di Paolo Pulina
La locuzione latina “Nulla dies sine linea” (usata da Plinio il Vecchio con riferimento al pittore greco Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea), intendendo “linea” per “pagina di scrittura”, ben si adatta a Manlio Brigaglia, che – a 89 anni compiuti il 12 gennaio 2018 – pigia quotidianamente i polpastrelli sulla tastiera del computer: immagino che lo faccia con la stessa velocità con cui – utilizzando una delle prime macchine per scrivere elettriche – l’ho visto “buttar giù” in venti minuti, una cinquantina di anni fa, un articolo destinato ad occupare due colonne di un quotidiano, allora formato lenzuolo.
Chi ha seguito qualcuna delle sue conferenze, sa che Brigaglia parla di solito “a braccio” ma, se uno sbobina il suo discorso, si rende conto che è già pronto per essere mandato in stampa. In particolari, solenni (in sardo: nódidas) occasioni, Brigaglia però legge il suo scritto scandendo bene i periodi come lo può fare chi, come lui, vanta decenni di pratica di linguaggio radiofonico, che ha fatto tesoro del vademecum redatto da uno scrittore come Carlo Emilio Gadda.
Cercando qualche giorno fa su YouTube qualche intervento su Michelangelo Pira (Bitti, 26 marzo 1928 – Quartu Sant’Elena, 5 giugno 1980), in rapporto al fatto che mi sembra opportuno in questo anno 2018 commemorare, nel novantesimo della nascita, questo valoroso giornalista, antropologo e scrittore, mi sono imbattuto nella registrazione della relazione letta da Brigaglia in occasione della presentazione dello scritto postumo di Pira Il villaggio elettronico (Cagliari, AM&D, 1997), in un convegno tenuto a Bitti il 9 dicembre 2001, coordinato da Natalino Piras, e che vide tra i relatori, oltre Brigaglia, Pietrino Soddu, Renato Soru, Titino Burrai e Bachisio Bandinu. Ebbene, se uno vuole ascoltare Brigaglia nei 22 minuti in cui legge il suo testo (https://www.youtube.com/watch?v=Snfj66cOFhQ), si rende conto della sua maestria argomentativa. Le vite parallele di Antonio Pigliaru e di Michelangelo Pira illustrate dal nostro “Plutarco” sardo ci offrono uno spaccato esemplare della storia della Sardegna del Novecento negli anni Venti-Settanta con la messa in evidenza del ruolo benemerito svolto da questi due esponenti della minoranza intellettuale sarda, purtroppo strappati prematuramente al loro impegno sociale e culturale (Pigliaru a 46 anni, 1922-1969; Pira a 52 anni) teso a far prendere coscienza al popolo sardo dei valori della autonomia, intesa nel più ampio e variegato dei significati.
Questa stella polare (non sempre popolare) dell’autonomia della Sardegna, Manlio Brigaglia la ha sempre seguita, prima in collaborazione, poi in continuazione ideale, con i due “dioscuri” Pigliaru e Pira. E continua a trasparire in ogni pagina di scrittura che ogni giorno produce.
A lui giungano anche i più sinceri auguri da parte del mondo dell’emigrazione sarda, della cui storia – conosciuta “dall’interno” – Brigaglia non ha mancato di occuparsi con autentica compartecipazione emotiva.
P.S. Si veda in questo sito un altro mio articolo (selezionare il testo per facilitare la lettura!):
Aggiunto i miei auguri per il caro Manlio Brigaglia a cui devo tanto, dall’epoca del mio primo libro sulla Sardegna (“Sardaigne au coeur” / “Sardegna nel cuore”, Premio Sardegna 1976) fino ad oggi traducendo la sua antologia “Il meglio della grande poesia in lingua sarda” in francese…
A kent’annos.
Claude SCHMITT