di Federica Cabras
Mirella Manca, scrittrice ilbonese ormai a Milano da una decina d’anni, con il suo “Oltre al vento, solo silenzio” (Sa Babbaiola Edizioni, 2017) ci offre uno spaccato della nostra Ogliastra – nello specifico di Ilbono, suo paese natio – negli anni ’60. Una storia autobiografica, la sua, che odora di dolore, di lutto, di miseria. Sono anni difficili e bisogna tirare avanti con grande coraggio e non senza un po’ di sconforto. Soprattutto quando il destino, avverso e maligno, si abbatte senza pietà. Mirella Manca regala ai lettori un episodio luttuoso della sua famiglia permettendo, nel frattempo, un tuffo in quegli anni, lontani ma nello stesso tempo vicini.
Il suo “Oltre al vento, solo silenzio” è una storia vera. Quando è nata la voglia di mettere nero su bianco un fatto reale? A ben pensare, questo mio desiderio è stato per parecchio tempo latente. Forse accantonato per il semplice fatto che questa storia così dolorosa mi veniva spesso raccontata con dei particolari intensamente commoventi tanto da portarmi a farla mia per sempre. Lo stimolo potente che mi ha portata a scriverla è stata senz’altro il distacco dalla mia terra e dal mio ambiente. Vedendo intorno a me un ventaglio enorme di vite diverse, nella Milano moderna, così diversa dall’ambiente in cui avevo vissuto fino al 2003, mi è venuto spontaneo scrivere la storia per far conoscere, in primis ai miei figli ma – perché no – anche a un eventuale pubblico, quanto fosse differente il modo di essere e di affrontare le situazioni della vita, nei primi anni sessanta, rispetto a oggi.
È stato difficile parlare di un argomento così doloroso e così caro alla sua famiglia? Difficile non direi, piuttosto delicato. Serve un attimo di prudenza nell’esporre i personaggi, che sono appunto persone reali a cui sono legata affettivamente e in effetti ho cercato di scrivere l’essenziale a far percepire al lettore il clima e l’humus in cui mio zio era cresciuto e da cui si è staccato per andare nel Lazio.
Sua madre Palmina, fulcro della storia, è stata presente alle presentazioni del suo libro. Come la fa sentire, questo? È una bella dimostrazione di supporto, no? Come mi fa sentire? Direi che avere al mio fianco mia madre Palmina, ormai novantaduenne, che ancora mi sostiene è un dono prezioso che la vita ha donato a entrambe. Saperla attivamente partecipe è stata la conferma che quando si è madre, lo si è anche con una figlia della mia età. Quindi per sempre.
Ha qualche altro lavoro nel cassetto? Qualche anticipazione? Confermo il detto: “Una ciliegia tira l’altra”. Ho in mano un racconto già terminato, che ancora coccolo dentro di me, facendo sì che sia solo mio, ma ogni tanto bussa e mi chiede: «Perché non mi pubblichi?» E ce n’è anche un altro che è in fase riscrittura.
Il dolore per la perdita di un fratello. L’emigrazione, causa lavoro. Un passato che odora di fame, di privazioni, di miseria. Tutti temi caldi. Cosa provava mentre scriveva di tutto questo? E, quando lo rilegge, cosa prova tuttora? Direi che il dolore è il fulcro del racconto, appunto perché era di ciò cui intendevo parlare, sperando che scemassero un poco le sensazioni provate ogni volta che mia madre me ne parlava. Ma devo ammettere che nulla è cambiato, perché immedesimarmi in mia madre, mia nonna e mio nonno, è stato come fare mio quel dolore che in fondo io avevo vissuto indirettamente.
È stato difficile parlare di un periodo precedente alla sua nascita? Ci può dire come ha reperito le fonti? La fonte in verità è sempre stata solo una. Mia madre. Io ho dovuto solo romanzare una scottante verità calandomi in un tempo che parzialmente avevo comunque conosciuto di persona – a parte il periodo dei miei bisnonni –. Venendo da un’epoca e una tradizione in cui le storie ci vengono tramandate nei “contos de foxili” ho provato a farlo in un fruibile italiano.
In quanto tempo il manoscritto ha visto la luce? Essendo un romanzo breve non mi è servito tanto tempo per scriverlo. Piuttosto, cadendo spesso nella trappola di un sardo italianizzato, ho dovuto riscriverlo evitando di pensare in sardo mentre lo facevo. Un bel po’ ci è voluto a pubblicarlo, sia per timidezza nell’esporsi, sia per prendere coscienza sull’editoria e le sue complicate procedure, con cui vieni solleticata a pubblicare.
Quale emozione ha provato quando ha visto la sua opera stampata, pronta a spiccare il volo? Emozione? Sì. Ma anche una sorta di estraniazione, quasi non fosse mio quel libro che era venuto alla luce, come se per prendere coscienza io debba prima distaccarmi dalle cose.
Come sta andando? Ci può parlare dei primi riscontri dei lettori? Questa sì, è stata una cosa sorprendente e quasi commovente. Ho fatto due presentazioni, una al caffè Letterario di Margherita Musella e una presso il Centro di Aggregazione del Comune di Ilbono, mio paese natio, ed è stata una vera emozione, sia la presentazione vera e propria, con ottimi relatori, sia il pubblico che incuriosito ha sfidato il brutto tempo e mi è stato vicino con mia grande gratificazione. Anzi… approfitto ancora di questo spazio per ringraziare tutti.
Se potesse riportare in vita un autore del passato per accompagnarlo in giro per Ilbono e per parlargli della sua opera, chi sceglierebbe? Mah! Non saprei. Se proprio devo citarne uno, sarebbe Hemingway per farli conoscere gli angoli suggestivi del nostro territorio di silenzi e di profumi e per dialogare con lui della nostra vita frugale, così lontana dal lusso, ma così umanamente grande.
La troviamo sui Social Network? Oggigiorno chi non fruisce del mondo virtuale? Ci si adegua perché sono ottimi canali di comunicazione. Chi ci tiene mi trova alla mia pagina Facebook, Manca Maria Mirella o sul blog della casa editrice “Sa Babbaiola”, che ha pubblicato il mio libro.
La domanda che non ho fatto è…? La domanda che non mi ha fatto è: A chi un grazie per la realizzazione del libro? E io rispondo: Ringrazio mia madre, sempre lucida nel suo dire. Ringrazio chi mi ha incoraggiata a credere nella bellezza dello scrivere e spronata a pubblicare e ancora ringrazio l’editore Vincenzo Maria d’Ascanio, chi in seguito ha creduto in me e chi ancora ci crede, perché, in fondo in fondo, siamo nessuno proprio quando nessuno ci ascolta. Grazie mille Federica Cabras per questa sua bella intervista.