di BARBARA REGINA
Per festeggiare il primo maggio vi faccio un regalo, vi presento Maria Lai, o meglio ci provo, perchè la grandezza di una fata, di una Janas (fate sarde che tessono con telai d’oro) mica è facile da spiegare.
Diceva: “L’arte non dovrebbe stare nei musei, dovrebbe stare nelle scuole, perchè la tua vita, quando è esposta ad un’opera d’arte, cambia. I bambini possono assimilare senza parole più che se gli si spiega. Non importa se non capisci, cerca di seguire i ritmi, come fai con la musica. Perchè nelle arti figurative non c’è stato insegnato a capire. E allora bisognerebbe andare nei musei così come si va a tavola, per nutrirci. A tavola introduciamo nel corpo sostanze che ci danno energia, che il corpo pian piano metabolizza e rende nostre. Così bisognerebbe fare con l’arte, fin da piccoli.”
Una piccola donna, Maria Lai, minuta, delicata, quasi evanescente ma di una potenza interiore incredibile che ha infranto il muro della scultura nell’arte contemporanea, prima di lei privilegio esclusivamente maschile.
Negli anni ’70 e ’80 era molto richiesta, specie in America, ma lei rifiutava di esporre e di vendere a tutti i costi, perchè le gallerie d’arte le chiedevano di usare uno pseudonimo maschile o di duplicare un quadro molto richiesto. Potete immaginare una donna sarda rinnegare se stessa e il suo nome? Io no. L’identità non si cambia e non si duplica. E quindi regalava, non smetteva di produrre perchè sarebbe stato come mettere un tappo su un vulcano attivo, ma regalava le sue opere.
Oggi nei musei di tutto il mondo ci sono circa 200 opere ma la stima della sua produzione viaggia sulle decine di migliaia. Chissà quanti hanno ricevuto un suo dono per il puro piacere che lei aveva a condividerlo.
Le porte di casa sua erano sempre aperte, suoi ex studenti, amici, vicini di casa: un caffè o un pasto frugale c’era sempre per tutti, perchè lei non camminava su una passerella, come i suoi colleghi artisti contemporanei amavano fare, sentendosi unti dal signore. La sua caratteristica più disarmante, alla luce della sua carriera, era l’umiltà. Aveva lo stesso atteggiamento davanti ai bambini delle scuole che davanti ai più grandi accademici o politici della terra. Eppure il suo papà la definiva “una capretta ansiosa di precipizi”. Potete immaginarla?