di Carlo Passera
Non si arriva per caso a San Vero Milis, paesino appartato di 2.500 anime nel Campidano di Oristano, a ridosso della catena del Montiferru, venti minuti dal mare e da Cabras. Wikipedia ci informa che è “rinomato per la produzione artigianale dei canestri in giunco, per quella della vernaccia e per la coltivazione dei mandarini; è conosciuto dagli amanti degli animali per la colonia di gatti di Su Pallosu, per proteggere i quali si è adoperato l’allora presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano”. Noi ignoravamo tutto ciò, e avremmo continuato su questa strada se non ci fosse arrivato un brillante consiglio da parte di Piero Pio Pitzalis e Domenico Sanna, che ringraziamo: «Lì ha aperto da poco un ristorante che devi provare».
Si chiama Somu (s’omu, con l’apostrofo, in sardo significa “la casa”) ed è appunto dal 3 dicembre scorso la nuova casa di Salvatore Camedda, classe 1983 di Cabras, professione chef. In sintesi: è stata una delle nostre scoperte più interessanti dell’anno. Camedda non è figlio d’arte, ma di una passione: papà Antonio è un poliziotto innamorato della cucina, «io volevo seguire le sue orme, indossare la divisa blu, ma lui mi ha iscritto all’Alberghiero di Alghero», così alla fine si è ritrovato con la parannanza bianca. Inizio faticoso, stage al Baja Sardinia, «ma non ne volevo sapere, mi sono convinto più tardi» mentre già faticava ai fornelli, d’estate sull’isola e d’inverno a St.Moritz o al Palace di Cortina. Così per 9 anni: «Volevo studiare la materia prima, non mi bastava quello che già sapevo e che ero chiamato a fare».
Galeotta è stata una cena da Massimiliano Alajmo, «sono rimasto folgorato, ho capito quale dovesse essere il mio percorso», che l’ha portato 3 mesi a Taipei, poi a Milano con Gian Domenico Melandri, infine 7 mesi da Giuliano Baldessari all’Aqua Crua («Ancor oggi gli spedisco la migliore bottarga»), ultimo step prima di lanciarsi, da nemmeno un anno come abbiamo visto, nell’avventura personale, praticamente a casa.
E’ stata una scommessa che è ancora in divenire: in questi giorni il ristorante è chiuso (riapre il 9 novembre) per lavori in corso, cambio menu e avvicendamenti nello staff, che al momento della nostra visita, poche settimane orsono, contava in brigata tre persone e un lavapiatti. L’insegna è neonata, insomma, però assai promettente, «tante cose sono ancora da migliorare, ma sono contentissimo», l’avviamento è stato positivo. Spiega Camedda: «Cabras è piena di ristoranti, son anche troppi e c’è ancora poca qualità. Io volevo distinguermi» e per prima cosa ha scelto allora San Vero Milis.
Domanda scontata: ma chi te l’ha fatto fare? «Qui trovo prodotti straordinari. Non mancano certo le difficoltà a proporre alta ristorazione, anche se poco a poco il livello medio si sta alzando. Dobbiamo dire grazie a Roberto Petza se oggi in Sardegna c’è una nuova leva di ragazzi preparati e consapevoli». Inchino (doveroso) con distinguo: «La mia sfida è far mangiare da queste parti uno spaghetto freddo! Voglio provare a vedere se si può proporre una tavola che risulti più contaminata di quella di Roberto Serra, o di Petza stesso; non ricerco necessariamente il chilometro zero anche se non lo disdegno, il riso viene dalle risaie che distano 100 metri da qui», per dire. «Ci rivolgiamo a chi vuole sperimentare un nuovo tipo di cucina, dove alle eccellenze dei prodotti locali affianchiamo sapori di terre lontane».
Il sogno di Camedda è di «vedere un balzo in avanti della ristorazione sarda». Intanto balza lui, ma nella nostra considerazione, con piatti azzeccatissimi, come ilCefalo marinato al muscovado, crema di tamarindo, chips di polenta e polvere di liquirizia, ossia il pesce carnoso, con note iodate, sapide, la marinatura che tende al dolce, l’acidulo del tamarindo, l’aromatico della liquirizia… Combinazione perfetta.
O ancora la Tartare di bue rosso, salsa speziata, liquirizia, finocchietto, tartufo estivo e foglie di lavanda, altro antipasto di classe. Notevole il cestino del pane (grissini al sesamo bianco e nero, crackers al curry e finocchietto, pane di lievito madre, da intingere nell’ottimo olio extravergine de La Casa dell’Oliva diGiuseppe Piredda, a Cabras); encomiabile l’uso di erbe fresche e spezie, a donare fascinazioni e complessità gustative originali. Ci sono cose da rivedere, tipo l’eccesso di chips nella composizione dei vari piatti, così come tutta la parte dolce (due mousse e una bavarese: anche no). Ma la luce è davvero tanta,