di Claudia Zedda
“Tappeti antichi di ruvida lana che sfidano il sole di tutt’agosto senza perder colore. Nati dal dolore d’un’antica sposa. Le nipoti, ancora fedeli ai miti e ai telai, credono che il tessere porti fortuna: il battere del telaio nel silenzio della casa e nell’attesa e nella malinconia dei giorni non lascia infatti morire la speranza.”
Salvatore Cambosu – Il cervo in ascolto
L’avventura a Nule ha avuto per me il sapore della mezza estate, calda ma bella, rilassante ma frenetica, colorata ma sulla quale dominava, lo ricordo bene, la tinta d’oro e arancio del sole che nasce ma soprattutto che tramonta. Ho per la tessitura un amore strano e inconsapevole, come per quei dolci che si sa di desiderare pur senza averli mai assaggiati. Questa estate ho assaggiato la tessitura: ero a Nule, e mi sono innamorata. Sara l’ho conosciuta per caso, ma mi piace dire che ci siamo conosciute per destino. Navigavo su Facebook e mi è capitato sott’occhi un post firmato Visit Goceano: proponeva la visita nelle case delle tessitrici e una piacevole escursione per Nule. Non ci ho pensato su due volte, ho contattato Sara e lei mi ha risposto dopo pochi momenti. Abbiamo fissato la data, l’orario, il prezzo e presto ci siamo incontrate. Ti racconto quel pomeriggio di Agosto. Siediti comoda e lasciati coccolare dai colori.
La Madonna che scappò a Nule
Il primo colore che mi ha colpita è stato il verde del Goceano, quel verde che devi attraversare per raggiungere Nule. Penso a Nule come una mandorla che sta in cima d’un albero altissimo. Ci siamo arrampicati fino in cima dell’albero e il paesaggio che ci siamo lasciati alle spalle è da perdere il fiato. Voltati e dacci uno sguardo la prossima volta che raggiungerai la piccola Nule, a patto che tu stia partendo da Bono, questo è chiaro, esattamente come ho fatto io. Il secondo colore che mi ha incantata è stato il bianco magnetico, un bianco color della calce che contrasta con l’azzurro intenso del cielo sardo. Come l’ho vista, quella chiesetta piccola e bassa, mi ha ricordato l’illustrazione di Ferenc Pinter che rende indimenticabile il romanzo “La Madre” di Grazia Deledda ed. Oscar Mondadori. Insomma, lo scenario era simile, con una nonnina vestita di nero che scivolava dentro la porticina scura, non prima d’aver scalato, e con quale fatica, i brevi scalini che le si ponevano davanti. La chiesa è quella di Mesaustu (della Beata Vergine dell’Assunta). Normalmente è chiusa, ma, come ci ha ricordato Sara, siamo stati davvero fortunati a capitare a Nule per quel periodo. Al suo interno c’era un uomo che suonava la campana: credo di non aver mai visto per davvero un campanaro. Mi è piaciuto. C’erano antichi tappeti d’epoca che spose di ogni generazione hanno regalato al piccolo edificio sacro. C’era una piccola madonna sdraiata e custodita i una teca vestita di abiti sfarzosi e barocchi. Uscendo Sara mi ha raccontato che quella Madonna fa parte della saga delle Madonne sarde che scappano. Sembra che questa nello specifico sia scappata da Bitti lasciando per la strada alcuni segni (il più evidente è una nicchia sulla strada che separa Bitti da Nule detta localmente “s’ ena ‘e sa cadrea”) e si sia rifugiata a Nule dove ora dorme. E perché scappa da Bitti? Perché le donne di Bitti si rifiutarono di offrirle sa Madrighe, il lievito madre. Se non fosse stato fuori luogo mi sarei messa a piangere dall’emozione. Un tempo durante la festa dell’Assunta gli abitanti di Bitti volano fino a Nule per festeggiare la Madonna, cercando forse un modo per far perdonare le colpe dei propri antenati. Di recente l’uso è stato recuperato per merito di un comitato che ha ripristinato l’antica festa.
Le tessitrici di Nule
La casa delle artigiane l’abbiamo raggiunta a piedi, a Nule credo che tutto o quasi tutto si possa raggiungere a piedi. Prima di entrare Sara ci ha fatto ascoltare il canto del telaio. E il telaio canta per davvero. Non ci avrei creduto. Ci ha ricordato le belle parole che Salvatore Cambosu, incredibile maestro di Maria Lai, dedica a Nule nel suo racconto “Il cervo in ascolto”. A quel punto ero già cotta a puntino. Ma c’erano altre sorprese
Appo intesu sonu ‘e telarzu / e sa bitta no pariat piùs morta…
Ho sentito batter di telaio / e il villaggio non sembrava più morto…
Pochi scalini e abbiamo fatto ingresso in una piccola stanza. Dominava il telaio e da dietro il telaio si intravedevano mani di donne. Sembrava una magia, ma forse, era proprio una magia. I fili dell’ordito, fitti e fermi sembravano acqua dalla quale emergevano, secondo un ritmo preciso, dita fini di due belle donne dotate di un sorriso che non dimentico: Carmela e Mantonia Dore. C’erano colori, tanti dal rosso al giallo, dal blu al verde, c’erano donne, quelle di cui ti ho detto, ma c’era soprattutto il telaio. A Nule, nelle case delle donne che tessono, il telaio, rigorosamente verticale, è fissato a terra. È come un albero che ha messo radici. Sotto le sue fronde i bambini nascono, crescono, imparano, vivono, danno vita a nuovi bambini, invecchiano, muoiono, rinascono. È il centro della famiglia, l’albero della vita. Ha un non so che di antico e potente, è come una sorgente, è come l’origine. Carmela, Antonia e Sara mi hanno raccontato le diverse tecniche di tessitura che non ti racconterò perché mi auguro che anche tu vada a trovarle, mi hanno raccontato il sacrificio, i tempi necessari per la realizzazione di un tappeto, i tempi necessari per la colorazione del filato. Proprio lì, in quella piccola stanza Sara mi ha chiesto se volevo conoscere la leggenda della nascita dei colori. Secondo te che ho risposto?
Bolìn il moro dei colori
Prima della conoscenza delle erbe tintorie Nule tesseva in bianco e nero. La storia dei colori comincia quando in paese arrivò il Moro Bolìn che evidentemente possedeva i segreti dell’arte tintoria e che, è certo, li considerava preziosi. Li mise a disposizione di una donna, si chiamava Milena. In cambio di una promessa di matrimonio Milena venne guidata fra i campi alla scoperta delle erbe che avrebbero regalato ai suoi tappeti i colori dell’arcobaleno. Non ti pare fantastico? Bolìn fu di parola e ancora oggi i tappeti di Nule saltano subito all’occhio perché sono davvero un tripudio di colori. È stato bello scoprire che alcune donne ancora oggi tingono con le erbe raccolte nei campi, è stato bello scoprire che in base al luogo nel quale raccogli le erbe, in base alla stagione o al momento il colore sarà più o meno intenso, più o meno brillante. Dopo aver salutato Carmela e Antonia ho creduto che niente altro mi sarebbe piaciuto tanto, e invece no, ho incontrato un’altra donna speciale, Giovanna Maria Campus dalle mani d’oro. Ho scoperto che lei in persona, molti anni prima, collaborò, insieme con molte altre tessitrici con Eugenio Tavolara dando vita ai disegni che lui preparava per le espertissime artigiane di Nule, ho visto i suoi tappeti, ho visto il suo telaio, ho visto sua nipote crescere accanto al telaio, ho ascoltato le sue storie, ho vissuto per lunghi momenti ricordi che non erano miei.
Scaramanzia dell’ordito
Te ne racconto uno: le donne di Nule un tempo, e spero ancora oggi, nascondevano nel cuore dei gomitoli una piccola monetina. Ai bambini chiedevano di sciogliere ciascun gomitolo creando piccole matassine indispensabili per la tessitura. Quando si arrivava alla fine della palla di lana ci si era guadagnati una monetina. A quel punto la mia curiosità è stata stimolata. Su mia esplicita richiesta mi è stato raccontato che si era solite spruzzare di sale l’ordito, in maniera bene augurante, esattamente come il sale si buttava dentro il forno prima di cuocere il pane, e che mai si deve passare sopra i fili. Mi è stato raccontato che in onore dei morti ed in occasioni particolari è obbligo interrompere il lavoro al telaio e che quando si tessono teli per gli sposi tutte queste attenzioni e molte altre ancora debbono essere rispettate alla lettera. Ho trovato suggestive e preziose queste antiche prescrizioni che ho annotato con cura fin da subito. Mi torneranno utili, lo so. Quando poi una donna si innamorava della tessitura e decideva che quella sarebbe stata la sua vita, ebbene abbandonava tutto per un anno e prestava servizio da una maestra. Alla fine dell’anno avrebbe avuto in mano l’arte, i segreti, i dolori che sono parte integrante della tessitura. E chissà che anche io, presto o tardi non decida di abbandonare tutto e dedicarmi per un anno a quel dolce che mi piace tanto ma che no, non ho ancora avuto il coraggio di assaggiare come avrei dovuto. Ho salutato Nule con un certo dispiacere, il sole tramontava e Sara mi salutava ricordandomi che uno dei miei pittori preferiti, esattamente come me s’era innamorato di Nule e l’aveva raccontata in una baldoria di colori. Lui si chiamava Giuseppe Biasi e Nule gli aveva consigliato quadri di una bellezza ricercata.
Visit Goceano: i contatti
Se vuoi organizzare una visita per Nule città e dintorni puoi contattare l’associazione Visit Goceano anche tu. Ci lavorano 4 donne, Sara, Maria Francesca, Franca Rita e Morena. Cell. 3278514212
Pagina fb: https://www.facebook.com/visitgoceano/