di Costanza Loddo
Incastonato nel centro della Sardegna, Ovodda è un piccolo paese dal forte carattere agro-pastorale che si incontra a cinquanta chilometri da Nuoro, nella Barbagia di Ollolai, al confine con la regione del Mandrolisai. Questo borgo montano di origine medievale si issa a circa 700 metri di altitudine, su un pianoro granitico ai piedi del monte Orhòle, in un territorio straordinario, racchiuso dal massiccio del Gennargentu e attraversato dai fiumi Tino e Tirso che confluiscono nel lago artificiale del Cucchinadorza. Qui, la natura è uno spettacolo generosodi luci, colori, suoni e profumi, creato per rapire il viandante con paesaggi sempre diversi e dai contorni alpini: rilievi di granito, boschi secolari, valli lussureggianti e, ancora, torrenti, cascate, ruscelli e laghi, si alternano e ricreano scenari incantati, dove si respira un’aria frizzante e pulita che cura il corpo e lo spirito, un’aria magica che – si dice – regala longevità. Lo spettacolo della natura si gode anche dall’abitato, dove strette stradine di ciottoli conducono nel pittoresco centro storico, in cui tra le tipiche dimore in pietra granitica si aprono i colori di magnifici murales. La natura incontaminata e la bontà del clima sono la ricchezza di questo borgo, un privilegio che ha concesso agli ovoddesi di condurre un’esistenza serena e longeva: qui sono tantissimi gli abitanti che hanno superato la soglia dei cento anni, o che si apprestano a compierli, permettendo a Ovodda di acquisire il felice epiteto di “paese dei centenari”, unluogo custode dell’elisir di lunga vita, da tempo oggetto di studio a livello mondiale. Questo borgo, inoltre, è famoso anche per la sua secolare tradizione enogastronomica, specialmente quella della panificazione, che sforna prodotti eccellenti e che si tramanda di generazione in generazione: “su pane ’e fresa” e “sas ispòlas” sono motivo di orgoglio per la comunità e simbolo di questa località, che si afferma nell’Isola come il “paese del pane”. Non solo enogastronomia e centenari, però. Ovodda, infatti, è anche scrigno di particolari rituali carnevaleschi, legati al mondo agro-pastorale e al suo lungo passato feudale, che, a differenza del resto dell’Isola, non si concludono il martedì grasso, ma proseguono anche in Quaresima. Il momento culmine del carnevale ovoddese va in scena il mercoledì delle Ceneri: qui, è “Su Merculis de Lessia” e l’intera comunità si concede una giornata di trasgressione, un momento di forte condivisione, simbolo di libertà e anarchia, dove tutti sono maschere, attori di un teatro improvvisato in cui ci si abbandona al gioco e alla beffa, e il presente lascia spazio alla memoria di un passato di contestazione e rivolta. Si tratta di una pittoresca giornata, animata dal corteo degli “Intintos”,dispettosi individui vestiti di nero e con il volto annerito dalla fuliggine, e degli “Intinghidores”che, armati di polvere nera, imbrattano il viso di quelli che incontrano nel loro percorso. “Intintos” e “Intinghidores” sono l’emblema della trasgressione, della libertà e del coraggio del popolo che si ribella al potere e all’autorità costituita: attraversano il paese e accompagnano in giudizio “Don Conte Forru”, un fantoccio simbolo dei poteri religiosi e politici, che al calar della sera sarà giustiziato e dato alle fiamme. Un rito coinvolgente che si collega alle sollevazioni popolari del duro passato feudale. Oltre ai festeggiamenti del carnevale, a Ovodda si respira anche una forte spiritualità e, tra le celebrazioni religiose più sentite, spicca la festa campestre di San Pietro Oleri, il 28 e il 29 giugno, che si svolge nell’antichissima e omonima chiesetta. Proprio in questo scenario, nella seconda domenica di luglio, esperti cavallerizzi di tutta l’Isola si riuniscono per le tradizionali “Pariglias di Ovodda” e dilettano il pubblico con spettacolari acrobazie a cavallo. Natura magica e dai contorni alpini, longevità, secolare tradizione enogastronomica, ma anche spiritualità, tradizioni carnevalesche e acrobazie a cavallo: ecco perché visitare questo paese, il cui nome – in origine Ofòlla e Ovòlla – ha un etimo oscuro. Secondo alcuni studiosi, il toponimo sarebbe di origine protosarda, legato alla radice “ov – ob” che significa “pecora”, e corrisponderebbe all’appellativo “bòdda – vodda”, ossia “pecora anziana”. Tale ipotesi sarebbe avvalorata dalla presenza, in territorio ovoddese, di un’antica via della transumanza, attiva ai tempi del re Ospitone e nota come “sa via oviante”, la via delle pecore.
BREVI CENNI STORICI. Ovodda vanta un passato antichissimo: il suo territorio, infatti, fu segnato dal passaggio ininterrotto di popoli che percorrevano la storica via della transumanza (“la via oviante”), su cui si spostavano le greggi per giungere nelle pianure, o che attraversavano le Barbagie, utilizzando l’antica strada romana “ab Ulbia Caralis”. La storia ovoddese comincia, quindi, con le antiche genti di Sardegna, popoli autoctoni che calpestarono questi luoghi sin dalla preistoria, lasciando numerose tracce. Impronte giunte a noi attraverso domus de janas e menhir, ma anche tombe di giganti e circa dieci nuraghi, simbolo della civiltà nuragica e lascito dell’età del Bronzo. Più tardi, in località Domus Novas, proprio lungo quell’antica strada “ab Ulbia Caralis”, i Romani costruirono un villaggio, i cui resti sono ancora visibili. Le origini del borgo, invece, si rilevano nel Medioevo, quando la “villa di Ovòlla” era inserita nella curatoria della Barbagia di Ollolai e faceva parte del Giudicato di Arborea. Dopo la dissoluzione di quest’ultimo, il villaggio passò al controllo catalano-aragonese, a cui gli ovoddesi si opposero strenuamente, ottenendo il privilegio di essere amministrati dai discendenti del casato d’Arborea. Proprio all’epoca, Ovodda fu protagonista di una contesa con il vicino villaggio di Gavoi per l’acquisizione del centro di Olèri, abbandonato probabilmente a causa della peste: la questione fu risolta con un atto di divisione delle terre tra i due centri, sancito alla presenza del marchese di Oristano, Leonardo Alagon, nella chiesa di San Pietro Olèri, appartenente in origine al centro oggetto di contesa, che all’epoca era in rovina e che i due paesi, in cambio dell’atto, promisero di recuperare. Successivamente, con la definitiva conquista dell’Isola da parte degli iberici, Ovodda conobbe il duro giogo feudale e passò sotto il dominio di numerose famiglie, un controllo che proseguì sino al 1839, con il riscatto del feudo. Negli anni ’60 del Novecento, il borgo conobbe un certo grado di benessere legato allo sfruttamento dell’energia idroelettrica, grazie alla creazione del bacino artificiale del Cucchinadorza, oggi importante risorsa paesaggistica.
COSA VEDERE. Tra natura, storia, cultura e spiritualità, le attrazioni a Ovodda non mancano. Per tuffarsi nel passato remoto del borgo, oltre alle domus de janas di “S’Abba Bogada” nei pressi dell’omonima fonte, a quelle più complesse di “Domus Novas” e “Serrindedda”, e a quelle diGhiliddoe, interessanti sono i menhir vicino al rio Aratu che, proprio per la presenza dei monumenti, viene chiamato “rio Perdas Fittas”. Tra gli altri siti archeologici, oltre alle tombe dei giganti di “Su Nodu ’e Lopene” e ai nuraghi di Nieddio, Osseli e Campos, interessanti sono i resti del villaggio romano di “Domus Novas”. Attrazione ovoddese è anche il centro abitato,non solo per le tipiche dimore barbaricine e i colorati murales, ma anche per antichi palazzi e luoghi di culto. Tra i primi, tappa obbligata è “sa domo de sos cavalleris” (la casa dei cavalieri), una dimora signorile del Settecento che custodisce un grazioso pozzo. Tra i secondi, invece, spicca la chiesa di San Giorgio Martire, patrono del paese, conosciuta già dal Medioevo: la struttura attuale è in stile tardo-gotico, realizzata nel XVII secolo, a cui, nel 1798, si è aggiunto il campanile in granito. La chiesa conserva preziosissimi arredi sacri, tra cui una seicentesca statua lignea di San Pietro. Tra gli altri luoghi di culto, oltre alla chiesetta campestre di San Pietro Olèri, molto caratteristica è la chiesetta del villaggio Taloro, eretta in cima ad una collina sopra il lago Cucchinadorza.
NATURA. Gioiello delle attrazioni ovoddesi è certamente il suo straordinario patrimonio naturalistico, divenuto meta di un nutrito pubblico di escursionisti che qui giungono per gli scenari incantati, in cui i profili granitici delle montagne degradano nel verde brillante di valli e colline, e per l’aria buona e pulita che qui si respira, essenza dell’elisir di lunga vita. Nella natura di Ovodda – parte del Parco nazionale del Gennargentu – si snodano numerosi sentieri, percorribili a piedi, in bici e a cavallo, che conducono alla scoperta di oasi naturali, costellate da torrenti, ruscelli e cascate, tra cui la bella cascata “S’Istracca”, e che offrono paesaggi straordinari. Magnifico è il panorama che si apre nella salita sulla vetta di Bruncu Muncinale, da cui si può ammirare il manto verde di boschi di latifoglie, di foreste di lecci, castagni e querce e di una fitta macchia mediterranea: qui si rifugiano numerose specie faunistiche, tra cui daini, mufloni, gatti selvatici, ma anche rapaci e i cervi sardi, un tempo scomparsi e ora reintrodotti. Sovrano indiscusso del patrimonio naturalistico ovoddese è il lago Cucchinadorza, attorniato dalla scenografica vallata del fiume Taloro, sfruttato per la produzione di energia idroelettrica e divenuto un’importante attrazione paesaggistica del borgo.
CUCINA E ARTIGIANATO. Altra attrazione di Ovodda è certamente la sua pregiata enogastronomia che porta a tavola sapori autentici e genuini, elaborati da una sapiente tradizione secolare. Oltre alla preziosa lavorazione del pane, qui si gustano ottimi formaggi, salumi e vini e golosissimi dolci, quali “puzzoneddos”, “lorighittas”, “fruttinas” e i tipici “pistiddos”. L’artigianato locale, invece, è focalizzato soprattutto nella lavorazione del sughero e del granito di ottima qualità, proveniente dalle località “Sa ’Orrada” e “Su Ghirone”, ma non mancano altre attività artigiane, come il ricamo e la produzione di cestini.