di Irene Bosu
“Le Tigri del Gocèano di Vanni Lai. Una Sardegna ben reale dell’inverno 1955-56 è lo scenario della sua narrazione presenta tratti spiazzanti, quasi distopici. Qui, ancora una volta, la tradizione sarda ci presenta un frutto della sua inesausta vitalità. Il passato che non passa si concretizza nella densa tragedia annunciata con la sua vittima sacrificale, un giovane bandito senza scampo: per lui non c’è più posto nel mondo”. (Giuria – Premio Italo Calvino 2017). Lo scorso 30 maggio, al Circolo dei lettori di Torino, è stato decretato il vincitore della trentesima edizione del Premio Italo Calvino, la principale competizione di narrativa per aspiranti scrittori in Italia. Il Premio è stato fondato nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, per iniziativa di un gruppo di estimatori e di amici dello scrittore, tra cui Norberto Bobbio, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Cesare Segre, Massimo Mila. Il Premio segnala e premia opere prime inedite di narrativa. L’interesse è unicamente per la qualità della scrittura e per l’emergere di nuove tendenze.
In questa edizione, sono state esaminate 670 opere ma solo 9 sono andate in finale. La selezione è stata durissima, il Comitato di Lettura ha deciso di puntare su una scelta che fosse insieme rigorosa e rappresentativa di tendenze, temi e stili diversi, e che confermasse anche il ruolo del Premio nel far emergere narrazioni suggestive, scritture nuove e libri autentici. Vanni Lai, di Osilo, con “Le tigri del Gocèano” è riuscito a ritagliarsi un posto insieme ad altri otto esordienti. Ancora Sardegna, quindi, al Premio Calvino. Una terra che negli anni ha visto vincitori nomi ora affermati come Marcello Fois, Flavio Soriga e tanti altri. “Un luogo che conferma la produttività narrativa della sua regione, sempre ben rappresentata al premio”.
Vanni, cosa significa essere arrivati in finale al tanto ambito “Premio Italo Calvino”? Significa moltissimo. Il Calvino è il più importante premio italiano per autori esordienti, quest’anno ha raggiunto la trentesima edizione e tra i finalisti conta autori che si sono fatti spazio nella letteratura degli ultimi decenni. Alcuni nomi? Susanna Tamaro, Marcello Fois, Flavio Soriga, soltanto per citarne alcuni. Per non parlare delle giurie, formate da sempre da personalità di grande rilievo culturale. Oltre al fatto che tutti i grandi editori ogni anno “pescano” dal Premio. Per questo motivo quando ti ritrovi nel bellissimo palazzo in cui ha sede il Circolo dei lettori di Torino capisci che sei arrivato a qualcosa di grande. Sai che non tutti ci possono arrivare. In Italia si scrive tantissimo, pochi leggono e pochissimi riescono a pubblicare. Il Calvino ti fa entrare in una sorta di club esclusivo. È stato così con i miei compagni di avventura di quest’anno, ti sembra di essere in un college di prestigio. Ma è una sensazione che ho avuto anche quest’estate ad Alghero nel corso del festival Sulla terra leggeri, quando ho incontrato i vincitori sardi del passato: Fois, Marilotti, Soriga e Mannu.
Dovendo riassumere, in poche righe, il senso del tuo romanzo cosa diresti? È una storia, e penso che il senso lo dovrebbe trovare il lettore, se vuole. Io posso dire che il libro non si occupa di spiegazioni sociologiche scontate sul banditismo perduto o clichè ormai abusati. Racconta il fenomeno in maniera originale, con una Sardegna diversa, livida, invernale. Non avrebbe avuto senso presentare al Premio l’ennesimo romanzo sui banditi sardi. E credo che Le Tigri del Gocèano sia arrivato in finale anche per questo motivo. Forse la storia di Lisandru Congiu, un ragazzo senza lavoro negli anni Cinquanta, con qualche precedente penale, è simile a quella di molti ragazzi di oggi in Sardegna. Delusi, arrabbiati, incapaci di trovare una soluzione ai propri problemi se non con iniziative che spesso passano per vie oscure. Se fosse davvero così ci sarebbe da pensare, perché significa che in tutto questo lasso di tempo da queste parti non è cambiato proprio niente.
“Le Tigri del Gocèano” è ambientato nella Sardegna degli anni Cinquanta del Novecento e segue le vicende di un gruppo di banditi che vive in un mondo che sta cambiando impetuosamente. Com’è nata l’idea? L’idea è nata da un romanzo che ho scritto poco prima di questo. O meglio, un tentativo di romanzo. Ho pensato che per “spingere” il primo verso la pubblicazione ne sarebbe servito un altro. Così ho fatto un lavoro di cucina: ho studiato la storia del banditismo in Sardegna pensando di lasciare da parte il 1800, il Ventennio o gli anni Sessanta-Settanta, ingredienti che non mi interessavano. Ho puntato il Gocèano, una zona che di solito non appare nei romanzi sardi, e l’ho ricoperto con la neve abbondante dell’inverno del ’55-’56. Qualche domanda qua e là su vecchie storie e il resto è venuto da sé. Devo dire che Lisandru Congiu, Predu Tilocca e il maresciallo Taras hanno fatto da soli. Perché sono i personaggi che catturano chi scrive e lo spingono a vivere dentro il loro mondo. Lo scrittore è il primo lettore del proprio romanzo.
Se dovessi scegliere un estratto dal tuo libro, particolarmente significativo, quale sarebbe? Direi che quella riuscita meglio è la parte che racconta della fuga della banda di Lisandru dopo l’assalto a un portavalori dell’epoca, durante il mese più terribile dell’inverno. I banditi si inoltrano a piedi su per la montagna e vengono aggrediti dalla tormenta. Così restano per alcuni giorni dentro una grotta in attesa che la bufera passi, in maniera da spartire il bottino e dividersi, ognuno per la propria strada.
Il tuo manoscritto non ha ancora un editore. Vuoi fare un appello? Non ho bisogno di appelli. Il mio agente letterario è al lavoro per piazzare il libro presso quello che alla fine riterremo il miglior editore per questo romanzo. Purtroppo i tempi dell’editoria sono talmente lunghi da portare all’impazienza. Attualmente il romanzo è in lettura in diverse case editrici. Non mi resta che aspettare le loro risposte.
Come immagini la copertina del tuo libro? Sembra assurdo ma non ci ho mai pensato. La leggenda dice che l’autore non abbia un grande peso nella scelta della copertina. Mi auguro che sia bella e attinente alla storia, con i colori dell’inverno della nostra isola. Ma soprattutto che non sia uguale a quella di altri libri. Spesso capitano “scivoloni” con le opere d’arte in copertina, non so perché.
Quali sono le maggiori gratificazioni che ti ha portato l’avventura da scrittore? Mi ha stupito la vicinanza che i sardi mi hanno fatto sentire nei giorni della finale. Le mie notifiche su facebook si sono sestuplicate, in paese mi fermavano tutti per strada. Moltissimi mi hanno scritto o sono andati a cercare Le tigri del Gocèano nelle librerie o nelle biblioteche. Altri mi hanno fatto i complimenti per essere arrivato in finale al Premio Campiello. Sì, avete letto bene. Credo che l’invidia sia uno sport ancora molto praticato in Sardegna, ma quando qualcuno di noi si fa valere oltremare c’è sempre qualcosa che ci avvicina. Come se quello spirito sardo tanto bistrattato dalla politica (italiana e regionale) diventasse una forza incontenibile che non ha paura di nessuno al di là del mare. Forse dovremmo cercare di capire che deve essere così tutti i giorni, non soltanto grazie a queste iniziative estemporanee.
Hai nuovi progetti in cantiere? Al momento sono in pausa ma mi tengo in allenamento scrivendo qualche racconto breve ogni tanto.