di LUCIA BECCHERE
Giovanni Nonnis nasce a Nuoro nel 1929 nell’antico rione di “Santa Ruche” da genitori modesti che lo educano ai valori della vita. Animato da un forte desiderio di libertà e di conoscenza cresce vivace e ribelle modellando il carattere di futuro artista in quel prolungamento naturale della famiglia che è il vicinato dove ben presto si confronta con la realtà dei vicoli stretti dove le case si fronteggiano ma anche delle vicine campagne che circondano il vecchio rione di Santu Predu di cui assorbe il fascino antico per poi trasfigurarne l’incanto nelle sue tele. Il suo primo maestro è stato il pittore Congiu Pes detto “Conzu mandrone” immortalato da Salvatore Satta ne Il giorno del Giudizio e identificato come Cossu-Boi da cui forse apprenderà la genialità dell’arte e del pensiero.
Nel ’45 è boy scout nella vicina sede di Santa Ruche dove alloggiavano i soldati americani. Cucinerà per loro frittelle di farina e zucchero ricevendo in cambio la cioccolata. Nuoro però gli sta stretta e appena sedicenne si arruola nella marina militare dove rafforza orgoglio e rigore. Spirito irrequieto abbandona anche questa strada e si trasferisce a Sassari, nel ’51 si diploma all’istituto d’arte dedicandosi all’insegnamento e alla pittura nella ricerca incessante di uno stile personale. Nelle sue tele i temi dominanti sono momenti del vivere quotidiano, nature morte e temi sacri. I toni cupi, gli alberi nodosi e le nuvole dense sono lo specchio di un’anima tormentata mentre i cavalli che dipinge in corse scatenate raccontano il suo incontenibile desiderio di libertà. Il giovane Nonnis ha fretta di bruciare le tappe. Si sposa, la nascita della prima figlia Cecilia lo trasforma nel profondo, a seguire altri due figli: Pierpaola e Vittorio. L’artista ormai padre si rivela più attento alla realtà e ai problemi che attanagliano l’uomo, più maturo e consapevole nelle scelte. La sua arte segue la tradizione figurativa realistica anche se nelle sue opere coesistono esperienze artistiche diverse, il figurativo impressionistico sprigiona tratti lirici e poetici, il dissenso si addolcisce in pennellate leggere e il realismo espressionistico dei temi sociali appare sublimato dall’oro dello sfondo e delle linee.
Nel 1960 lascia Nuoro e l’insegnamento. Raggiunge Napoli, Ferrara e Milano poi Parigi e Madrid per rinnovare la sua arte ma il suo è soprattutto un viaggio introspettivo fatto di confronto e crescita culturale durante il quale rafforza i valori identitari e di appartenenza alla sua terra il cui ricordo è addolcito dalla lontananza.
La rappresentazione dei bronzetti «rielaborazione in chiave contemporanea della civiltà nuragica» è il materializzarsi della ricerca delle origini. Fedele alla sua sardità e in totale libertà rifugge da compromessi vivendo in solitudine le sue scelte sofferte. Attinge alla cultura arcaica dell’eroe primitivo da battitore libero in contrasto con il gruppo dominante degli artisti insegnando il figurativo quando ciò era ritenuto essere provinciale, consapevole che genialità e originalità ne avrebbero fatto di lui un inviso precursore dei tempi.
Amava trascorrere l’estate a Cala Luna immerso in un paradiso terrestre ai più sconosciuto e i cui confini erano tracciati dai colori e dai profumi del sole e del mare laddove l’arti- sta naufraga e si perde per poi ritrovarsi.
Quella del 1974 è stata la sua ultima estate. L’addio di un artista alla vita. Giovanni Nonnis muore in un incidente stradale nel febbraio del ’75 a soli quarantacinque anni. Bello, irrequieto e pieno di fascino ci ha consegnato una figura avvolta nella leggenda.
A ventiquattro anni dalla prima mostra del 1995 sono state esposte a Cagliari – a cura di Paola Mura, Direttrice della Galleria Comunale – le sue opere nel Palazzo Ducale dove per l’occasione Giovanni Columbu ha presentato un documentario sulla vita e le opere dell’artista scomparso.
Promotrice della mostra la figlia Cecilia, oggi affermata endocrinologa, che abbiamo incontrato.
Che padre è stato Giovanni Nonnis? «Fantastico e giocherellone ma allo stesso tempo severo e autorevole. Quello che voleva lo otteneva con lo sguardo. Amava moltissimo i bambini perché in loro ritrovava la sua vivacità e i bambini amavano moltissimo lui. Capelli castani e ricci, occhi verdi chiari era il polo d’attrazione ovunque e con chiunque fosse. Esercitava su tutti un fascino incredibile, fuori dal comune».
E che uomo? «Tutti dicevano che mio padre fosse bellissimo e molte donne impazzivano per lui ma da ragazzina il mio ideale di uomo era diverso. Noi figli siamo vissuti sempre in vetrina perché figli di separati prima, divorziati poi e negli anni Sessanta era uno scandalo. Mio padre era fuori dagli schemi, trasgressivo e anticonformista. Ci ha insegnato a cogliere il giusto e lo sbagliato di quella situazione non conforme, cosa non facile perché il divorzio dei miei genitori nel 1972 è stato il primo in Sardegna e fu riportato su tutti i giornali».
Quando è stata l’ultima volta che ha visto suo padre? «Due settimane prima che venisse a mancare. Era venuto a prendermi per fare rientro da Cagliari a Nuoro. Ma l’ultimo ricordo che voglio serbare di lui è una precondizione: dopo aver trascorso l’estate insieme a Cala Luna mentre la barca si allontanava dalla riva, nel guardare il mare ho avuto la premonizione che quella fosse l’ultima volta che lo contemplavo accanto a lui. Così è stato».
Cosa ammirava di più in lui? «Noi fratelli avevamo l’impressione di essere figli di un attore famoso che ogni tanto tornava dopo aver girato dei film. Lo vedevamo poco ma quel poco era la felicità immensa. Di lui mi porto dentro un’immagine molto idealizzata e il suo forte senso della giustizia e del rigore che ha saputo trasmettere con gli esempi».
Cosa gli direbbe oggi? «Mio padre ogni tanto mi fa un regalo, mi appare in sogno ogni qualvolta mi sento sola ed in difficoltà. Mi viene incontro, mi accarezza e la mattina mi sveglio confortata in quanto la sua presenza e il suo sorriso mi dicono che lui mi sta sempre vicino. Ecco, gli direi di continuare così».
Che cose le è mancato maggiormente di lui? «Tutto, una mancanza che dura ancora. Mi sento sola. L’ho sempre cercato in coloro che lo hanno avvicinato. I suoi amici sono diventati i miei più cari amici nella speranza che potessero colmare il vuoto che mi ha lasciato attorno».
Ha qualcosa da rimproverargli? «Non è stato abbastanza attento a noi figli che siamo sopravvissuti comunque. Lui non si è reso conto che noi bambini avevamo bisogno di lui, ci ha sopravvalutato convinto che ce la potessimo cavare da soli ma non sempre è stato così».
Cosa vuol dire essere figlia di Giovanni Nonnis? «Vuol dire avere una grossa responsabilità. Ingombrante da vivo, ha molti detrattori da morto anche fra coloro che si sono sempre dichiarati “amici”. Ho dovuto combattere una dura battaglia e ho trovato difficoltà a collocarlo al posto giusto affinché non venisse dimenticato o nella peggiore delle ipotesi cancellato dal novero degli artisti».
per gentile concessione de L’ORTOBENE
Bella presentazione…. Un onore averlo visto di persona…. Mi ricordo di Cecilia….. Vedo spesso Vittorio….