di Marcello Atzeni
Ama talmente il fuoco che si è fatta i capelli di quel colore: Silvia ( Piras) dai capelli rossi è difficilmente incanalabile : pittrice, scultrice, fotografa, filmaker. Dopo il liceo artistico a Cagliari, ha frequentato l’Accademia delle belle arti, a Sassari. Lì le hanno insegnato i fondamentali, per usare il gergo calcistico, ma la genialità e la poliedricità, sono nate con lei. Mentre i capelli coprono buona parte del maglione grigio, le sue gambe sono coperte da calzoni millefiori. Se li vedesse uno sciame d’api, ci farebbe un pensierino. Le scarpe hanno i brillantini, i piedi prima di cascarci dentro, si riscaldano in un paio di calze azzurro intenso.
“ Perché vuol vedere le mani? E’ un poliziotto?” Scherza, le mostra, fronte e retro. Le unghie, quelle esterne sono nere come questi tempi, quelle centrali blue velvet.
Divide la casa con cinque amici.
Quattro gatti, di cui uno è di dimensioni elefantiache e un cane, Tubo. Catodico, di cognome? No, risponde, digerente.
I primi vagiti dell’arte di Silvia ci guardano: sono delle sfere con al centro un occhio. Vivono tra libri, cd e 33 giri. A un giro di valzer da una radio che profuma di Rabagliati e Natalino Otto.
I libri di cinema, spiritualità, cucina, romanzi, psicologia e altro ,albergano in ogni angolo. Ma la vita di Silvia è, fondamentalmente, un pezzo di corda, meglio di fune. No, nessun nesso coi cavalli ed esecuzioni sommarie. Il Far west è veramente lontano . Una parrucca che indossa la fa sembrare Whoopi Goldberg. E sempre la stessa corda serve per dare la parola a teste pensanti e, in qualche caso, parlanti. La corda lega le persone : legami sentimentali e legami di dipendenza. Fune che avvolge parole, emozioni, animali dalla doppia personalità. Esce dalla bocca e lega piccoli cuori sospesi. Spesso i cuori sono così. Agitati. Ma legati ? Le sculture sono realizzate con l’argilla rubata a un monte, lavorata in casa e cotta in un forno. La terra che passa tra le mani di Silvia dai capelli rossi, è foriera di sensazioni vecchie e nuove. La natura attira l’artista di Decimoputzu e viceversa. Nel bagno l’accappatoio è appollaiato in un albero , a poca distanza dal piatto doccia che sembra un pezzo, realizzato da lei, di arte precolombiana. Scrive riflessioni, scatta foto in ogni dove e gira video con il telefonino. In uno scherza col fuoco e lega il cugino. E’ un suo punto di riferimento. Parla del suo terzo festival degli sciamani.
I nostri, dice, non quelli americani. Un festival/festa che si realizza in campagna e che coinvolge, attori, musicisti, scrittori, danzatori e adoratori, come lei, della madre terra. E’ rapita dalla nostra millenaria cultura. Mentre parla, cammina :da una scarpa, le stringhe scivolano verso il pavimento. Conosco tanta gente, dice. Anche io, le rispondo. Da certi non mi farei legare neanche le scarpe e nel mentre, faccio un fiocco sullo scarponcino nero carbone. Il prossimo passo Silvia, lo farà sul palcoscenico. Reciterà ,non con le parole. Si esprimerà con i gesti, l’ondeggiare del corpo e lo strabuzzare degli occhi. Mentre i capelli sono piegati dal maestrale ,sogna…
I sogni si raccontano dopo, perché se lo fai prima non si realizzano. Per ora sono legati dentro il suo cuore di ragazza di campagna.