di LUCIA BECCHERE
«C’è una Madonnina tutta d’oro nel ventre della montagna che giace in fondo ad un crepaccio. La si può scorgere attraverso una stretta fessura della roccia quando a mezzogiorno i raggi del sole penetrando a perpendicolo toccano la sua spalla destra illuminando tutto l’anfratto. Poi più nulla. Il buio inghiottisce ogni cosa». Ecco quanto raccontava mio padre Francesco (Siniscola 1910-1980). La montagna è la maestosa catena calcarea del Montalbo che in tutta la sua bellezza sovrasta Siniscola e la Madonna è quella di “Bona Vraule”, nome che le deriva dal sito campestre dove si trova, in prossimità dell’abitato, sul lato destro della strada che collega il paese a Nuoro.
«Non si è mai saputo quando sia stata vista per la prima volta – affermava mio padre nel proseguo del suo racconto –, alcuni pastori avevano notato i raggi del sole poggiarsi sulla roccia e poi scomparire dentro la montagna. Giunti in prossimità, con grande sorpresa notarono che, penetrata una stretta fessura e percorso un lungo tratto, i raggi andavano a posarsi sulla spalla destra di una Madonnina tutta d’oro, illuminando la vasta cavità della montagna d’un bagliore indescrivibile. Non si è mai saputo chi l’avesse collocata in quell’anfratto, come e perché. Forse a protezione degli abitanti del paese? Forse custodiva un tesoro? Era credenza diffusa che si manifestasse solo alle persone di fede per negarsi a coloro i quali dubitavano della presenza divina sulla terra».
Le numerose sorgenti e il terreno fertile avevano favorito fin dai tempi remoti l’insediamento di nuclei abitativi che coltivavano la terra e praticavano la caccia, conoscevano l’arte di fondere i metalli e di lavorare l’argilla. Lo confermerebbe la presenza della grotta e del nuraghe di Bona Vraule nei fianchi della montagna, ai piedi del colle Punta Ramasinu nei pressi della sorgente di San Giuseppe e il ritrovamento (fine ottocento) di spade e pugnali in ferro, coppe, vasi e tazze, perfino di una navicella di bronzo, urne cinerarie in ceramica, un morso di cavallo in ferro, una mascella in bronzo decorato, statuette di bovino, pesi per telai e pietre incise e levigate. Accanto a questi oggetti sono stati rinvenuti anche campanelle e delle piccole medaglie in bronzo con l’effige della Madonnina. Il ritrovamento di oggetti così pregiati fa supporre un utilizzo del sito come luogo di culto e le numerose sorgenti lo avvolgevano di un alone di sacralità essendo l’acqua considerata fin dall’antichità simbolo di vita e d’amore in quanto dispensatore di vita.
Le persone non più giovani ricordano la notevole quantità di grano che si coltivava nei dintorni dove erano funzionanti ben quattro antichi mulini ad acqua di cui oggi non rimane traccia ma lo confermerebbe il ritrovamento di macine in pietra. L’ultimo mulino rimase in attività fino alla metà del secolo scorso quando fu realizzata la strada Nuoro-Siniscola e i terreni a valle non erano più fruibili e i vecchi mulini ad acqua erano destinati a scomparire con l’avvento dell’elettricità. Fu per questo che l’anziano proprietario, dopo averlo smontato, ne tradusse i pezzi in paese per custodirli come cimelio.
Ancora oggi in tanti raccontano di quel luogo molto fertile dove si seminava il grano, si coltivavano rigogliose vigne, abbondanti ortaggi e alberi da frutta, mandorli soprattutto, e dove giovani fanciulle, in compagnia degli adulti, si recavano a Bona Vraule per la raccolta dei prodotti e rientravano in paese con le ceste ricolme di ogni bel di Dio e sostenute sulla testa mediante il cercine.
Storia ammantata di leggenda o leggenda ammantata di storia? Oggi pochi ricordano la Madonnina d’oro nascosta nella cavità della montagna con il viso rivolto al paese mentre a valle nel primo Settecento è stata edificata la chiesetta di San Giuseppe (Santu Tzoseppe) che guarda dritta verso la roccia che la custodisce in attesa che il sole possa illuminarla ancora con i suoi raggi.
per gentile concessione de L’ORTOBENE