L’ONDA LUNGA DEL REFERENDUM SBARCA IN SARDEGNA: INTERVISTA DELL’UNIONE SARDA ALLA PRESIDENTE F.A.S.I. SERAFINA MASCIA

ph: Serafina Mascia sul palco dell'ultimo Congresso della Federazione delle Associazioni Sarde in Italia svoltosi a fine 2016 a Quartu Sant'Elena


di Barbara Miccolupi

Mentre scatta il conto alla rovescia per il voto lombardo e veneto del 22 ottobre per l’autonomia, anche sull’Isola si torna a parlare di referendum, con l’obiettivo di veder finalmente riconosciuta la condizione di insularità e le relative agevolazioni su trasporti, fiscalità e commercio che potrebbero garantire ai sardi il principio della continuità territoriale con le altre regioni italiane. Il traguardo fissato è la raccolta di 10mila firme, e i Riformatori sardi hanno già ottenuto il sostegno di 80 sindaci, di personalità della politica isolana e della Fasi (Federazione delle associazioni sarde in Italia che raggruppa 72 circoli istituzionalizzati e conta quasi 25mila iscritti nella Penisola, residenti tra Nord, Nord Est e Centro), per cui il tema dell’insularità è un vecchio e sempre nuovo cavallo di battaglia. Per questo hanno aderito alla proposta del comitato promotore, pur non potendo votare in quanto non residenti nell’Isola. “Il nostro sostegno consiste nel convincere a votare coloro i quali hanno mantenuto o spostato la propria residenza nei paesi di origine, pur vivendo e lavorando fuori”. Spiega così le ragioni dell’impegno da parte della Fasi e le ragioni del referendum sardoSerafina Mascia, originaria di Carbonia e oggi residente a Padova dove si occupa di risorse umane. È alla guida della Federazione dal 2011 e conosce bene i temi che affliggono la Sardegna: “Uno dei problemi principali è proprio l’insularità e i trasporti, e come Fasi appoggiamo la proposta dei Riformatori perché il riconoscimento dell’insularità porterebbe al superamento di una differenza dei sardi dagli altri cittadini italiani e riporterebbe l’attenzione sulle necessità del popolo isolano”.

Siete stati tra i primi a premere sul tema “Ci battiamo da anni perché sia sancita ufficialmente e definitivamente questa condizione “speciale”, che conosciamo bene in quanto residenti fuori dall’Isola ed esclusi dalla continuità territoriale. Più volte come federazione abbiamo sottoposto il tema alla Commissione europea sentendoci dire che questo gap sardo deve esser colmato perché l’Isola arrivi a condizioni e opportunità uguali a quelle degli altri italiani”.

In concreto cosa porterebbe ai sardi? “Le questioni in gioco sono economiche, fiscali, commerciali e soprattutto legate alla mobilità da e per la Sardegna. Io vivo in Veneto e se voglio spostarmi in un’altra regione, ad esempio organizzare un convegno per la Fasi, posso farlo agevolmente anche senza grandi costi o problemi logistici. In Sardegna non è la stessa cosa, è un dato di fatto, una condizione oggettiva, ma serve che questa condizione di “svantaggio” sia riconosciuta ufficialmente”.

*** In realtà a livello europeo esistono già dei riconoscimenti: nel 2016 è passata con 495 voti a favore la proposta dell’europarlamentare Salvatore Cicu al Parlamento europeo che riconosce le condizioni di svantaggio per le regioni insulari, spingendo per l’applicazione all’articolo 174 del trattato sul funzionamento dell’Unione. A livello nazionale il disegno di legge prevede la modifica di tre articoli dello Statuto regionale per arrivare ad avere “un nuovo e moderno strumento che favorisca l’autogoverno dell’economia e dei collegamenti da e per l’isola in ragione delle peculiarità storiche, sociali e culturali della regione”.

Dall’Europa all’Italia cosa frena il riconoscimento ufficiale dell’insularità? “Il principio va riportato nelle nazioni di riferimento e deve diventare un fatto, mentre nella nostra Costituzione la parola “insularità” ancora non compare”.

C’è il rischio che il Governo si “dimentichi”? “Ovvio che serve tempo perché il principio riconosciuto a livello europeo venga assorbito nella legislazione nazionale, ma va sancito una volta per tutte, perché si possa gestire l’insularità in modo continuativo, con delle regole definite e non solo in situazioni d’emergenza. E una volta riconosciuta questa specificità propria dei sardi e dei siciliani non ci sarà più bisogno di andare a bussare alla porta del Governo ogni due anni”.

Ma la politica isolana non è tutta pro referendum… “Sì, c’è battaglia perché ci sono tante angolazioni rispetto al tema dell’insularità”.

Giorni fa a Cagliari in un convegno sull’Europa alla presenza del sottosegretario agli Esteri Della Vedova sono emerse le due visioni del centro-destra e di alcuni dem, rispettivamente pro e contro il referendum “Una posizione non esclude l’altra e già discuterne è importante, riporta l’attenzione sul tema e può far emergere nuove richieste. Noi della FASI, ad esempio, abbiamo visto bloccare tante volte direttive sui trasporti che la regione aveva preso perché non compatibili con la legislazione italiana o europea, nonostante ci siamo sentiti dire da personalità dei vari governi che le nostre richieste erano giuste. E allora?, ecco perché appoggiamo le proposte che vanno in questa direzione, anche se, come sardi emigrati e non essendo residenti, naturalmente non potremo firmare”.

Un’obiezione frequente, ad esempio sui trasporti, è che esistono le compagnie low cost “Quante volte me lo sono sentita dire, e rispondo dicendo che le compagnie low cost non hanno regole istituzionali, fanno politica commerciale e non sono “tenute” a garantire quella continuità territoriale che è il vero tema che sottoponiamo al Governo. Se come in questi giorni il servizio non è garantito i passeggeri restano a terra…Come si fa, bisogna andare ancora a bussare al governo per misure speciali ed estemporanee?”

Lei vive in Veneto, come vede la battaglia locale per l’autonomia? “Qui il discorso sull’autonomia che è alla base del controverso referendum nasce da temi “storici” della Lega, dal fatto di vivere male l’esistenza delle regioni autonome, di cui i veneti hanno quotidianamente sotto gli occhi i “vantaggi”. Ci sono paesi veneti che vorrebbero passare al Trentino o al Friuli perché gli abitanti si dicono ‘ma come, a dieci km da noi hanno agevolazioni, sussidi e compensazioni…e noi?'”.

Però, in Veneto come in Lombardia l’autonomia può raccogliere consensi trasversali? “Vogliono che il reddito alto prodotto resti in loco, e questa esigenza va al di là delle motivazioni politiche della Lega o di altre forze. Ma è rischioso, passa l’idea che ogni regione faccia per sé, che non ci sia più compensazione e che siano scomparse le diversità e gli svantaggi delle regioni autonome o che i loro diritti acquisiti siano da rivedere”.

Lei si occupa di risorse umane: il tema del lavoro è ancora la molla principale per cui si lascia la Sardegna? “Sì senz’altro, c’è l’emigrazione di chi cerca un lavoro come necessità di sussistenza, o quella di chi vuole avere possibilità e opportunità professionali legate alla propria formazione, al proprio corso di studi, per realizzare magari un’idea imprenditoriale ed è più facile farlo al di là del mare. Però, se è vero che i giovani emigrano da tutto il sud, per la Sardegna la distanza si trasforma in un doppio svantaggio, perché trasforma il viaggio in un cambiamento più netto e definitivo e il percorso di ritorno diventa più difficile”.

Poi ci sono aree sarde più svantaggiate di altre, ad esempio Carbonia, dove lei è nata “Sono aree che hanno vissuto tutti i cicli storici dell’emigrazione, ogni 20 anni vivono un esodo e devono reinventarsi andandosene via o attendendo nuovi piani, quello che ha permesso di resistere nel Sulcis come in altre zone è stata la valorizzazione delle tradizioni, dei prodotti e della cultura locale”.

È la direzione verso cui puntare nel futuro? “Puntare su un’economia locale che permette di rimanere lì a vivere, valorizzare quelle zone interne che possono trarre reddito dai loro prodotti, anche con nuove tecnologie come l’ecommerce”.

Qual è stato e sarà il contributo della Fasi? “Siamo stati i primi a portare fuori la cultura sarda e promuoverla, i primi esportatori e anche i maggiori acquirenti, anche senza un disegno iniziale preciso, e oggi offriamo ai nuovi emigrati i nostri contatti con le realtà in cui siamo integrati, soprattutto a livello professionale, creando una rete d’appoggio, e anche sfruttando ad hoc i fondi per l’emigrazione che vengono assegnati”.

Da donna cosa pensa del recente dibattito sardo sulla doppia preferenza di genere? “È sotto gli occhi di tutti: in Consiglio regionale il 97% sono tutti uomini, e poi parliamo ancora di società matriarcale. Ci sono tanti sindaci donne, imprenditrici e personalità molto attive, ma in politica vanno cercate col binocolo, segno che c’è ancora un gap che va sanato”.

Non è anacronistico che servano leggi per stabilirlo? “Ho tante amiche contrarie alla preferenza di genere, perché dicono che è come un’ammissione di inferiorità, ma penso che i dati parlino chiaro, o siamo tutte allergiche a prenderci responsabilità politiche, e non lo credo, o c’è una stortura. Dove ci sono state date pari opportunità le donne hanno dimostrato di saper fare. Una parte dell’economia sarda, penso al tessile o all’enogastronomia o al turismo, è fatta da donne e funziona eccome. Mettiamo pari regole d’accesso alla politica e poi verrà fuori il merito”.

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