di DARIO DESSI’
Era costituito da tre trincee campali e da una quarta in profondità con ricoveri blindati muniti di mitragliatrici. Le linee campali erano intervallate da settori traversali per eludere il tiri d’infilata. Tutte le quattro linee erano collegate al centro da particolari camminamenti da utilizzare per i rifornimenti.
Erano previsti inoltre i punti d’osservazione, le buche per i capi squadra e le buche per i capi reparto.La larga zona del Piave fortificata minutamente non poteva non essere conosciuta dal nemico nelle sue particolarità. Ma, forse, per la vegetazione che copriva il terreno, l’aviazione non aveva potuto fornire ragguagli precisi. Le compagnie attaccanti si trovarono impigliate in numerosi campi reticolati, vere trappole, dove anche le piccole manovre dovevano interrompersi, arrestarsi e frangersi nell’impeto dell’assalto.
Giovedì 20 giugno 1918Nelle primissime ore del mattino, il nemico rinnovava energici contrattacchi da Case Sacerdoti, da Capod’ Argine e specialmente dal tratto di ferrovia tra Case Panciera e la Stazione di Fossalta.
Il comandante del 151° Fanteria, per evitare che il fianco destro della linea fosse aggirato, cosa che avrebbe tagliato il reggimento da Losson, fece rinnovare un potente attacco verso la ferrovia per disimpegnarsi dal nemico e riuscire quindi a rientrare a Losson in perfetto ordine.
“Nelle prime ore del mattino si riaccende il combattimento. Alle 12:00 il 3° battaglione del 152° reggimento riceve l’ordine di trasferirsi a Case Sperandio, il Comando del reggimento è nuovamente a Case Dreina, dove risiede anche il Comando della Brigata Sassari. Il I°battaglione prende posizione a sud ovest di Meolo, all’altezza del casello ferroviario N. 23 della linea Mestre – San Donà di Piave”.
Da “Storia della Brigata Sassari” di Giuseppina Fois.
Inizia la seconda fase della battaglia.
In quattro giorni, dal 15 al 19 giugno, l’Armata dell’Isonzo aveva messo piede sulla riva destra del Piave e, con una pressione crescente, era riuscita a collegare i punti d’irruzione in una zona di occupazione continua lunga 22 chilometri e profonda da uno a cinque chilometri. Il suo immediato obbiettivo era quello di cercare di estendere e trasformare questa zona occupata in una base di partenza per l’ulteriore sviluppo dell’offensiva.
Per l’esercito austro – ungarico era giunto il momento di intervenire decisamente per riuscire ad avere il sopravvento sulle difese italiane e poter proseguire quindi nell’avanzata verso Treviso – Mestre.
Nelle primissime ore del mattino di giovedì 20 giugno, gli austriaci attaccavano violentemente dalla Stazione di Fossalta, da Case Sacerdoti e da Case Panciera.
Il 151° reggimento era ancora una volta circondato e, per non farsi completamente tagliare fuori da Losson, contrattaccava violentemente sulla destra, riuscendo a respingere gli austriaci oltre la ferrovia e a ripiegare dietro il caposaldo di Losson, in attesa di ordini. Il combattimento aveva provato duramente il 151°, con una perdita di 143 uomini, e pertanto veniva messo in riserva divisionale dietro il fiume Meolo, mentre il 152° reggimento veniva fatto avvicinare, ad ovest di Losson, di rincalzo.
Le mitragliatrici contribuivano a rendere più terrificante il ricordo di quelle giornate di
Losson. Il nemico posizionava quelle armi terribili, dovunque si potevano facilmente nascondere nel folto denso ed intricato della vegetazione e in ogni luogo dove si poteva tendere un agguato ideale ed efficace, nei posti più inaspettati, magari perlustrati pochi attimi prima. Quelle armi micidiali sparavano, improvvisamente all’impazzata, sulle colonne che avanzavano falcidiando i poveri fanti, presi alla sprovvista senza che potessero disporre d’ un qualsiasi riparo a portata di mano.
Bisognava pertanto eliminare quei nidi di mitragliatrici o con i tiri ravvicinati dell’artiglieria o con azioni d’ aggiramento e di avvicinamento a sorpresa.
Losson e loscolo Palumbo da quel momento, erano diventati i caposaldi più avanzatigl’unici in grado d’ ostacolare l’ offensiva nemica ed assumevano, pertanto, una rilevante importanza sull’andamento della battaglia. Alle ore 15 le nostre artiglierie aprivano un violento fuoco sulle zone d’ ammassamento dei reparti nemici, mentre le artiglierie austriache battevano le difese all’interno del caposaldo. Gli austriaci premevano da ogni lato, cercando di accerchiare il caposaldo. Il fuoco delle mitragliatrici italiane falciava gli assalitori che riuscivano però a travolgere le difese del caposaldo. L’intervento immediato dei rinforzi ristabiliva la situazione. Nel pomeriggio, informati di un imminente urto contro le posizioni di Losson, gli italiani sferravanouna contropreparazione con gravi conseguenze per il nemico.Alle 16.00 una brigata fresca della 46 Divisione Schuetzen (la 91° brigata), costituita da elementi giovani e sceltissimi e reparti d’assalto si scagliavano in massa contro il villaggio, senza preoccuparsi delle perdite che le artiglierie e mitragliatrici procuravano loro.
Riuscivano a penetrarvi, impegnando una lotta furiosa assieme aibersaglieri ciclisti e unbattaglione dellabrigataBisagno,appartenente alla 33 Divisione).
Accorrevano a quel punto i fanti della Brigata Sassari e dopo un uragano di fuoco riprendevano brillantemente il villaggio devastato, riuscendo a soffocare gli insistenti ritorni offensivi nemici.
I morti si moltiplicavano tragicamente; e questo era un’ aspetto assai cruento di quella battaglia.
Gli italiani lottavano con accanimento, ma la valanga nemica continuava ad avanzare, conquistando nuovamente il caposaldo. Losson era nuovamente in possesso degli austriaci, che dilagavano dentro le intricate difese di Losson.
Le artiglierie nemiche allungavano il tiro fuori del caposaldo, per impedire l’accorrere dei rinforzi, mentre le nostre concentravano il fuoco al suo interno, per battere gli occupanti.
20 giugno 1918“ Alle 16.10: mezz’ora di lotta e sembriamo più vecchi di cent’ anni – truppe giovani e scelte della 46° Divisione Schuetzen (91° e 92° brigate fanteria)* entravano nella lotta, sorpassando i residui delle colonne di primo attacco, e si gettavano, urlando, per stordirsi e stordire.
Dal Canale della Fossetta allo Scolo Palumbo i cadaveri erano più densi che i pedali dei vigneti donde, erano scattati, ma con un estremo sforzo i nuovi rincalzi riuscivano a porre il piede sul margine orientale del caposaldo.
Qualche casa era in fiamme, il campanile sembrava in procinto di crollare, le comunicazioni erano interrotte.
Un nostro contrattacco, nel quale un battaglione del 152° si era impegnato in un corpo a corpo furioso, travolgeva gli attaccanti e ristabiliva la situazione, ma il respiro non per questo è più largo, ne alcuno s’illudeva che il nemico sisarebbe rassegnato così presto. Tuttavia anche i nostri rinforzi, il cui gioco sarà sempre agile e sapiente, erano in cammino. Erano ancora i sardi che arrivano, ma prima che riuscissero ad oltrepassare la zona di sbarramento, si sferrava la preparazione breve e violenta dell’artiglieria nemica.
Tutto il rovescio di Losson era sotto il fuoco, le strade di accesso ribollivano, le salciaie, i vigneti, le robinie, i ruderi delle case erano trascinati via come da un immenso ciclone. Attraversare in ordine una zona siffatta, dove all’ansia del prossimo sforzo si sovrapponeva più torturante l’angoscia di arrivarci bersagliati senza potersi difendere, era la prova più ardua per un reparto. E, il battaglione Motta raggiungeva Losson in ordine perfetto, diminuito ma non disgregato e senza concedersi un attimo di respiro.
Appena occupato il margine interno del caposaldo, le fanterie nemiche, rimpiattate nei loro ripari, rinnovavano il loro colpo d’ariete con sacrifici incalcolabili in cui si rivedeva la ostinazione implacabile di certe fanterie tedesche, immolatesi sotto Verdun; s’impadronivano del margine esterno di Losson.
E’ un attacco! Sono dieci attacchi! La fluttuazione delle linee erano ora continue e meno distinguibili per il frammischiamento convulso dei combattenti.
I corpo a corpo prolungavano ancora la lotta sull’argine e già gli austriaci si asserragliavano nelle prime case del paese; nuclei e manipoli s’impegnavano intorno alla chiesa, ma di là dal canale, sulla strada di Capod’Argine, le bombe a mano lanciate a bruciapelo, impedivano ai nemici di rinforzare le loro puntate penetranti.
A vederlo dall’alto il caposaldo di Losson doveva apparire una mischia sola disordinata, ma fedeli alla consegna ed ai buoni principi di guerra, i nostri che erano all’interno del quadrilatero infernale, non cedevano neppure se alle loro spalle la situazione si stava aggravando.
E’ già sera quando gli avanzi di ciò che fu il presidio di Losson: il maggiore Cattaneo e il III del 209° reggimento della Bisagno in unione con il II del 152° e il 9° battaglione dei bersaglieri ciclisti riuscivano a ristabilire la situazione.
Più tardi un altro tentativo di sfondamento ebbe luogo verso il punto di saldatura con la divisione che ci fiancheggiava a nord, ma saranno le ultime ondate di una mareggiata che ha trovato la diga capace di frangerla e di domarla.
Intanto tra Capod’Argine e Losson, nei canali intorbidati, nella lordura dei fossi, nelle trincee colmate, nelle strade disfatte, centinaia e centinaia di morti nemici testimoniavano di ciò che fu tentato e di ciò che fu sventato.
Nelle prime tenebre, colonne di prigionieri si affrettavano anelanti verso Roncade, verso Meolo, preceduti dai loro ufficiali nei quali la burbanza di ieri cominciava a cedere dinanzi alla rude tragica realtà della sconfitta, contro la quale, e bene riconoscerlo, avevano combattuto da prodi” . Da “Con le Fanterie Sarde” di Ezio M. Gray.
*La 46° divisione Schuetzen, comandata dal GM Fischer von Poturzyn era composta dalle 91° e 92° brg. ftr. , dal 46°btg. d’assalto e dal 46° btg. art. camp.
Il II° battaglione del 152° si trovava, con il resto del reggimento, in località Scuole, ad immediato rincalzo delle truppe che difendevano il caposaldo.
Non appena gli austriaci ebbero messo piede in Losson, il comandante interinale del battaglione, il Maggiore Vincenzo Benedetti, intuiva la gravità della situazione e, di propria iniziativa, ordinava un immediato contrattacco. I fanti della Sassari si lanciavano nella lotta ed in un attimo la 6^ compagnia, al comando del capitano Raffaele Catardi da Alghero, irrompeva nel caposaldo, seguita dalle altre.
L’urto fu terribile e gli austriaci, che si stavano ancora sistemando, erano travolti dalla fulmineità e dalla impetuosità dei reparti che attaccavano alla baionetta riuscendo a spingerli nuovamente oltre gli scoli Palumbo e Correggio.
Lo scolo Palumbo Fosso di strage e di morte, tomba di fratelli e di avversari, tetro come un cimitero, funebre testimone di disperato valore – Fosso Palumbo testimone eterno di noti eroismi.
“Vuole sapere di un assalto alla baionetta”? – dice Antonio Masala, classe 1894, a Giuseppina Fois che ne raccoglie la testimonianza nel libro “Storia della Brigata Sassari” – “gliene voglio raccontare uno.
Cominciavano gli Ufficiali gridando “Avanti Savoia!” e noi dietro, correndo e gridando “Savoia!”. Di fronte a noi gli austriaci gridavano “Urrah!” e venivano avanti. Molti austriaci si arrendevano, altri invece facevano resistenza.
Ma, quando gli mettevi la baionetta sul petto, allora avevano paura e si arrendevano. Gli assalti che ho fatto io avvenivano di solito dopo mezzogiorno. Ma, non c’era un’ora fissa. Molte volte si facevano quando pioveva a dirotto, di mattina o di pomeriggio, o anche di notte.
Gli austriaci, in certi posti, preferivano uscire all’assalto quando pioveva molto.
E, a noi ci toccava uscire in difesa: loro gridando “Urrah” e noi“Savoia, Savoia”
.
Il II/152° e le truppe che già presidiavano Losson erano di nuovo sulle precedenti posizioni e cercando di risistemarsi a difesa, ma il fuoco delle artiglierie nemiche si abbatteva nuovamente con violenza distruggendo case, reticolati, trincee, argini, camminamenti ed infliggendo gravi perdite.
Alle ore 17,50 ancora un assalto austriaco, il più feroce. Una massa compatta di soldati avanzava senza precauzioni, intenzionata a sistemarsi definitivamente nella posizione che era passata di mano in mano. Le nostre mitragliatrici seminavano la morte, ma gli austriaci continuavano ad avanzare, riuscendo ad occupare gli argini del Palumbo e del Correggio.
Ogni avanzata costava ingenti perdite al nemico ed ormai le artiglierie battevano senza distinzione di schieramento, tanto eraconcitata la lotta.
Il III battaglione del 152°, al comando del capitano Romolo Motta, dalla zona d’attesa delle Scuole venivainviato in rinforzo e, contrattaccando alla baionetta, si gettava nella lotta che proseguiva con impeto fino alle ore 18,15, quando gli austriaci, non riuscendo più a fronteggiare i poderosi contrattacchi italiani, venivano costretti ad indietreggiare, inseguiti dai fanti della Sassari che riuscivano a oltrepassare lo scolo Palumbo ed a stabilirsi nello scolo Correggio.
Alle ore 19,16 intanto, dopo un ulteriore consultazione, con il colonnello generale Arz e il generale Waldstaetten, l’imperatore, finalmente si arrendeva all’evidenza, accogliendo la richiesta di far ritirare sulla riva sinistra del Piave le armate di Boroevic.
I comandi austriaci non intendevano, però, cedere Losson senza ulteriori tentativi, cercando di circondare il caposaldo sulla sinistra con un attacco da nord, senza però ottenere il risultato sperato.
Un’ ora più tardi il nemico tentava nuovamente un più debole attacco, più a nord di Losson, ma veniva subito respinto, così ché, verso le ore 21.00, ogni velleità del nemico, che aveva lasciato sul terreno mucchi di cadaveri, cessava completamente e così il caposaldo di Losson, dopo essere stato evacuato e riconquistato una decina di volte, tornava definitivamente in mani italiane.
Furono quelle le ultime ondate di una mareggiata che aveva trovato una diga in grado di frangerla e di domarla.
Indubbiamente la fiera resistenza dei fanti italiani a Losson, in quel giovedì indimenticabile del mese di giugno 1918, aveva portato gli austriaci a riflettere sull’inutilità dei loro sforzi e a convincerli che tutte le loro residue speranze di vittoria si erano ormai definitivamente infrante contro quell’ imprendibile caposaldo.
Losson, un pugno di case campestri, era balzata di colpo dalla semplicità della vita rurale alla gloria della Storia d’Italia.
Quel piccolo borgo, frazione di Meolo, di cui non erano rimaste che macerie e rovine, sarà più tardi denominato “Losson della Battaglia”, a ricordo imperituro di quelle tragiche giornate.
Al termine della giornata il 152° aveva perso 95 uomini. Tuttavia nel corso delle ondate d’attacco le perdite nemiche erano state spaventose.
Quando al tramonto i soldati sardi, frantumato l’ultimo assalto, partirono urlando al contrattacco, fiancheggiati dalle furie dei battaglioni della Bisagno e dei bersaglieri ciclisti; il terreno tra Case Gradenigo e lo Scolo Correggio era imbottito di cadaveri.
E, quel contrattacco, tremendamente cruento e massiccio, saettato sopra questo cimitero rosso, ristabilì completamente la posizione.
Qualche volta i sardi, presi dalla foga dei contrattacchi, per impazienza o per dimenticanza non facevano prigionieri.
A volte però qualche fante era animato da fredda determinazione, forse a causa di precedenti esperienze di reazioni vigliacche. o da sentimenti di vendetta per la perdita di persone care avvenuta in precedenti azioni.
Un poco più a sud di quella zona verso il Fosso Gorgazzo erano apparsi in combattimento i primi reparti Cecoslovacchi, allineati assieme ai fanti della Bisagno.
Quando i fanti della Sassari stavano andando in linea cantando, nel primo pomeriggio dell’offensiva, questi Ceco-slovacchi, elettrizzati, avevano urlato al passaggio dei sardi, che portavano i colori bianco-rossi come quelli della loro patria boema e vicino ad essi si trovarono poi a versare il loro sangue, fieramente risoluti contro lo stesso nemico.
Giovedì 20 giugno 1918 “ Lontano, all’orizzonte, il parco di Villa Prina si fa sempre più rado e più basso come per la furiosa potatura di un taglialegna impazzito. Vampate di fumo nero assettato da lingue di fuoco, rivelano che lì presso un deposito di munizioni sta saltando. Tutta la zona rugge come una fucina”. Ezio M. Gray
Apoteosi
Sia Gloria ai morti di Losson
Sia Gloria agli eroi di Losson
Che, qui onorifichiamo nel Patrio Sacro suol.
Ma, risorgeranno i morti di Losson
Si, si risorgeranno!
Inno a Losson
1° Strofa O giorni di giugno cruenti,
O messi di vite falciate,
Noi fummo le siepi viventi
Opposte alle barbare armate
Noi fummo di guardia a Losson!
Ritornello Il nemico si arrestò
E, perplesso rimanè
Ma, furente si organizzò
E, ben presto si riprese
Noi fummo ad aspettare
la tremenda collision!
2° Strofa Si aprì sopra il capo l’infermo
Dal ciel sopra l’aspra battaglia,
S’impose e travolse all’interno
Crepitando violenta la mitraglia
Noi fummo di guardia a Losson!
Ritornello E il nemico si arrestò
E, perplesso rimanè
Ma, infine lui capì
Che a Losson sfondar non può.
Noi fieri ed orgogliosi incalzammo ancor di più.
Ed infine rinunciò il barbaro oppressor!
Questo inno fu ricavato da una certa documentazione di autore ignoto, ritrovata in una trincea lungo un argine dello Scolo Palumbo, che, in seguito, fu rivista ed elaborata da C. Pravato.
Ed ancora, del Palumbo fu scritto:
“ Fosso di strage e di morte, tomba di fratelli e di avversari, tetro come un cimitero,
funebre testimone di disperato valore.
Tempestoso il nemico attacca e preme. Al bivio di Losson fieri ciclisti. Quella falange si gentil d’Eroi – Resiste e vince”.
Giovedì 20 giugno Ecco che cosa si apprende dal Diario di guerra di Arnaldo Fraccaroli “ La Vittoria del Piave “:
“La situazione era già insostenibile dopo il quarto giorno.
Con altre truppe d’assalto il Comando Austriaco aveva lanciato una brigata fresca (sicuramente la 91° Schuetzen) e nuovi reparti d’assalto.
Cinque volte vennero all’assalto, fecero qualche progresso, si avvicinarono a Losson, cinque volte furono ricacciati dai piccoli sardi indomabili della Brigata Sassari gloriosa, che da sei giorni stavano affrontando, in quel settore gli assalti nemici”.
In quelle ondate le perdite nemiche furono spaventose.
Quando al tramonto i soldati sardi, frantumato l’ultimo assalto, partirono urlando al contrattacco, fiancheggiati dalle furie dei battaglioni della Bisagno e dal 9° bersaglieri ciclisti, il terreno tra Case Gradenigo e lo Scolo Correggio era infoltito di cadaveri”.
I piccoli sardi, scrisse Gino Piva, avevano battuto i scelti reggimenti dell’impero.
Ancora una volta la storia si rinnovava.
Contro gli austriaci, presso le rive dello storico fiume, risorgeva la gente d’Italia.
Ancora una volta tutte le bandiere sventolarono per le città e per i villaggi della Sardegna. Anche coloro che avevano perso un figlio, un fratello, uno sposo si unirono all’esplosione di gioia. Ancora una volta l’Italia e le nazioni alleate s’inchinarono al valore dei sardi. Il tracollo della V Armata del generale Wurm e il fallimento dell’offensiva di giugno andava, senz’altro, attribuita al sanguinoso insuccesso di quei cinque attacchi del 20 giugno, sferrati nel tentativo di sfondare la resistenza dei piccoli, ma mitici fanti della Sassari e di uno mirabile battaglione della Brigata Bisagno, asserragliati a Losson e nel territorio di Meolo.
Giovedì 20 giugno 1918Dopo ben cinque violenti attacchi austriaci seguiti da cinque contrattacchi italiani, il nemico aveva finalmente capito che vano sarebbe stato qualsiasi ulteriore sforzo offensivo e il Comando Supremo, a quel punto, aveva pensato bene di ordinare alle proprie truppe di iniziare il rientro alle linee di partenza, senza alcuna preoccupazione per i cadaveri insepolti, disseminati un po’ dovunque tra le case incenerite e dirute, tra i campi, devastati dalle lotte corpo a corpo e dalle esplosioni, e tra la vegetazione acquatica nei fossati tutt’attorno alla povera chiesa. di Losson.
Il giorno dopo l’aspetto di quella chiesa appariva assai desolante. Residui bellici, armi e munizionamenti di vario tipo giacevano un po’ qua e un po’ là frammisti alle rovine e alla polvere.
Si era rivisto il parroco, don Sebastiano Zordan, scomparso ancora verso la fine del mese di maggio, quando, dopo un pesante bombardamento austriaco, aveva pensato bene di mettersi al riparo chissà dove in qualche campagna. Era venuto un po’ preoccupato per i libri di una sua biblioteca, che aveva trovato ancora intatti e per un certo numero di bottiglie di vino eccellente che aveva riposto ad invecchiare in una
sua cantina e anche quei locali erano stati trovati intatti e in perfetto ordine, cosa che purtroppo non fu per le preziose bottiglie ivi conservate.
Evidentemente, durante le tremende battaglie dei giorni precedenti, ai numerosi combattenti che si erano avvicendati in quei paraggi, non doveva essere sembrato vero di trovare simili bevande disponibili per poter attenuare la grande arsura e rendere la sete meno insopportabile.
Al tremebondo parroco, che non tardò ad allontanarsi in tutta fretta da quei luoghi pericolosi, non rimase altro che mettersi l’animo in pace con la convinzione che le bottiglie scomparse erano state ben utilizzate. D’altro canto quelle truppe non si trovavano lì a diporto, ma si erano bensì impegnate in duri combattimenti per la difesa di Losson. La biblioteca e le bottiglie di vino erano state riposte in un locale alla base del campanile, dove erano conservati paramenti e addobbi da utilizzare nella chiesa e dove in quei campali giorni di giugno era stato sistemato il centralino della Brigata Sassari.