di PAOLO LOSTIA
Il nome Barbagia richiama subito alla mente una terra aspra e selvaggia dove tradizioni antichissime si conservano intatte dalla notte dei tempi. Tra queste, anche le tradizioni legate al Carnevale (su Carrasegare in sardo) che in questo periodo dell’anno tornano ad animare i borghi di questa terra al centro della Sardegna.
Proprio alle maschere, ai costumi e alle credenze più arcaiche legate al Carnevale in Barbagia è stata dedicata la mostra fotografica “Su Carrasegare – Oltre le maschere” al Co.As.It. di Carlton. Una mostra a cura della graphic designer Paola Steri, con fotografie di Luca Pisci, entrambi originari della Sardegna e da un anno e mezzo residenti in Australia, prima a Perth e poi a Melbourne.
Da sempre affascinato e incuriosito dalle tradizioni della sua terra natale, Pisci ci racconta di essere tornato in Sardegna appositamente per portare avanti una ricerca sulle maschere della Barbagia, dove ha intervistato e fotografato gruppi mascherati locali. Coperte di pelli e cariche di ossi e campanacci minacciosi, le maschere sono molto diverse da quelle che, nel resto d’Italia, di solito associamo al Carnevale e ci trasportano immediatamente in un passato arcaico.
La ricerca di Luca Pisci è stata ulteriormente approfondita grazie alla collaborazione con Salvatore Dedola, un linguista che, studiando l’etimologia dei termini sardi legati al Carnevale è riuscito a risalire alla vera origine delle maschere, legate a riti antichi risalenti all’epoca pre-cristiana.
A partire dalla stessa parola ‘Carrasegare’, derivante dall’accadico ‘qarnu(m)’, potere, e ‘sehu’, rivoltarsi, distruggere, dissacrare, col significato quindi di ‘dissacrazione del potere’.
Niente a che vedere quindi con l’origine latina ‘carnem levare’ (eliminare la carne), che spesso si attribuisce al termine ‘Carnevale’ con riferimento al periodo che precede il digiuno quaresimale. Infatti, come spiega Pisci, il Carnevale esisteva da molto prima che fosse adattato dalla Chiesa come concessione prima del periodo di penitenza. I suoi riti sono legati all’antichissimo mito dell’eterno ritorno, coniugato in modi simili in tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente, dal mito di Adone della Siria, a quello di Dioniso in Grecia, fino a quello di Mascazzu in Sardegna e di Arlecchino in Italia. Un mito basato sul ciclo naturale di morte e rinascita e sull’idea che serve il Caos per tornare all’ordine (il Cosmos).
Come successo con altre ricorrenze e tradizioni pagane, poi, anche il Carnevale è stato riadattato con l’avvento del cristianesimo. Non riuscendo a cancellare questi riti, incredibilmente legati a superstizioni popolari e intrinsechi alla stessa civiltà contadina, la Chiesa iniziò a demonizzarli o a modificarli in proprio favore.
Fu così, ad esempio, che le maschere dei Mamuthones, che tradizionalmente effettuavano danze intorno al fuoco, come ‘danze della pioggia’ per invocare gli dei, vennero collegate alla tradizione cristiana di Sant’Antonio, sceso negli inferi per riportare il fuoco agli umani.
Su Maimone è un’altra maschera legata al culto dell’acqua, come capisce dall’etimologia del nome stesso che deriva da “maim”, acqua in ebraico antico. Ancora oggi, Su Maimone è presente al Carnevale di Oniferi, rappresentato come un fantoccio trasportato su un asino con corna caprine e il viso coperto con una pala di fico d’India, una pianta che è un importante serbatoio d’acqua.
Legata all’acqua anche la tradizione di sa Sartiglia, un palio che si svolge ogni anno a Oristano nell’ultima domenica di Carnevale, durante il quale la maschera di Su Componidori, rappresentante un dio in terra, viene trasportato in giro senza poter appoggiare i piedi a terra e benedicendo la folla con la “Pippìa deMaju”. È l’etimologia di quest’ultima (“Apertura delle sorgenti celesti a opera dello sciamano”) che ci conferma ulteriormente il collegamento tra il culto dell’acqua e il Carnevale.
Oltre dei vecchi riti, la Chiesa si riappropriava anche delle parole stesse. Attraverso i monaci, gli unici a detenere la lingua latina, sconosciuta al popolo, la Chiesa poteva modificare, ad esempio, il significato dei nomi degli dei pagani, associandoli a termini volgari affinché non venissero più nominati. È l’esempio di “cazzu”, uno dei nomi sardi di Dio.
Ma, nonostante i secoli di distanza abbiano spesso offuscato lo spirito originale dietro al ‘Carrasegare’, ancora una volta sono le etimologie delle parole a ricordarcelo. Come la stessa parola “maschera”, di origine sumerica, composta da “mas” (puro), “ka” (parola) e “ra” (indirizzare), ovvero “indirizzare parole pure o schiette”. Chi indossa una maschera, quindi, non nasconde la verità; anzi, è quello più pronto a dirla. Ed è quello che si fa a Carnevale: si indossano maschere per spogliarsi di quelle quotidiane, si fanno scherzi per essere seri, si sovverte l’ordine per ritornare all’ordine.
L’inaugurazione della mostra “Su Carrasegare – Oltre le maschere”, con il supporto di Co.As.It., Sardinian Cultural Association of Melbourne, Regione Autonoma della Sardegna
e Progetto artistico Sa Sartiglia, s è tenuta il 20 febbraio alle ore 18.30 presso il Co.As.It., 189 Faraday Street, Carlton. E’ terminata il 16 marzo.
Grazie per l’articolo