino sembrava già preparare l’opinione pubblica austriaca alla sconfitta, attribuendone in gran parte le cause alle piogge torrenziali, che avevano repentinamente ingrossato le acque del Piave, e alla interruzione delle comunicazioni tra le due rive del fiume.
Ed infine l’ultimo comunicato ufficiale del 24 giugno, il nono bollettino, annunciava finalmente che le posizioni sul Montello e a ovest di San Donà di Piave erano state evacuate.
L’ultimo bollettino italiano, invece, comunicava che il nemico, dopo essersi disperatamente aggrappato per otto giorni, a costo di immani sacrifici, alla riva destra del Piave, era stato costretto dalle truppe italiane a considerare l’offensiva conclusa e a ripassare il Piave, dopo aver lasciato alle sue spalle un ingente bottino di armi, di materiale vario e oltre a ben 5.000 prigionieri.
Lunedì 24 giugno ArnaldoFraccarolicosì descrive la ritirata conclusiva degli austriacisul Piave:“Il Piave travolge e rotola giù per le sue acque reparti interi di cadaveri austriaci.
Le nostre artiglierie battono l’altra riva allungando i tiri, flagellano i ponti, le passerelle, i barconi sui quali ancora si affannano in disordine gli ultimi reparti della V Armata del generale Wurm, che ingombrano ancora 5 o 6 chilometri lungo la riva destra del Basso Piave, fra Croce, Musile e le paludi, sparuti fantasmi dell’esercito austriaco d’invasione.
Dal cielo centinaia d’aeroplani dalle ali tricolori volteggiano sul fiume, sulle truppe in ritirata, bombardano, mitragliano implacabilmente.
Meno che in questo breve tratto, dove ancora si combatte sulla riva destra, i nostri soldati gloriosi sono tornati sul Piave.
Il tracollo venne dal sanguinoso insuccesso dei cinque attacchi scagliati il giorno 20 nella zona di Losson, nella regione di Meolo, per tentare di sfondare la resistenza italiana.
I cinque assalti furono stritolati dai piccoli sardi della gloriosa Brigata “Sassari” e da uno sfolgorante battaglione della Brigata Bisagno.
Il primo attacco nemico su Losson era stato condotto da due reggimenti freschi, il 15° e il 32° Schuetzen, appartenenti alla 91° brigata, la quale, dopo aver dovuto sopportare il maggior peso della resistenza e dei vertiginosi contrattacchi italiani, era rimasta quasi totalmente distrutta. Il generale brigadiere che la comandava, atterrito dal macello dei suoi uomini, si uccise”Gli austriaci erano stati fermati su quella esile strisce occupata nei primi giorni della battaglia; il suo sogno Venezia era diventato irraggiungibile.L’esercito austro-ungarico usciva dalla Operazione Albrecht profondamente scosso e indebolito.