di SERGIO PORTAS
Dice l’ISTAT che si diventa lettori di libri quando in famiglia già lo sono i genitori, con le statistiche di quest’anno (dicembre 2017) è confermato il lento declino del “lettore medio italiano”, la crisi ha picchiato forte anche in questo settore. Sopratutto qui visto che è arcinoto che coi libri non si mangia, del resto peggio se la cavano i quotidiani cartacei che perdono copie vendute ogni giorno che passa. Non è solo colpa di Internet, nei paesi europei dove anche i giornali sono in crisi i libri continuano ad essere letti e venduti. Negli Stati Uniti, dove Amazon ha fatto strage di grandi librerie (troppo facile e troppo bello ordinare con un clic e ricevere il libro che ti interessa, a casa la mattina dopo, magari a prezzo scontato) sono in aumento le piccole librerie, quelle che si sono date una identità particolare, condita magari con l’apertura di caffè letterari, lettura di classici al chiaro di luna, riscoperta di autori oramai “fuori catalogo”. In Italia va male, le nostre classi dirigenti non hanno mai veramente mandato giù l’assioma che la cultura rende in senso assoluto, anche in termini monetari. Non per nulla nelle nostre fabbriche il numero di laureati è ridicolmente più basso rispetto ad ogni paese industrializzato che conta, neanche il Portogallo e la bistrattata Grecia sono dietro di noi in questa classifica dei mediocri. Gli è che chi di solito non legge va anche poco al cinema, mai a teatro, mai mette piede in un qualunque museo. Direte che si può benissimo vivere anche senza libri e che la televisione basta e avanza, certo che siano le nazioni più ricche in assoluto, paesi scandinavi sopra tutti dove più si leggono libri e giornali, non può essere solo una coincidenza fortuita. E’ un dato di fatto che certifica in modo esplicito quanto questa nostra nazione pencoli su di un piano inclinato di declino culturale che pare inarrestabile. E i numeri dei cosiddetti “analfabeti di ritorno”, gente che non riesce a capire bene cosa ci sia scritto in una bolletta telefonica o in una comunicazione bancaria, è davvero impressionante. “Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta ma non capisce)”, era il titolo che “La Stampa” del 1° dicembre del 2017 metteva a cappello di un articolo di Mimmo Candito e, continuava lui: “…questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”. Qual è questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci!…”. Viste queste premesse sconfortanti, che a “Tempo di libri” quest’anno a Milano ci siano andati quasi 100.000 visitatori (quasi il doppio che l’anno scorso) è una notizia che consola. Le vendite, che pure sono aumentate, non hanno però seguito il medesimo trend. Anche allo “stand” della Regione Sardegna ( una trentina gli editori sardi che espongono) non sono proprio felici di come sta andando, vero che oggi è venerdì e che è per il fine settimana che si attende il tutto esaurito, però non nascondono che le aspettative erano diverse. Del resto i sardi, sempre è l’ISTAT che lo dice, sono dei buoni lettori, non che per definirsi tali occorra granché in verità, bisogna che nell’anno precedente alla rilevazione statistica si sia letto almeno un libro ( e avere più di sei anni). Senza la Sardegna che fa eccezione avremmo una perfetta sovrapposizione tra povertà e “indice di lettura”, tutto il nord legge e si arricchisce ( si fa per dire), sud e isole non leggono e si impoveriscono. I dati fanno davvero impressione, se a Trento sono 55 su cento che hanno letto almeno un libro in tutto il 2015, e 49 nella “ricca” Lombardia, in Emilia e Sardegna arriviamo a 46 (più della Toscana che si ferma a 44), il sud tracolla: Puglia 27, Campania e Sicilia 26, Calabria 25.
Se non fosse oramai certificato “per tabulas” (leggi nelle sentenze dei tribunali) che la mafia ha oramai esteso la sua azione anche al nord, e in modo significativo proprio in Lombardia, verrebbe da pensare che più un territorio è culturalmente povero, più è esposto al fenomeno criminale. E su questo argomento Pino Arlacchi aveva scritto un prezioso libro giusto una decina d’anni fa: “Perché non c’è la mafia in Sardegna” (AM&D, Cagliari 2007). Verrebbe da dire: “ Perché i sardi leggono”. Ma naturalmente le cose sono più complicate di così e il senso di auto-giustizia che li pervade è frutto della loro storia, della cultura pastorale guidata dal senso dell’onore ( e della vendetta), il sardo che ha sempre considerato la giustizia un fatto personale, da non delegarsi neppure allo Stato, figurati se poteva delegarlo a un qualche gruppo di potere, fosse pure quello mafioso. Di questo “codice barbaricino” ( Il titolo esatto è: “Il codice della vendetta barbaricina”, una edizione del “Il Maestrale” è del 2006) ha detto parole preziose Antonio Pìgliaru, il babbo dell’attuale presidente della Regione. E ad Alberto Piras avrei voluto chiedere se è di origine barbaricina, lui sommelier da “Il Luogo di Aimo e Nadia”, prestigioso ristorante meneghino di due stelle Michelin, miglior sommelier d’Italia ASPI (Associazione della Sommelleria Professionale Italiana) nel 2011 e miglior sommelier dell’anno per i “Ristoranti d’Italia 2016” dell’Espresso. Qui a “Tempo di Libri” è a far da cornice al “Il grande libro della GRAPPA”, Hoepli ed. (grande anche il prezzo: 34 euro) e dovrà sovrintendere alla degustazione di una decina di bottiglie di grappa Nonino che fanno bella mostra di sé sul piano bar allestito per l’evento. Troppo davvero il rischio di uscirne completamente ubriaco, poi in contemporanea e non voglio perdermelo, un altro sardo Fabrizio Cocco ( lui veramente si definisce: “metà sardo e metà veneto, non so bene che cosa questo faccia di me ma lo trovo piuttosto divertente”) editor di Longanesi, è impegnato come giudice al torneo di “Speed date letterario”: i concorrenti avranno 5 minuti per presentare il loro libro davanti agli autori del gruppo Gems; il tutto nasce da un’idea del presidente Stefano Mauri, otto anni fa, un torneo letterario on-line gratuito che loro hanno chiamato “IoScrittore”, i partecipanti diventano allo stesso tempo lettori e scrittori, e sono chiamati a dare un giudizio sulle opere dei loro concorrenti. IoScrittore premia ogni anno le prime dieci opere con la pubblicazione in e-book e i migliori dieci lettori, almeno uno dei dieci finalisti viene pubblicato anche in formato cartaceo da una delle case editrici del Gruppo. Oggi per i neo-autori è davvero l’impresa della vita, solo cinque minuti per convincere editor e scrittori di fama che il loro “libro nel cassetto” ha tutte le qualità per essere dato alle stampe, i sette “giudici” prima che la tenzone abbia inizio e seguendo ognuno la propria storia che li ha catapultati nel regno della letteratura, rivolge agli astanti giovani autori tutta una serie di buone norme da adottarsi, se si vuol avere una purché minima probabilità di finirci in maniera analoga. Fabrizio Cocco, da editor qual è, raccomanda loro di farsi un’idea ben precisa del tipo di libri tratta una singola casa editrice, e di comportarsi conseguentemente nell’inviare i loro scritti nella speranza che vengano presi in considerazione per un’eventuale pubblicazione, insomma non agire alla cieca e se una casa editrice pubblica in prevalenza ricette di cucina evitate di mandarle il vostro sanguinolento noir. “Io ho fatto l’operaio, l’insegnante, il copywriter e il direttore creativo, il comunicatore, il consulente editoriale per Guanda e Longanesi e ora l’editor” (da un’intervista sul web di “Libroguerriero”). Scappo per sentire Bianca Pitzorno che con Loredana Lipperini, Helena Janeczek, Giusi Marchetta e Luigi Spagnol discetteranno sul riconoscimento del valore delle scrittrici nel mondo della critica letteraria. Di Bianca Pitzorno copio pari pari la “Biografia breve” che mette nel suo sito internet, ma ci sono anche la media e la lunga e sono una più bella dell’altra. Bianca Pitzorno, nata a Sassari nel 1942, laurea in Lettere Classiche, master in Cinema e Televisione presso la Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali di Milano. Per sette anni funzionaria presso la RAI di Milano, addetta alla produzione di programmi televisivi culturali e per ragazzi. Collaborazione con la Televisione della Svizzera Italiana. Ha lavorato anche come archeologa, autrice di testi teatrali, sceneggiatrice cinematografica e televisiva, paroliera e insegnante. Breve esperienza di editor presso la casa editrice Sonzogno Bompiani. Dal 1970 al 2011 ha pubblicato circa cinquanta tra saggi e romanzi, per bambini e per adulti, che sono stati tradotti in moltissimi paesi d’Europa, America e Asia. Soltanto nella versione originale italiana i suoi libri hanno superato i due milioni di copie. Ha tradotto Tolkien, Sylvia Plath, David Grossman, Enrique Perez Diaz, Töve Jansson, Soledad Cruz Guerra e Mariela Castro Espìn. Vive a Milano. Non ama viaggiare, ma frequenta assiduamente Cuba e collabora con le istituzioni culturali di quell’isola. Dal 2004 non ha più scritto testi di ‘juvenilia’ e si è dedicata eslusivamente ai libri per adulti. Tra i suoi titoli più noti: La bambina col falcone 1982; Vita di Eleonora d’Arborea, 1984 e 2010; Ascolta il mio cuore, 1991; Tornatras, 2000; La bambinaia francese, 2004; GIUNI RUSSO, da Un’Estate al Mare al Carmelo, 2009. La vita sessuale dei nostri antenati (spiegata a mia cugina Lauretta che vuol credersi nata per partenogenesi) 2015. E’ una vera signora della letteratura italiana, precocissima scrittrice (il suo tema di terza media fu pubblicato dalla “Nuova Sardegna”), ha iniziato a pubblicare nel 1970, figuriamoci se riesce a tollerare che si facciano distinzioni fra scrittori maschi e femmine. Tra parentesi protagoniste delle sue opere sono sempre di sesso femminile. Come non tollera che uno scrittore sia identificato per categorie, me ne accorgo quando mi viene la malaugurata idea di chiederle cosa ne pensa di quella che incautamente definisco la “nouvelle vague letteraria sarda”. Per Bianca Pitzorno, giustamente, definire Calvino uno scrittore ligure sarebbe perlomeno riduttivo, lo stesso vale per i vari Fois, Murgia, Soriga, sardi. I libri di Bianca Pitzorno sono stati tradotti in francese, tedesco, spagnolo, catalano, polacco, ungherese, greco, turco, giapponese, cinese e coreano.