di Dario Dessì
Improvvisamente, dopo una giornata intensa d’attacchi e contrattacchi, un silenzio quasi innaturale ed incredibile era subentrata al fragore delle esplosioni, al crepitare continuo delle mitragliatrici e alle grida furibonde che avevano accompagnato per un giorno intero gli scontri tremendi tra i partecipanti a quella zuffa accanita in quel indimenticabile giorno di giugno del 1918.
Quasi sicuramente il comandante del battaglione aveva già inviato al comando del reggimento il seguente laconico messaggio: ‘Calma sul nostro fronte’.
Nell’ oscurità più profonda il silenzio, interrotto solo a tratti da qualche lontano borbottio di cannone, dai flebili lamenti ed invocazioni di qualche ferito e dal respiro ansimante dei moribondi, è quasi a dir poco surreale.
Non mi pare di aver tempo e neppur voglia di riflettere sulle vicende della battaglia e sulle tremende esperienze nel corso della giornata appena trascorsa.
La stanchezza mi assale lentamente ed istintivamente cerco di accovacciarmi in una posizione comoda enascosta tra alcune piante di granturco.
Basta poco perché i miei occhi si chiudano, mentre un senso di benefico torpore invade tutto il mio essere.
Improvvisamente mi risveglio quando tutt’attorno è ancora buio.
Si ode ancora qualche gemito, qualche sommessa invocazione, ma su tutto questo predomina un gracidio. E’ ilrichiamo di qualche rana in amore.
Il profumo acuto dei tigli, proveniente dal parco di qualche non lontana villa di campagna, sembra aver il dominio sull’acre e sgradevole odore ‘de sa bruvura’: della polvere da sparo.
Indugio nel dormiveglia ma il coro insistente delle rane in amore mi riporta improvvisamente indietro nel passato e mi fa pensare a ‘Sa mitza e su ferru’ una fonte d’acqua ferruginosa che si trova nelle nostre campagne in un paese della Sardegna meridionale, dove è nata mia madre. Presso quella sorgente andavo spesso a dissetarmi, quando da ragazzo interrompevo i lavori agricoli per concedermi una breve sosta o per improvvisare uno spuntino all’ombra di qualche albero ‘de pirastu’ di pere selvatiche.
Bastano pochi attimi di questi ricordi e subito sento di aver sete e contemporaneamente mi viene da pensare alla deliziosa sensazione di una buona sorsata d’acqua fresca nella mia gola riarsa.
Inizio a procedere carponi, attento a non far rumore, in direzione delle rane che hanno ripreso a gracidare in coro approfittando, forse, della tregua d’armi e noncuranti di tutto il disordine attorno.
Il corso della natura prevale, a quanto pare, sulle follie degli esseri umani. L’oscurità è completa: in cielo nessun riverbero e nessuna luce di stelle, in terra nessun luccichio di lucciole.
Ma, attenzione! Riesco a distinguere un ombra in movimento davanti a me; qualcuno, anche lui carponi, che mi precede.
Qualcuno che intravedo mentre è intento a bere rumorosamente direttamente dal pelo dell’acqua di un fossato con la bocca, a guisa di pompa aspirante.
Per fortuna non ha intenzioni ostili nei miei confronti anche perché è un compagno d’armi. Dopo aver a mia volta soddisfatto la sete, mi riaccuccio in una posizione non lontana dal fosso e mi riaddormento, questa volta, confortato dalla vicina presenza del commilitone.
Ma ecco che, alle prime luci del giorno, il rombo di un motore richiama entrambi alla realtà della guerra. Deve trattarsi, quasi sicuramente, di un ricognitore italiano intento a fotografare i campi della battaglia per informare i comandi sui risultati dei combattimenti del giorno precedente e su gli eventuali nuovi spiegamenti delle forze nemiche:
‘ The show must go on’.
La guerra deve continuare e noi dobbiamo raggiungere al più presto i nostri reparti. Ma, appena in piedi, si presenta ai nostri occhi una visione terribile. Non possiamo fare a meno di notare inorriditi il colore vermiglio dell’acqua che poche ore prima aveva spento, la nostra sete, mentre qua e là, in posizioni scombinate sugli argini o galleggianti in modo goffo e scomposto dentro il fosso,nella leggera foschia mattutina, s’intravedono, sagome esangui e mutilate avvolte ancora nei panni a brandelli delle loro uniformi in grigioverde o in feldgrau.