di Vito Biolchini
Sardegna, è la fine di un’epoca. Le elezioni di ieri hanno spazzato via non una ma ben quattro classi dirigenti. La prima è quella dei Silvio Lai, dei Luciano Uras, dei Bruno Murgia, dei Francesco Sanna, dei Giorgio Oppi, dei Gianfranco Ganau (e vorrei aggiungere anche dei Paolo Fadda, degli Antonello Arru, dei Pietrino Soddu, dei Massimo Zedda, anche se non erano candidati) e con loro tutti quelli che (a destra e a sinistra, ma soprattutto a sinistra) avevano speculato sulle macerie dei partiti della prima repubblica, infilandosi nelle crepe di un maggioritario malato. Con il voto di ieri i sardi sono stati chiari: “basta”.
Ma le elezioni politiche in Sardegna hanno decretato anche la fine della classe dirigente impostasi grazie alla rivoluzione berlusconiana degli anni 90. Emilio Floris, Pietro Pittalis e Ugo Cappellacci si salvano solo grazie al paracadute del proporzionale, perché nella sfida nei collegi sarebbero stati sicuramente travolti (e Cappellacci in effetti lo è stato). Travolto anche l’astro nascente Giuseppe Fasolino, battuto al fotofinish nel collegio uninominale della Gallura (e in questo modo il centrodestra perde un potenziale candidato alle regionali).
Viene spazzata via anche quel poco di classe dirigente (molto modesta in realtà, sia nella quantità che nella qualità) che Renato Soru, trionfatore alle regionali del 2004, aveva imposto in questi anni. Che grande occasione sprecata, che stagione politica gettata al vento! In tre lustri di impegno nelle istituzioni, Soru ha dissipato un gigantesco patrimonio di idee, entusiasmo, competenze, accumulato nei vent’anni precedenti alla sua elezione. Game over.
Poi ci sono gli indipendentisti. Com’era facile prevedere, i voti raccolti alle regionali di quattro anni fa dallo schieramento di Michela Murgia si sono dissolti e al Progetto Autodeterminatzione resta un modestissimo due e mezzo per cento, con imbarazzanti punte dell’uno e mezzo in alcuni collegi uninominali. Sarà difficile ora urlare, com’è stato fatto in chiusura di campagna elettorale “Vinceremo le regionali”. In realtà, l’esiguità del risultato è frutto di una strategia perdente delineata dal leader dei Rossomori Gesuino Muledda, che appena un anno fa, un una intervista a Sardinia Post, prefigurava per il suo nuovo schieramento addirittura il 25 per cento…
La verità è che da queste elezioni esce sconfitta anche la vecchia classe dirigente indipendentista/sovranista, quella dei Muledda appunto, dei Bustianu Cumpostu e dei Gavino Sale. Progetto Autodeterminatzione si presenterà alle regionali, ma con queste cifre, ad appena dieci mesi dalla presentazione delle liste, può ambire solo ad un ruolo da comprimario: come sempre è stato.
Perché in Sardegna vincono solo i Cinque Stelle. Un successo furioso, impetuoso, fuori quasi da ogni logica il loro, ma in realtà abbastanza prevedibile. Con le candidature ai collegi uninominali i Cinque Stelle hanno mostrato di sapersi aprire alla società sarda. Ora, in vista delle elezioni regionali, quel percorso deve continuare. Perché se non verrà incanalato in un ragionamento coraggioso e nuovo, inclusivo e non settario, capace di affrontare i nodi della questione sarda, quel 40 per cento rischia di schiacciarli.
La partita è aperta. Il vecchio è definitivamente tramontato, il futuro è tutto da scrivere.
Post scriptum
Poi c’è Francesco Pigliaru. Così come non aveva capito poco più di un anno fa che abbracciare la battaglia referendaria di Renzi sarebbe stato esiziale, non ha capito pochi mesi fa che mettere sul tavolo di queste elezioni politiche quattro anni di governo regionale sarebbe stato rischiosissimo. Questi risultati travolgono anche lui, la sua giunta e la sua maggioranza. A questo punto le dimissioni sono più che doverose: una giunta così delegittimata, con il Pd al 15 per cento, non può governare per un altro anno.
Non può.