di DARIO DESSI’
Un ricco raccolto autunnaledi prodotti orticoli nel Veneto occupato.
Nella foto, a giusta ragione, l’espressione nel volto del bambino appare alquanto intimidita e perplessa.
L’immagine, veniva utilizzata quale ottimo mezzo di propaganda nei confronti di tutti quei soldati A. U. , mal nutriti e angustiati dalla fame, che si apprestavano ad affrontare quella rischiosa avventura, che li avrebbe portati a compiere un ulteriore balzo in avanti nel Veneto, dove speravano di trovare ogni ben di Dio da razziare.
In un altro documento trovato nelle tasche di un ufficiale prigioniero si leggeva:
L’invito alla rapina non era di poco conto nel clima di una battaglia che aveva a tergo i territori depauperati di un vasto impero con milioni di esseri umani condannati all’esaurimento per fame, compresi quei 900.000 abitanti nelle province di Udine, Belluno, Vicenza, Treviso e Venezia, che erano rimasti per un anno intero sotto la dura occupazione austro tedesca, subendo la fame e numerosi soprusi, mentre altri 300.000 erano stati costretti ad abbandonare le loro terre e le loro case con le poche masserizie e viveri disponibili per andare profughi in tante contrade d’ Italia.
Ma ecco intanto nel mese di giugno di cento anni fa, lungo la sponda destra del fiume Piave, fervere i preparativi per la tanto attesa OffensivaAlbrecht
I difensori sembravano, almeno in parte adolescenti.
Dopo Caporetto era stata richiamata la classe 1899. Scrisse Luigi Gasparotto in “Rapsodia d’ un fante”:
“ Sul Piave il nemico avrebbe trovato un esercito nuovo, inatteso: i fanciulli del 99”.
Intanto anche gli ungheresi si rivolgevano a Dio: Il I. R. Comando della 64° Divisione Honved fece lanciare su Treviso dei volantini con il seguente messaggio:
“Soldati!
Dopo quasi quattro anni di guerra, si avvicina la pace vittoriosa! I nostri eserciti vittoriosi si accampano dovunque in territorio nemico: sul fronte occidentale i nostri alleati germanici ottengono di giorno in giorno successi brillanti.
Tocca ora a noi vibrare il colpo mortale a questo nemico italiano falso e fedifrago. Passando il Piave dobbiamo infrangere le sue linee per poter quindi distruggere i suoi eserciti.
A voi, eroi della valorosa 64° Divisione Honved, il glorioso compito di aprirvi un varco nelle masse nemiche e di spiegare al vento su Treviso la bandiera magiara.
Ho piena fiducia che voi combatterete col tradizionale valore che durante questa lunga guerra procurò all’esercito degli Honved il rispetto e l’ammirazione del mondo intero.
Avanti! Avanti figlioli!
Con noi è la giustizia, con noi è il dio guerresco dei magiari.
Posta da campo 523 – 13 giugno 1918. Maggior generale Seide
La pianificazione dell’offensiva austro-ungarica
Sin dall’inizio del 1918, dopo il crollo del fronte russo, l’Austria e l‘Ungheria avevano a disposizione dalle 52 alle 54 divisioni, che comprendevano 533 battaglioni 890 batterie, 71 squadroni di cavalleria appiedati, 28 squadroni a cavallo e 5000 mitragliatrici. L’esercito a.u. era pertanto in possesso di una superiorità relativa sia sul fronte montano lungo il fiume Brenta tra l’Astico e il Piave, ché nel fronte medio del Piave in direzione di Treviso.
Fiducioso di tale superiorità, l’ultimo rampollo degli Asburgo, l’imperatore Carlo aveva voluto affidare quell’offensiva di giugno ai due comandanti in capo dell’esercito austro ungarico sul fronte italiano: Conrad con la 11° armata tra l’Astico e il Piave e Boroevic con la VI armata e l’armata dell’Isonzo lungo tutto il corso del fiume Piave sino al mare.
Tra le due operazioni denominate Radetzky la prima e Albrecht la seconda non esisteva, però, la benché minima traccia di coordinamento.
Addirittura i comandanti dei due gruppi, approfittando della completa apatia e dell’incredibile disinteresse da parte del Comando Supremo, avrebbero fatto a gara su chi avrebbe gestito lo sfondamento principale.
A Baden regnava un atmosfera di pacifica condiscendenza nei confronti dei due comandanti, al punto da concedere loro carta bianca nel condurre la propria offensiva, una volta che i loro piani erano stati elaborati ed approvati a suon di continue trattative, di assicurazioni reciproche e di compromessi, senza badare minimamente al conseguente dispendio di sforzi e di energie.
Inconcepibile fu anche il modo di programmare e di preparare quella che fu l’ultima offensiva dell’impero asburgico.
In parte fu definita a Bolzano, dove Conrad aveva il suo Quartiere Generale e per il resto a Baden, sede del Comando Supremo Austro Ungarico.
Nel 1918, in un momento veramente critico per le sorti della monarchia danubiana, il Comando Supremo austro ungarico non sembrò agire con autorevolezza e indipendenza nel concedere l’autorizzazione a un’ offensiva di tale importanza. Gli austriaci, consapevoli del recente tracollo delle difese italiane nel fronte Isontino, non avevano il minimo dubbio sull’esito di quell’offensiva: per loro sarebbe stato estremamente facile travolgere qualsiasi sistema difensivo per poi dilagare subito dopo nella pianura veneta, dove avrebbero trovato ad attenderli pingui bottini e facili prede.
Anche nell’opinione pubblica, ricordando i successi ottenuti nell’autunno del 1917, esisteva la convinzione di una nuova grande vittoria.
Per tre anni l’Austria era riuscita a contenere i ripetuti attacchi del’Regio Esercito con forze decisamente inferiori, per poi batterlo sull’Isonzo.
Adesso lanciandogli contro le truppe a.u. in tutte le sue forze, finalmente sarebbe stato sconfitto una volta per sempre il nemico secolare dell’Austria Ungheria.
Ma quel sogno non si sarebbe mai avverato e nonostante l’impegno di tutte le forze materiali e morali, quella sfortunata offensiva si sarebbe conclusa con ingenti perdite e con ripercussioni di natura deprimente sui soldati e sulla popolazione civile.
Più che alla sfortuna, l’insuccesso doveva essere attribuito all’insipienza di certi alti ufficiali austriaci che non erano stati in grado di vedere al di là del loro naso, accecati come erano da sentimenti di odio e di rivalsa nei confronti del popolo italiano. A nessuno a Baden o negli alti comandi era venuto, per qualche momento, in mente di prendere nella dovuta considerazione le condizioni critiche in cui, ormai da mesi, versava l’imperiale regio esercito.
In quell’impero che si apprestava a sferrare un offensiva di tale portata tutto era deficitario e scadente: dal cibo al vestiario, dai mezzi di trasporto, ai pezzi di ricambio, dai combustibili, agli armamenti e alle munizioni.
In Austria si mangiavano poltiglie per niente nutrienti di cortecce di piante sminuzzate e miscelate con della paglia tritata. Una pietanza disgustosa al palato che predisponeva a certe malattie dello stomaco compromettendo lo stato di salute della popolazione civile e dei soldati.
La carne e il latte erano inesistenti anche per i feriti, per gli infermi e i bambini.
Nelle corsie degli ospedali le garze e i bendaggi, in genere, erano sostituiti dalla carta. Solo coloro che possedevano una certa ricchezza potevano permettersi il lusso di calzare scarpe di cuoio.
Le condizioni fisiche delle truppe allineate lungo il fiume Piave in attesa di iniziare l’offensiva, lasciavano alquanto a desiderare per la penuria cronica del nutrimento e dei capi di vestiario necessari per la loro sopravvivenza .
In pratica, quelle truppe non erano, assolutamente idonee ad affrontare una offensiva di qualsiasi portata.
I soldati dell’Impero austro ungarico si sentivano ormai stufi e stanchi di quella guerra ed erano, inoltre, alquanto preoccupati per la mancanza di mezzi necessari alla sopravvivenza che affliggeva i loro familiari, in patria.
Quanto alla qualità delle poche munizioni disponibili, le granate, una volta raggiunto l’obbiettivo, facevano cilecca, gli shrapnel, in mancanza delle regolamentari schegge di piombo, erano imbottiti di chiodi e di altri frammenti ferrosi, e i proiettili speciali venivano impiegati con gas del tutto inefficaci.
Una delle lacune più evidenti da parte degli alti comandi fu quella di non aver voluto prendere provvedimenti atti a migliorare lo stato fisico delle truppe.
Il nutrimento era assolutamente insufficiente. Il vestiario era in condizioni pietose; i soldati indossavano uniformi lacere e ai piedi avevano scarpe ridotte a brandelli. Le condizioni igieniche delle truppe erano decisamente deplorevoli; o non era possibile trovare il tempo sufficiente da dedicare alla pulizia personale e allo spidocchiarsi o era venuta a mancare la minima volontà di farlo.
Se tali erano le condizioni fisiche di quei soldati, era immaginabile quali fossero quelle morali, quando furono mandati, anzi spinti, all’attacco.
Grande, indubbiamente, sarebbe stato lo smacco per l’esercito e il popolo italiano se quei raggruppamenti di pezzenti in “feldgrau” fossero riusciti, come era nelle loro intenzioni, a raggiungere le città della pianura veneta quali Treviso, Venezia, Padova e Vicenza.
Dal punto di vista della situazione meteorologica, per di più, il periodo prescelto per l’offensiva non sarebbe stato dei più felici.
Nel mese di giugno erano previste abbondanti piogge, le quali avrebbero accresciuto il livello delle acque del Piave, in modo da rendere estremamente difficoltosi gli attraversamenti e i guadi, la costruzione dei ponti e la navigazione delle barche e dei pontoni, e da ostacolare l’avanzata delle truppe imperiali regie, oltre al trasporto di tutto il materiale occorrente per la conduzione vittoriosa di una simile offensiva.
Gli alti comandi austriaci avevano dimenticato, inoltre, di valutare la consistenza dell’artiglieria e la ormai consolidata superiorità aerea del Regio Esercito. I cannoni italiani, ogni chilometro di fronte era guarnito da due o tre batterie d’artiglieria, avrebbero iniziato il fuoco, rafforzandolo gradualmente e mantenendolo della stessa intensità per l’intero primo giorno di battaglia.
Una carta dell’Istituto Geografico Militare, datata 20 maggio 1918, mostrava le postazioni difensive e le batterie d’artiglieria italiane, pronte ad ostacolare l’offensiva austro ungarica. E pertanto mentre a Caporetto c’era stato un silenzio assoluto da parte delle numerose artiglierie italiane, sul Piave, al contrario, ci sarebbe stato un violento intervento preventivo di contropreparazione che avrebbe avuto inizio a mezzanotte del 15 giugno, per poi riprendere, dopo una breve sosta, alle 2,30. Ma, a Baden, gli alti comandi austriaci, oltre all’azione devastante dell’artiglieria italiana, avrebbero dovuto prendere in considerazione anche l’impiego dei velivoli da caccia e da bombardamento Nieuport, Caproni e Ansaldo. Quei velivoli con il concorso degli aerei da ricognizione, avrebbero dato un sicuro contributo alla demolizione di tutto ciò che il genio austriaco avrebbe costruito tra una sponda e l’altra del fiume Piave.
E così, tanto per citare un esempio, il ponte di San Donà, terminato alle ore 5,30 del giorno 15, alle ore 9,45 era stato già distrutto con la conseguenza che i trasporti dovettero essere effettuati, come all’inizio dell’offensiva, per mezzo di barche che furono, a loro volta, attaccate a più riprese dagli aerei e dal continuo fuoco dell’artiglieria italiana.
Sul Piave, inoltre, le precipitazioni insistenti avrebbero fatto salire il livello delle acque di 70 cm. , rendendo così impossibile la costruzione dei ponti.
Il comando austriaco aveva inoltre commesso un fondamentale primo errore di valutazione, tralasciando di pianificare i tempi e i metodi delle operazioni che avrebbero fatto seguito al primo attraversamento del Piave.
E questo perché non era stata tenuta in considerazione la vitale importanza di un valido supporto logistico, in termini di artiglierie, di servizi e di tutto il materiale occorrente per permettere l’allargamento della zona territoriale appena conquistata e per garantire una vigorosa prosecuzione della lotta contro una resistenza, che sarebbe stato saggio e prudente prevedere tenace ed attiva.
Già! Secondo le previsioni, indubbiamente ottimistiche, del comando supremo A.U., le truppe dell’armata dell’Isonzo, avrebbero dovuto raggiungere Treviso nel primo pomeriggio del giorno 15,
Secondo le aspettative degli austriaci, che avevano fatto del loro meglio per studiare quell’offensiva nei minimi particolari, il successo avrebbe arriso alle loro bandiere.Il Capo di Stato Maggiore dell’ imperiale regio esercito Arthur Albert von Straussenburg aveva comunicato al maresciallo Paul Ludwig Hindenburg, capo di S.M. dell’ esercito imperiale tedesco, la sua intenzione di annientare militarmente l’Italia. Aveva, però, commesso un’enorme sbaglio nel sottovalutare la formidabile organizzazione logistica del Regio EsercitoIl nemico, l’austriaco, libero ormai da ogni altra preoccupazioni in altri fronti, aveva concentrato tutte le sue truppe contro l’Italia con intenzione di attaccare contemporaneamente la fronte montana e quella del Piave.
Lungo il corso del Piave e più precisamente nel settore meridionale, le colonne austro ungariche, una volta superato il sacro fiume, avrebbero dovuto avanzare scavalcando agevolmente le linee difensive italiane sino a raggiungere le tanto agognate città di Treviso e di Venezia.Ma ahi loro! Ancora non sapevano che ad arginare il loro pericoloso sfondamento, sarebbe intervenuta la 33° divisione, della quale faceva parte la Brigata “Sassari”, la Brigata dalle mostrine bianche e rosse, dai colori della fede e della passione, la gloriosa Brigata che già per le sue eroiche gesta aveva guadagnato due medaglie d’Oro al valore militare ed era comparsa per ben tre volte nei Bollettini di Guerra.
Mercoledì 12 giugnoAlcune disposizioni per il bottino
Servizio di requisizione, di ricerca, d’accentramento: Per quanto attiene le acquisizioni forzate di prede e bottino di qualsiasi natura da parte delle truppe attaccanti, nulla era stato affidato al caso.
“ I reparti di requisizione siano costituiti per il giorno 12 corrente ed assegnati ai comandi di battaglione.
Alle ore 9 del 13 corrente tutti gli ufficiali di battaglione addetti alle requisizioni ed all’accentramento, come pure i sottoufficiali, si troveranno al comando dei reggimenti dove un ufficiale reggimentale addetto all’accentramento assieme all’ufficiale del vettovagliamento impartiranno disposizioni precise, in base alle quali verrà istruita la truppa. Si osservi il principio che la truppa beva e mangi abbondantemente, ma non devasti.
Ricordiamo gli spettacoli ripugnanti dell’offensiva d’autunno: botti sfondate nelle cantine allagate, buoi e maiali sgozzati dei quali soltanto qualche parte era stata utilizzata, depositi e botteghe svaligiate; pensiamo anche alle nostre famiglie nel paese. Non si devastino le fabbriche e gli impianti. Non si calpestino a bella posta i campi e non si falcino per fare giacigli”. Firmato Colonnello Mittereger
Arnaldo Fraccaroli scrisse:
“ Il colonnello Volang, comandante del 56° Reggimento Fanteria, si è fatto fare, in previsione dell’offensiva, quattro grandi bauli per mettervi dentro tutte le deliziose cose che avrebbe trovato in Italia.
Siccome, non pare poi un egoista, aveva consigliato ai suoi soldati di munirsi di un tascapane ampio e di tenerlo vuoto per poterlo abbondantemente riempire.
Gli ufficiali avevano indosso anche degli ordini precisi come un orario ferroviario. Quello della 70° divisione Honwed sul Piave stabiliva:
Prima giornata ore 7.30 prima irruzione, ore 10.30 raggiungimento della linea Piave – Sella nord di Treviso. Ore 11 occupazione della linea Meolo – Casanova.
Ore 14 occupazione di sorpresa della linea di Pero.
E’ noto che la sera della prima giornata era in programma l’arrivo a Treviso.
Un ordine trasmesso dal comando della Isonzo Armee ricordava agli ufficiali: Dopo lo sfondamento delle prime linee nemiche è inopportuna qualsiasi eccessiva cautela nell’avanzare”.
In un documento emanato dalla XIV divisione austroungarica venivano però impartite le seguenti istruzioni:
“Provviste di vino, di viveri ecc. che si rinvenissero nell’ulteriore corso dell’avanzata non siano distrutti senza scopo. Rimpinzarsi sì, ma non sciupare e non ubriacarsi. Appropriatevi, per uso personale, di uniformi, di biancheria ecc. Quello che non vi abbisogna, raccoglierlo in depositi per essere spedito alle nostre famiglie che ne hanno tanto bisogno. In base alle disposizioni del comando della “Isonzo Armee” ogni uomo riceverà viveri, tessuti, cuoio e sapone per se e per i suoi cari da portarsi a casa”.
In un altro documento trovato nelle tasche di un ufficiale prigioniero si leggeva:
“Non distruggete nulla, conservate tutto, raccogliete ogni cosa”.
Sono state prese tutte le misure affinché vi si riservasse una parte del bottino,in modo che siano alleviate ai vostri parenti le privazioni imposte dai tempi tristi che attraversiamo. Non sparate nelle botti di vino non sventrate i sacchi di farina e di riso e d’altre provviste. Conservate specialmente tutti i generi, che sono scarsi nel nostro paese, siano essi derrate, articoli tecnici ed altro.
Chi non a cura di conservare la roba e di usarla con parsimonia danneggia la sua patria, la sua famiglia, se stesso”.
Il maresciallo Saretic infine non mancò di raccomandare alle sue truppe:
“Dilagando sulla ricca e fertile pianura padana, fatte tutti il vostro dovere! Non risparmiate il nemico maledetto e con l’aiuto d Dio sopportate quest’ultimo sacrificio per il sovrano e per la libertà della nostra bella patria”.
Egregio Direttore, inizia una serie articoli che descrivono le vicissitudini che dovettero affrontare le armate dell’Impero austro – Ungarico nell’ ultima offensive scatenata su due fronti italiani, con tutte le truppe disponibili, comprese quelle provenienti dalla Galizia, in seguito al ritiro delle armate russe e al propagarsi della rivoluzione nell’impero degli Zar.
In quattro anni di guerra, mai erano state schierate tante truppe e tanti armamenti contro i fedifraghi italiani. Gli Austriaci erano convinti e così anche i loro alleati teutonici di riuscire a ripetere la fortunata offensiva di Caporetto e si sentivano convinti che con poco sforzo avrebbero dilagato nella pianura veneta e quindi in quella padana.
Ma ahimè, 100 anni orsono, fu quella l’ultima offensiva del loro impero che ebbe a frantumarsi contro un esercito italiano risorto, rigenerato e sostenuto,finalmente,dal Governo e dal Papato.
Pochi mesi dopo, la dèblache di quell’immenso impero asburgico costrinse anche l’impero tedesco a chiedere l’armistizio.
Che se ne voglia o no fu proprio l’insuccesso delle truppe austro – ungariche nel mese di giugno del 1918, la causa determinante della fine della Grande Guerra, destinata ad essere considerata la più orrenda e la più tragica, combattuta in Europa e poi in tutto il mondo abitato da popolazioni considerate civilizzare e progredite.
Eppure se si legge nelle migliaia di libri che sono stati scritti sulle vicende della Grande Guerra tanto è stato detto sui fronti italiani dal Carso, all’Altopiano di Asiago, dal Monte Grappa al Monte Sabotino, su Gorizia e su Caporetto, ma quasi nulla è stato tramandato ai posteri sull’ importanza della battaglia difensiva combattuta e vinta sulle anse tortuose del Basso Piave tra Fossalta di Piave e Musile di Piave, dove gli austriaci erano riusciti a sfondare il fronte italiano per essere quasi subito fermati e costretti a ritornare sulle loro posizioni.