di GIOVANNI RUNCHINA
Londra, Hong Kong e ora Dubai dove lavora per ‘Add Mind’, uno dei più grandi gruppi del settore alberghiero del Medio Oriente: «Sono il general manager di un loro ristorante italiano, gestiscono la compagnia avvalendosi di collaboratori molto giovani che portano idee sempre nuove, la mia squadra è composta da ragazzi veramente in gamba: dopo soli dieci mesi dall’apertura del locale hanno vinto il titolo di Best Team 2017 ai Middle East Hospitality Awards».
Vista dalla gerontocratica Italia, la storia di Michele Pudda ha purtroppo dello straordinario. A 26 anni il ragazzo originario di Guspini vanta un curriculum lavorativo di grande livello che si è costruito emigrando. Il suo volto, le sue parole sono quelle di uno fra le migliaia di talenti che ogni anno lasciano il nostro Paese perché incapace di dare concretezza alle loro aspirazioni. «Sono partito il pomeriggio del 17 marzo del 2012, della mia cerchia di amici circa 20-25 sono all’estero come me e sono sparsi fra Inghilterra, Belgio, Francia, Germania, Spagna e Australia. Più o meno lo stesso numero è rimasto in paese».
Mentre racconta l’espressione del viso si fa dura, le mascelle si serrano e la voce calma diventa un sibilo. «Cosa mi manca della Sardegna? Tutto. Famiglia e amici al primo posto. I nostri prodotti e il territorio, mare e montagne allo stesso livello. Ho sempre impresso il profumo della pioggia nei nostri boschi e nelle campagne e quello della salsedine sulla pelle».
Nel suo caso l’emigrazione è stata una scelta obbligata; subito dopo la maturità scientifica, Michele ha provato invano a inserirsi nel mondo del lavoro. «Ho cercato di crescere nell’agenzia di viaggi di famiglia attiva dal 1956; ho desistito a causa degli alti costi di un’assunzione in regola resi ancora più proibitivi dalla crisi economica del 2008 che aveva fatto crollare gli incassi. Ho provato allora ad accedere ai finanziamenti per avviare una piccola azienda agricola. Tutto era difficile: comprendere i meccanismi dei diversi bandi e persino reperire le informazioni. Mi son scontrato con uno schema di finanziamenti saturo di vincoli e restrizioni, poco amico dei giovani intenzionati ad avviare un’impresa. Dopo vari tentativi ho sentito il bisogno, il desiderio e onestamente anche la necessità di lasciare la realtà in cui vivevo per arricchire la mia esperienza personale e per dimostrare che ero capace di cavarmela da solo».
Londra è stata la prima tappa. «Ho iniziato in uno stand di gelati all’interno di una fiera, ne preparavo anche 500 in un giorno, ricordo bene i dolori ai polsi. Subito dopo ho fatto il lavapiatti in una compagnia di ristoranti sardi nel centro di Londra e li sono cresciuto molto; tuttavia dopo poco più di un anno, mi sono reso conto che avrei migliorato notevolmente il mio livello d’inglese e di esperienza professionale se avessi lavorato in una azienda inglese. Dopo una serie intensa di colloqui e di selezioni sono stato entrato da Gaucho, compagnia di ristoranti argentini, con il ruolo di bartender perché volevo approfondire la conoscenza di distillati, cocktail e vini. Per essere assunto ho fatto un’accademia di nove giorni in cui fanno studiare tutto quello che riguarda la ristorazione. Alla fine ci aspettava un esame di 670 domande, per superarlo bisognava rispondere positivamente almeno all’85% di queste. Io ce l’ho fatta e così sono entrato in un team fantastico, ero il più piccolo, avevo 22 anni. Con me c’erano ragazzi di ogni nazionalità e questo mi portava a migliorare naturalmente il livello linguistico, proprio ciò che desideravo. Ho sgobbato tanto ma ho incontrato un sistema meritocratico che ti premia».
Nel breve volgere di sei mesi i vertici dell’azienda propongono a Michele di andare ad aprire un ristorante a Hong Kong: «Ho accettato nel giro di 36 ore, è stata un’esperienza difficile ed esaltante che mi ha consentito di assumere responsabilità sempre maggiori». Dopo un anno in Estremo Oriente, il ritorno a Londra, sempre a tavoletta sull’acceleratore della carriera. «Stavo nel secondo ristorante più grande della compagnia e uno dei maggiori in città con 360 posti a sedere . Facevamo tra i600 e i 1150 coperti nel servizio della sera. Io ero parte di un grande management team. Ero responsabile di 55 membri dello staff di sala, fra bartenders, receptionists, camerieri e aiuto camerieri. Sovrintendevo anche ad altri aspetti, dalla manutenzione alla sicurezza. In questo periodo ho fatto tanti corsi di formazione offerti dalla compagnia. Ne frattempo mi sono reso conto che probabilmente stavo spingendo troppo sulla carriera, perdendo di vista persone e passioni. Ho deciso di lasciare Londra e mi sono preso tre mesi per stare con la famiglia e gli amici, una pausa che mi ha restituito equilibrio».
Nel mese di settembre del 2016 un altro aereo, stavolta per Dubai, per risponder alla proposta di un amico inglese conosciuto a Hong Kong: «Mi ha chiamato dicendomi che era il project manager del ristorante che ora gestisco e chiedendomi se volessi salire a bordo. Dubai è una città che si sviluppa alla velocità della luce e che punta ad imporsi a livello mondiale in qualunque settore, volevo venirci da tempo. Dopo quattro anni di inverno londinese non nego che anche il clima abbia giocato un ruolo importante, essendo amante del sole. Gli stipendi più alti e l’assenza di tasse hanno completato il quadro. L’unico compromesso sono due mesi e mezzo di estate torrida con temperature fino ai 54 gradi. La mia giornata lavorativa è molto intensa e allo stesso tempo bellissima». Un’esperienza appagante ma totalizzante: «Il settore della ristorazione ti permette di viaggiare in tutto il mondo e che ti tiene sempre a stretto contatto con la gente. Non credo comunque di rimanerci a vita. Può assorbirti e rubarti tanto tempo. Credo che tra non molti anni gestirò un business tutto mio magari internazionale insieme alle mie sorelle, a cui guardo come esempi, e a qualche amico. Di base in Sardegna e probabilmente viaggiando, specialmente qua negli Emirati. Voglio mettere a frutto le mie conoscenze nella mia terra. A chi volesse intraprendere un percorso simile al mio consiglio di armarsi di coraggio e di affrontare il mondo con determinazione e con il sorriso e lavorando sodo».