ARIANNA PINTUS, LA JANA DEL BISSO

Arianna Pintus nella foto di Roberto Rossi

di Claudio Moica

Un borgo antico restaurato quello esistente nel comune di Tratalias (SU) che ospita delle botteghe artigianali e tra queste una giovane tessitrice tutti i giorni apre le porte ai visitatori. Si chiama Arianna Pintus ma per molti è Arjanas e come le fate custodisce i segreti del suo lavoro, preservando la tradizione con un occhio attento all’innovazione. Il tragitto che dalla cattedrale romanica, dedicata a Santa Maria di Monserrato, porta al suo laboratorio è breve e se si percorre in silenzio si sente cantare il telaio dove tutti i giorni Arianna tesse, un rito ripetuto nei secoli da tutte quelle donne venute prima di lei. Entrando nella stanza sembra di ritornare indietro nel tempo e chiudendo gli occhi si sentono i profumi del passato custoditi preziosamente da Arianna.

Il tuo non è il classico lavoro a cui i giovani per consuetudine aspirano. Quando hai sentito la chiamata per questo tipo di arte? Ho riscoperto la tessitura intorno ai diciotto anni grazie ai libri sulla Sardegna che leggevo in biblioteca. È stata una riscoperta perché fin da bambina amavo ascoltare le storie provenienti dal passato, quindi sapevo cosa fossero un telaio e un fuso, ma c’è stato un momento in cui, approfondendo l’argomento, ho capito che non erano soltanto degli strumenti di lavoro: avevano un significato e un ruolo molto più importanti. Così mi sono innamorata della tessitura, dei suoi simbolismi, anche se non avrei mai immaginato che potesse diventare una parte fondamentale della mia vita.

Nel Sulcis c’è un’antica tradizione legata al lavoro di tessitura, ricordiamo Italo Diana che agli inizi del secolo scorso costituì una scuola a Sant’Antioco da cui sono poi uscite grandi tessitrici sarde. Tu con che filamenti hai iniziato a tessere e quanto dedichi alla ricerca per l’innovazione? Inizialmente, durante le mie ricerche sulla tessitura, mi sono concentrata soprattutto sui paesi di provenienza dei miei nonni e bisnonni. Mio nonno paterno e la sua famiglia sono originari di Sant’Antioco ed è anche per questo motivo che ho voluto apprendere la lavorazione del bisso. A partire dal 2007 ho imparato quindi a lavorarlo e a tesserlo e qualche anno più tardi mi sono interessata alla lavorazione del lino, alla sua storia: avevo la necessità di tessere un filato che fosse “vivo”, non creato industrialmente. Il lino si coltivava in abbondanza nel Sarrabus, regione di provenienza di mia nonna materna. Dopo vari anni di studi, ricerche e prove, nel 2012 ho cominciato a piantarlo e a tesserlo insieme alla lana sarda, che tingo con le piante seguendo i cicli stagionali.

Il tuo laboratorio è nell’antico Borgo di Tratalias dove si respira l’aria della storia. Quanto è importante per la tua arte il luogo dove tessere e quanto influisce sulla tua fantasia artistica? È indubbiamente importante. Amo i ritmi lenti, il contatto con la natura, e non sopporterei di stare a lungo in un luogo che non offra questi elementi. Il borgo è frequentato soprattutto da persone che sono alla ricerca di luoghi inconsueti e per questo si spingono oltre i classici itinerari turistici. Solitamente si fermano a lungo in mia compagnia e cercano di capire, fanno tante domande. È anche capitato che incontrassi delle nonnine e che queste condividessero con me dei ricordi della loro giovinezza, di quando filavano e tessevano. Ne ricordo una in particolare: mentre parlavamo si è illuminata ed è andata a sedersi al telaio per mostrarmi che sapeva ancora tessere. Questi incontri sono doni preziosi che mi ispirano profondamente e nutrono la mia fantasia.

Parliamo della seta del mare: il Bisso. Tu sei tra le poche che ancora lo utilizzano anche perché ci vuole molta maestria per poterlo lavorare. Ci spieghi la magia di questo filamento e perché è considerato più pregiato di altri? Sicuramente la sua natura “acquatica” ha contribuito ad accrescere la suggestione e l’aura di mistero che accompagna il bisso. Ogni mollusco poi ne produce una quantità esigua e questo lo rende una fibra rara, senza considerare che ormai nei nostri mari è vietata persino la perturbazione dell’animale, figuriamoci la raccolta del suo bioccolo. Se parliamo della lavorazione, occorre infinita pazienza per lavare, dissalare e schiarire questa preziosa fibra secondo i giusti tempi, fino a ottenere le tonalità più chiare e vicine all’oro. Ripulire accuratamente i bioccoli evitando di spezzarne i filamenti. La filatura è una fase altrettanto delicata, perché occorre una spiccata sensibilità tattile per realizzare i filati più sottili e regolari. Con queste premesse è semplice intuire perché il bisso sia stato considerato tanto prezioso fin dai tempi più antichi. Nel mio caso la situazione si complica perché per le opere che tesso non utilizzo il bisso di Pinna nobilis, che appunto è protetta dal 1992 perché ritenuta in via d’estinzione, ma di Atrina pectinata. Ho svolto una lunga ricerca per riuscire a reperirne una piccola quantità oltreoceano, dove il mollusco che lo produce viene pescato e venduto. In questo modo posso tenere viva questa tradizione e al contempo non violare la legge.

Generalmente nei vari lavori di tessitura si vedono sempre disegni legati al territorio o alla religione cattolica. Nelle tue ricerche ti capita di trovare qualcosa che ancora non è stato fatto e si può coniugare l’antico con il moderno?  Le mie creazioni sono dei racconti intessuti di fili e parole. Narrano storie legate al mio mondo interiore, alla vita, alla natura, alle donne e alle janas. Oltre ad andare in cerca di antichi tessuti sardi che rechino nelle loro trame i simbolismi dei temi a me più cari, creo nuove composizioni utilizzando sia le tecniche tradizionali che quelle moderne. Ogni creazione è accompagnata da un racconto, da una poesia o da una riflessione.

In un periodo di crisi economica mondiale e con l’aumento degli indigenti il tuo settore riesce ancora a sopravvivere oppure esistono delle difficoltà? In pratica è possibile vivere dalla tua arte? Le difficoltà sono tante, soprattutto per chi con il proprio lavoro deve pagare anche le tasse, perché ha scelto di lavorare con partita iva. Hai detto bene: si parla di sopravvivenza e non certo di prosperità. Ovviamente mi impegno in modo costante per far sì che le cose possano andare meglio in futuro.

Ci sono giovani che si avvicinano alla tua arte per poterla apprendere e magari ti chiedono delle lezioni? Certamente, e non solo giovani. Dal momento che il mio laboratorio è aperto al pubblico ho modo di far avvicinare le persone a questi saperi in modo spontaneo e diretto. Ho sempre dei fusi e della lana che attendono di essere provati. Qualcuno si appassiona e poi torna, oppure mi contatta, perché vuole sapere qual è il passaggio successivo. Periodicamente organizzo dei laboratori didattici per giovani e meno giovani: è importante seminare la curiosità e l’amore per il saper fare… se questo avviene durante l’infanzia è meglio, ma non è mai troppo tardi per apprendere.

Nel tuo laboratorio esponi i tuoi lavori. Chi fosse interessato come può acquistarli? Può visitare il mio negozio onlinewww.arjanas.com oppure contattarmi per una creazione personalizzata. Venendo a trovarmi in laboratorio sarà inoltre possibile capire come creo i miei tessuti e vederli nascere sul mio telaio dell’800.

Quali sono i tuoi progetti futuri e che cosa ancora non è stato detto di te? Prossimamente prenderò parte al progetto “Andando via”, di Giuditta Sireus, che coinvolgerà numerose tessitrici sarde per rendere omaggio a Grazia Deledda e Maria Lai; sarò ospite del Museo Sanna di Sassari per la consegna dell’opera tessuta in lino e bisso, “L’albero della vita e delle madri”; continuerà la collaborazione con l’artista Nanako Hiraki, appassionata della tradizione tessile sarda, che da diversi anni organizza delle mostre itineranti in Giappone per far conoscere le ricchezze culturali della nostra terra; infine, durante la primavera terrò dei laboratori di tintura e di tessitura a contatto con la natura. Chi volesse partecipare può contattarmi attraverso la pagina Facebook “ArJanas”

Ogni incontro nella vita è sempre unico. Lascia una tua frase che magari ti ripeti tutti i giorni.  Mi è molto cara una frase di Pasolini: “T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece”.

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