di MATTEO TUVERI
Ai margini della Barbagia di Ollolai, sotto lo sguardo attento del monte Corrasi, volute, ricami, perle, anse e panneggi assumono forma concreta affondando le loro linee nella glassa. È poesia di Sardegna, quella più autentica proprio perché interpretata da mani abili e cuore di esteta. Riproponendo e rivisitando le forme della tradizione, Anna Gardu, maestra pasticcera, crea pizzi, trine, filigrana e tessuti con lo zucchero e la mandorla. La tecnica è quella della glassa o ghiaccia reale che da tempo immemorabile è utilizzata in Sardegna per lasciare sui dolci l’ombreggiatura delicata dell’intreccio di un filo di cotone. Ereditata dal bisnonno l’arte, avendola impressa nella mappa genetica, la affina e la coltiva nel corso degli anni, raggiungendo vette cesellate con la sua linea di dolci denominata Hòro (dalla parola Cuore nella variante linguistica del centro Sardegna).
Anna Gardu colleziona premi, partecipazioni e apprezzamenti, espone a Nuoro, dove una sua particolare Via Crucis, tutta realizzata in dolcissimo gateau, abbellisce la Chiesetta della Solitudine, luogo di sepoltura del Premio Nobel Grazia Deledda, ai piedi del Monte Ortobene, a Parigi e Milano, dove, insieme a “350 nomi dell’arte italiana nei secoli” nella sezione “Il tesoro d’Italia, curata da Vittorio Sgarbi, compare come l’unico artista vivente fra i grandi sardi posti in mostra. In lei si realizza quello che dal 1950 viene chiamato in Giappone 重要無形文化財保持者 (jūyō mukei bunkazai hojisha ovvero Portatore di beni culturali intangibili). Il tesoro nazionale vivente è colui che preserva, con i suoi particolari saperi, una complessa esperienza artigianale, tecnica o artistica tramandandone la memoria e arricchendo la nazione e il mondo.
La riflessione imposta dai suoi lavori va tuttavia oltre la bellezza applicata al cibo, e si sofferma anche sulla biodiversità, sulla necessità di rivalutare l’artigianato, i saperi e sapori del territorio e un’economia, sempre più asfittica e disumanizzata, che ponga nuovamente al centro l’essere umano, i ritmi stagionali e il consumo responsabile. Abbiamo incontrato l’artista, disponibile, gentile, con uno spiccato senso estetico e un approccio alla vita pratico e romantico al medesimo tempo.
Come si avvicina una donna giovanissima all’arte dolciaria alle tecniche e alla bellezza estetica dei dolci? Rappresento la quarta generazione di una famiglia che fin dal 1890 realizza dolci tradizionali. Il pioniere di quest’arte dolciaria fu il mio bisnonno Nicola Colli che poi la affidò alle donne di famiglia per poter seguire la sua distilleria, all’epoca itinerante, che lo portava a stare fuori casa per lunghi periodi. Sono cresciuta avvolta dai profumi di mandorle tostate, zucchero caramellato e scorze d’agrumi appena grattugiati. Ho sempre visto mia nonna mia madre e le zie all’opera per la realizzazione dei dolci tradizionali in tutte le varie fasi tanto da essermi rimaste impresse come sensazioni che poi ho tradotto nel mio percorso sensoriale utilizzando a mia volta le stesse basi dell’antica ricetta plasmandole secondo il mio estro. In questa mia ricerca nel creare nuove forme é racchiusa tutta la mia passione per il disegno, la ceramica e i gioielli. A tutto questo si aggiunge il mio essere esteta e il piacere del bello che la natura ci mette a disposizione.
La lavorazione dei dolci, la resa sulla ghiaccia reale (fatta di mandorle, zucchero e aromi) di scialli e ricami. Un’oreficeria del palato che non solo riporta l’attenzione sui tesori dell’Arte Dolciaria Sarda, ma anche sull’importanza del cibo. Ce ne può parlare? C’è un detto che recita «della mandorla non si butta via niente» e posso confermarlo. Il fatto che da una manciata di mandorle e zucchero, con qualche albume per le decorazioni, si dia vita a dolci elaborati tanto da considerarli artistici non è sicuramente uno spreco, ma un qualcosa in più che permette di capire con quanto amore, passione, non risparmiando certo in energie, si riesca a confezionare un oggetto che può essere considerato “arte effimera”. Paragono i miei dolci ai fiori. Madre Natura in questo è stata molto generosa, creando gamme di colori e forme irripetibili e dalla breve durata, ma non per questo uno spreco perché il loro compito è nutrire gli animali e anche l’anima, rendendoci più sensibili.
Le sue opere per EXPO2015 esposte fra i tesori d’Italia. Quali, secondo lei, gli altri tesori nel nostro paese e come fare per toglierli dall’angolo e renderli fonte primaria di lavoro? Il tema per cui dovevo lavorare per la mostra era “l’Albero della Vita”. Ho presentato 11 lavori cercando di riportare i simbolismi che ricordassero la mia terra, dando ad ognuno di essi il nome dei dieci elementi che compongono l’Albero della Vita. Questa è stata una scelta mirata per attirare l’attenzione su una terra che io amo sempre definire uno scrigno di tesori. Abbiamo la fortuna di vivere veramente in un’Isola dei tesori, ricca di un artigianato di qualità, tradizioni che si tramandano da generazioni preservando usi e costumi di un tempo antico che rispecchiano nei profumi e nei sapori un popolo laborioso ed orgoglioso. Purtroppo quello che ci manca è lo spirito imprenditoriale ma è anche vero che trattandosi di piccole produzioni di nicchia sarebbe difficile inserirlo in un mercato più ampio senza doverne sacrificare la qualità. L’unica maniera sarebbe quella di finanziare direttamente gli artigiani in modo da potersi Consorziare tra loro per tipo di prodotto e qualità. Tutto questo creerebbe lavoro preservando le caratteristiche dei prodotti e aumentando l’occupazione di conseguenza l’economia. Puntare sulla qualità promuovendo l’Isola per essere produttrice di prodotti di nicchia esclusivi. Vendere i prodotti al prezzo giusto puntando sul cliente d’élite. Utopia? Chissà magari il segreto è proprio nel sapersi vendere bene e non svendersi.