di Elisabetta Frau
Viaggiando a ritroso nel tempo, a cavallo tra storia e leggenda, ci sono percorsi che conducono lontano, che raccontano di gesta, di vita, di quotidiano ripetere atti e cadenze.
Il viaggio nel tempo ha sapore d’antico, magia d’eterno, immortalità dell’anima, quella che non muore, ma impara, risalendo attraverso la vita e insegnando ad amare la vita a chi la abita, a chi la sfida e sa che solo il rispetto profondo per lei può condurre lontano.
Il viaggio può essere per placidi o burrascosi mari, per terre sconfinate, attraverso la storia, quella raccontata dalle parole, dagli oggetti.
Si, perché loro, anche se all’apparenza inanimati, parlano e risplendono sempre di luce propria che deriva dall’essere creature nate da mani capaci.
Gli oggetti, chi ama e studia il passato lo sa bene, sono muti testimoni, bisogna lasciarli raccontare e avere il desiderio di ascoltarne i sussurri.
Il passaggio dell’uomo è come un battito di ciglia, dicono i saggi, le sue orme impresse sulla terra saranno cancellate dal tempo incurante che scorre e porta via per lasciare lo spazio a chi arriva, spinto dal nuovo che avanza, felice se dell’antico ha fatto tesoro.
Solo così la storia di chi é stato avrà speranza di divenire indelebile e potente, se troverà negli uomini la passione per la conoscenza, unico vero antidoto all’oblio della vita mortale.
Nel mio viaggio, a ritroso nel tempo, c’é una città, Senorbì, incastonata tra le fertili piane della Trexenta, terra di messi e di grano finissimo, ricchezza delle genti che da millenni abitano questi luoghi.
Ne avevano compreso bene la fortuna gli antichi indigeni e i coloni che qui arrivarono dal mare incrociando indissolubilmente il loro destino con quello dei locali che, come tanti conterranei dell’isola, dal mare hanno sempre tratto beneficio.
Il connubio fu importante, tanto da incidere profondamente sugli esiti della nostra storia.
Qui dopo aver saggiato l’accessibilità delle coste e la purezza delle genti, i Cartaginesi iniziarono il loro lento ma inesorabile penetrare, sino a spingersi in un luogo felice, a cavallo tra due rotonde sommità, Santu Teru e Monte Luna, in cui innalzarono dimore per i vivi e per chi la vita l’avrebbe avuta eterna.
Le colline, unite da una strada di collegamento, godevano della vicinanza del fiume, ai tempi, ricco di acqua preziosa.
In questi luoghi, immersi nella pace di una campagna che, a seconda della stagione, vira dal giallo dorato al verde screziato e lussureggiante, puoi chiudere gli occhi e sentire, se raccogli te stesso, la voce del tempo che narra.
Parla di carri su strade polverose, di grida, di voci chiassose e concitate degli uomini nei campi, di urla di bimbi in festa, di pianti e lamenti di chi accompagnava il proprio caro nell’ultimo viaggio.
Rimane di loro il passaggio, uomini e donne senza nome, né volto, scolpito negli oggetti, muti custodi della loro esistenza, entro ipogei scavati sulla chiara marna calcarea che affiora prepotente tra ciuffi di erba sfacciata.
Un tempo, certo, erano i cippi a segnare le dimore nascoste da coltri di terra, piccole stanze talvolta con nicchie aperte su corridoi lunghi e stretti.
Il buio compagno dei corpi privati del soffio mortale, e intorno a loro vasi, lucerne, monete, gioielli, corredo simbolo dell’esistenza compiuta, viatico per quella futura, ritenuta eterna.
Saranno state ricche, importanti, laboriose, comunque in cammino, le genti che qui riposano?
Saranno andate nella luce agognando un’esistenza migliore, o grate per il percorso fatto?
Avranno officiato rituali importanti, devote a dei con poteri assoluti?
Avranno scavato tombe, innalzato mura e lastricato strade di cui ben poco rimane nella collina che affronta Monte Luna.
Residuano frustuli di case che si abbarbicano lungo il pendio: più sontuose nella sommità, più semplici e modeste, via via che si percorre il crinale verso il basso.
Avranno avuto sorte propizia questi uomini?
Opposto resistenza a chi dall’Urbe venne a imporre dominio, per strappare i campi ubertosi di grano dorato e arricchire le casse della città eterna?
Domande con mute risposte le mie, viandante del tempo.
Posso solo osservare quegli oggetti che narrano del loro passaggio e ipotizzarne tenore, sensibilità, cultura.
Attraverso essi provo a raccontare porzioni di storia, divenendo a mia volta, per chi vorrà ascoltare, rapsode di vita passata.
Lo scrigno di questi tesori pulsa nel cuore della moderna città. I discendenti di quegli uomini hanno voluto esporne la bellezza per fermare i ricordi e non dimenticare chi furono e chi siamo.
Dopo vicende alterne lo scrigno finalmente riapre, inglobando al suo interno il vecchio e il nuovo come in un abbraccio continuo, in cui il presente si sostanzia perché risultato di un passato glorioso che da speranza.
Elisabetta Frau – Responsabile Scientifico MADN – Museo Archeologico Domu Nosta (Senorbì – CA)
Il 24 febbraio 2018 ha riaperto al pubblico il Museo Archeologico Domu Nosta, MADN.
La struttura rinnovata e ampliata oggi con un edificio di moderna concezione, venne inaugurata nel 1991, per l’esigenza di dare giusta collocazione ai preziosi corredi tombali rinvenuti durante le campagne di scavo condotte tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta, presso l’antico sito cartaginese di Santu Teru/Monte Luna, abitato sin da epoca neolitica dalle genti locali.
Il complesso museale, di proprietà comunale, è sempre stato gestito dalla Società Cooperativa Sa Domu Nosta, responsabile anche della cura del Parco archeologico di Monte Luna.
La conversione a Museo dell’antica casa campidanese, già residenza del Notaio Arturo Carmelita, fortemente voluta da colui che, oltre a dare l’impulso alle fortunate campagne di scavo, fu anche primo Conservatore dell’edificio museale: Antonio Maria Costa.
Durante gli anni si avvicendarono nella Direzione scientifica della struttura, il Dottor Antonio Dessì e la Dottoressa Emanuela Solinas. Dal 2013 l’incarico di responsabile tecnico-scientifico è affidato alla Dottoressa Elisabetta Frau.
La cerimonia di inaugurazione, svoltasi con grande affluenza di pubblico, ha potuto godere della fattiva collaborazione della Soprintendenza Archeologia della Sardegna e della partecipazione del Direttore del Museo Nazionale di Cagliari.
Attualmente il percorso espositivo comprende cinque sale permanenti e due temporanee.
La preminenza è data ai corredi rinvenuti a Monte Luna, sezione anticipata da un percorso introduttivo sulla storia del territorio, tra il Neolitico recente e l’età Medievale.
Si segnala la sala romana con la pregevole iscrizione di M. Arrrecinus Aelius e quella ultima, dedicata ad illustrare il tragitto compiuto dall’idolo di Dea Madre Turriga, icona tra le più note e significative del nostro panorama preistorico sardo, rinvenuta appunto in territorio di Trexenta.
A completamento del viaggio culturale proposto dal MADN, una sezione demoetnoantropologica in cui è allestita la tipica cucina di stampo campidanese con arredi originali, frutto di donazioni di privati.
Il MADN vi aspetta tutti i giorni, tranne il lunedì, la mattina dalle 9.00 alle 13.00, il pomeriggio dalle 16.00 alle 19.00.
Il Parco Archeologico di Monte Luna segue gli stessi orari. Entrambe le realtà sono visitabili con il servizio di guida altamente qualificata.
Complimenti a Elisabetta e al gruppo di lavoro “Sa Domu Nosta”.