di GIOVANNI RUNCHINA
Nel suo caso, il tragitto tra ufficio e casa non si misura in chilometri ma in fusi orari. Il primo in Cina, il secondo in Norvegia. Pendolare d’eccezione, Alessandra Deidda ha fatto della capacità d’adattamento caratteristica di vita. Trentasei anni, originaria di San Sperate, Alessandra lavora a Shenzhen dove esercita la professione di architetto. Una volta al mese, in media, si imbarca sull’aereo alla volta dell’Europa per raggiungere il suo futuro marito, Dinesh, ingegnere informatico che si trova nel paese scandinavo. A unirli c’è l’amore anche per la Sardegna dove si sono conosciuti alcuni anni fa e dove si sposeranno a giugno: “Il Nuraghe Arrubiu – spiega – farà da sfondo a questo mix di culture che ci caratterizza, la sua indiana e la mia sarda, con amici che verranno da più parti del mondo per festeggiare con noi un matrimonio dai mille colori e sapori. Se in un futuro riuscissimo a spostare il nostro baricentro in Sardegna, questo ci renderebbe felicissimi. Il sole e la bellezza della gente lo hanno conquistato quando, nel 2010, arrivò a Cagliari per la sua prima esperienza all’estero”.
E a proposito di esperienze, la storia di Alessandra è una miniera di racconti e di situazioni. Tutto è iniziato in Spagna, subito dopo la laurea: “Inizialmente sono stata a Barcellona, in uno studio in prima battuta come tirocinante; la città mi ha dato l’opportunità di incontrare persone di altre culture e di aprirmi ad esperienze importanti, come il progetto del padiglione spagnolo per la Expo di Shanghai”. Da qui l’interesse per l’Oriente, allora in piena espansione, e la decisione di andare a vedere di persona che cosa stava accadendo: “Era il 2010, pensavo che ci sarei stata sei mesi o un anno al massimo”.
Shenzhen la meta: “Sono approdata in un importante studio di architettura. Il primo progetto è stato per un complesso di uffici e residenze da 100mila metri quadri, quanto un nostro paese, ma tutto concentrato in pochi ettari. In quel periodo, Shenzhen festeggiava il suo trentesimo compleanno. Le candeline sulla torta erano fuochi artificiali da palazzi di 50 piani”.
Un’avventura totalizzante: “Ad appena 28 anni mi sono ritrovata a partecipare a lavori di rilievo come quelli per il Business District di Pechino. Ciò che in Europa si realizza in un anno, in Cina è fatto in pochi mesi, l’intensità è altissima. Inizialmente è gratificante, nel lungo periodo diventa faticosissimo. Lasciato lo studio per il quale ho collaborato per circa un anno mi è capitata l’occasione di progettare un negozio di vini. Quest’opportunità è stata anche l’inizio di una ricerca di occasioni lavorative e, negli anni, sono riuscita a crearmi una rete di contatti interessanti. In Cina tutto accade in tempi brevi, ma a Shenzhen in modo particolare perché il governo sperimenta misure economiche speciali; è una città di passaggio per tanti cinesi che vogliono far carriera. Io ne sono stata travolta ed affascinata. Non sono mancati nel corso degli anni i momenti in cui sarei voluta scappare. Qui si lavora di continuo, il riposo è considerato uno spreco di tempo, mi piace definirlo l’estremismo del Capitalismo, dove il denaro è il valore principale”.
Proprio il denaro rappresenta, più che altrove, il grande spartiacque, la barriera invisibile che tiene separati l’oceano della povertà dal laghetto della ricchezza. “È come mettere in contemporanea un piede nel passato e uno nel futuro, le aree urbane più sviluppate, i centri commerciali del lusso costeggiano quartieri poverissimi, o addirittura aree industriali dove in grandi camerate vivono decine di persone, la cui unica intimità è quella dello spazio definito dalle tende anti zanzare disposte intorno al letto a formare un baldacchino. A questo si contrappone, poco più avanti, una Ferrari o una villa multi-piano, o l’uso smodato della tecnologia, l’Iphone di ultima generazione cui fa da contraltare il triciclo del signore che ritira la plastica per cercare di guadagnare qualcosa in più. Oggi una semplice applicazione sul telefono ha sostituito quasi del tutto contanti e carta ed è possibile sia pagare il venditore di strada sia fare acquisti online”.
Adattarsi è una sfida continua: “Il tempo che dedico a me stessa e a rapporti sociali è veramente ridotto al minimo. Trovare il proprio spazio all’interno di un mercato in continuo cambiamento è difficile, farlo in un Paese straniero è ancora più complesso, la lingua e le differenze culturali sono tantissime. I cinesi ti chiamano oggi per un lavoro che avrebbero voluto iniziare un anno prima e così si corre sempre. Poco tempo fa sono stata coinvolta in due commesse diverse e, lo stesso giorno, mi sono ritrovata ad interfacciarmi con un’azienda che mi chiedeva due mesi di tempo per produrre un centinaio di lampade e un’altra in cui mi si domandava di completare il progetto di un intero quartiere in appena 3 mesi. La creatività italiana è molto apprezzata. La scuola e l’ambiente culturale in cui cresciamo sono importatissimi. In Italia spesso ci lamentiamo che le cose non funzionano e spesso dobbiamo ricorrere all’inventiva. Questo è un po’ quello che in Cina e non solo, viene apprezzato; non sappiamo fare solo una cosa, non siamo gli eccellenti ingegneri tedeschi o i metodici norvegesi, ma abbiamo la capacità di arrangiarci a fare più cose”.
Ma Alessandra ha comunque trovato il suo equilibrio: “la Norvegia è diventato quel luogo che oggi ritengo la mia sede principale, o come mi piace descriverla è quel luogo dove ho il mio guardaroba completo. Quando col mio ragazzo abbiamo deciso di iniziare a vivere insieme, la scelta è stata tra la Cina e la Norvegia, e un po’ con l’illusione che la Norvegia fosse più vicina a casa, la Sardegna, abbiamo deciso che Bergen fosse la città dove vivere. Le opportunità non si sono rivelate così interessanti come quelle che avevo iniziato a costruirmi a Shenzhen e così faccio la spola. Il mio affitto è diventato un biglietto aereo e continuo a coltivare in Cina la mia passione per l’architettura portandomi il ‘lavoro a casa’ quando posso. Stare in due paesi diversissimi, la Cina super capitalista di oggi dove si lavora senza sosta e la Norvegia socialista, dove invece il lavoro è considerato un mezzo per vivere mi consente, da una parte, di coltivare le mie ambizioni e, dall’altra, di avere una vita personale impensabile in Cina”.
È incredibile quanti Sardi sia nativi, che originari si trovano in Cina. Quante belle esperienze.