di MICHELA GIRARDI
Dimenticate le spiagge da sogno, la movida della Costa, i volti rassicuranti dei vacanzieri ritratti abilmente nelle brochure. Quella che si presenta nel nuovo romanzo di Thomas Melis “Nessuno è intoccabile” è un’altra Sardegna. Un’Isola che, grazie all’ottima penna dello scrittore ogliastrino, mostra un lato di sé che forse tendiamo per primi ad ignorare, ben lontano dalle immagini patinate che ci danno ( o ci diamo?) da bere. Ma che esiste, vibra e regola – che se ne sia consapevoli o meno – il nostro vivere. Infatti, mentre i vip vengono paparazzati a Porto Cervo, Melis sposta l’occhio di bue su un fazzoletto d’Isola dove sono codici d’onore e ataviche tradizioni a regolamentare il quotidiano. Dove disamistade e balentia, con tutte le loro declinazioni, sono il linguaggio del vivere di intere comunità.
E’ proprio in questo lembo di terra, Iliseri, lontano dalle immagini di un’idilliaca Sardegna, che si svolgono le vicende narrate da Melis, che traggono spunto – con efficacia- dalla cronaca giudiziaria isolana e da un certosino lavoro di ricerca e documentazione. Vicende che vedono protagoniste due famiglie malavitose che da sempre in paese si trovano contrapposte e che tracciano il proprio destino sul battere e levare della vendetta, sul biblico “occhio per occhio, dente per dente”. Intorno alle micro vicende che li vedono scontrarsi, amarsi, odiarsi, avvicinarsi e allontanarsi, si intrecciano quelle di macro dimensioni della massoneria e della politica isolane, sullo sfondo di una gigantesca speculazione edilizia, che impera sul ritmo del pendolo che fa oscillare (in un climax ascendente regolato con perizia dallo scrittore) le vicende dei Degortes e dei Corrasi.
Melis si rivela un ottimo burattinaio, la sua penna traccia un affresco vivido e a tratti malinconico delle gesta di caratteri che subito conquistano. In primis quello del protagonista, Il Castigliano, difficile da dimenticare e nel quale si finisce per ritrovarsi, tra luci e ombre. E il giallo subito si fa sardo, senza forzature. Melis apre un vaso di Pandora del cui contenuto siamo sempre stati inconsapevolmente o meno al corrente. Ben sviluppati, i protagonisti del romanzo, ci prendono per mano e ci obbligano, grazie ad una scrittura potente e incisiva, a guardare in faccia una realtà che è quella dei nostri giorni, che ci abita accanto, che muove le fila di ciò che ci accade ogni giorno. E’ qui che la miseria umana si mescola all’onore, che la giustizia abdica in favore dileggi non scritte ma di una potenza e di una portanza selvagge.
Nei protagonisti del romanzo non facciamo fatica a riconoscere i nostri vicini di casa, i volti noti della politica isolana, in un certo senso anche noi stessi. Interessanti le figure femminili tratteggiate dal romanziere ogliastrino, in primis quelle contrapposte e speculari di Zia Bonaria e della giovane Benedetta. Donne forti, caparbie, totalmente immolate alla causa della disamistade. Donne che come con una intricata matassa, dipanano con fredda maestria gli eventi, in un alternarsi di lutti, vendette, obiettivi, rapporti familiari e solitudini. Sono proprio le donne, infatti, dietro le quinte, a tirare le fila di una vicenda solo apparentemente tutta maschile. La potenza del matriarcato in Sardegna, infatti, si fa sentire, in ogni singola riga di Melis.
Trama avvincente, stile incalzante. Un corsa continua verso la resa dei conti che ci fa trattenere, pagina dopo pagina, il fiato. Il traguardo per entrambe le famiglie? La vittoria, la salvezza, il riscatto sociale. Un obiettivo che però viene da tutti mancato, perchè a Iliseri (così come in ogni parte del mondo?) “nessuno è intoccabile”.
Al libro e ai personaggi che lo abitano con forza, si torna con la mente, in un’analisi del mondo che ci circonda, anche dopo averlo riposto, dopo essere giunti all’ultimo rigo. E non è forse questo che succede quando un racconto possiede potenza e valore?