Da sardo, presentare un libro sardo nel più antico circolo dei sardi al mondo – il Circolo Sardi Uniti di Buenos Aires – è stato un onore; presentare un libro che racconta l’emigrazione dei sardi nel mondo in questi ultimi 60 anni è stata una grande responsabilità: ché non è che vai a casa del fabbro a spiegargli come si forgia l’acciaio… E dunque con una profonda “mezcla de sentimientos” ho prima accolto l’invito di Angela Solinas e dopo, il 3 settembre suonato il campanello presentandomi alla porta del Circulo. Ed è con un senso profondo di amicizia, interesse, curiosità che gli amici del Circulo mi hanno accolto, ascoltato e discusso con me alcune tesi de “I sardi nel mondo. Atlante socio-statistico dell’emigrazione sarda”, scritto col collega Giuseppe Puggioni e pubblicato presso la casa editrice cagliaritana CUEC. E’ un lavoro complesso – condotto mediante questionari somministrati per via telefonica a quasi 5000 sardi emigrati nelle diverse parti del mondo – e finalizzato a ottenere una immagine sufficientemente rappresentativa delle caratteristiche socio-demografiche e professionali, degli standard di vita, dei rapporti con le località di origine e dei livello di integrazione nei contesti ospiti, dei sardi emigrati in oltre mezzo secolo. Non sono pochi 60 anni e non sono pochi i sardi migranti: se si ragiona esclusivamente sul numero di sardi che hanno lasciato l’Isola per altre regioni italiane o per paesi esteri dal 1958 al 2014 (ché il numero di quelli che si sono spostati “all’interno” dell’Isola è molto superiore), si arriva alla stima di una cifra che supera di poco la metà degli attuali residenti nell’Isola: oltre 800mila persone. Un’altra Sardegna, verrebbe da dire. Una Sardegna “esplosa” in centinaia di città e decine di paesi diversi, per cultura, struttura socio-demografica, assetti e architetture politiche, struttura economica, ritmi di sviluppo. Oltre ottocentomila sardi hanno dovuto, cioè, sperimentare quei notissimi processi di integrazione socio-culturale ed economica nel paese ospite che – come ricorda molta letteratura recente sia di ordine socio-antropologico che politologica – sempre più ampie fette dello schieramento politico italiano, del sistema dei media e la “voce del senso comune popolare”, pretendono dagli stranieri che varcano i nostri confini. Moltissimi sardi hanno sperimentato sul proprio vissuto quotidiano i complessi e spesso dolorosi processi della costruzione e definizione di una bozza iniziale di progetto migratorio, la scelta delle destinazioni, l’attivazione di un network di riferimento per ottenere informazioni attendibili in merito alle dimensioni fondamentali del quotidiano (casa, lavoro, burocrazia, lingua, relazioni sociali, etc…) nella meta prescelta; raccogliere le risorse economiche di base per finanziare il viaggio e i primi periodi di permanenza; attivarsi, inoltre, per trasformare tutte le aspettative maturate in precedenza in una realtà che possa avere ai propri occhi il senso del “segno positivo” nella valutazione costi/benefici rispetto alla scelta compiuta: il senso minimo, quindi, di una più confortevole e strutturata sicurezza e di un maggior benessere quotidiano se paragonato a ciò che si poteva godere nel paese di partenza. La costruzione di un proprio progetto di vita in uno spazio sociale diverso da quello in cui si è nati e cresciuti impone, poi, la difesa di ciò che si è realizzato, l’attivazione dei consueti tentativi di mobilità sociale ascendente, la costruzione di una nuova famiglia o la gestione di quella originaria che ha avuto modo di ricongiungersi con il primo emigrato partito o, ancora, la definizione di strategie di integrazione con tutti i membri della famiglia che, insieme, hanno deciso di spostarsi in un nuovo paese. In grande sintesi, questa “mezza Sardegna” ha sperimentato diversi “cicli di mobilità”: una «prima emigrazione» (da metà Ottocento al 1942) che, anche a causa dell’insularità della regione, si è manifestata in ritardo rispetto sia al totale dell’emigrazione nazionale sia a quella proveniente dal Mezzogiorno orientandosi preferenzialmente in direzione europea e mediterranea piuttosto che transoceanica. Ma erano ancora pochi, pochissimi. Solo a partire dalla prima metà degli anni cinquanta, in Sardegna si registra il progressivo affermarsi di un movimento migratorio, che alcuni Autori chiamano «nuova emigrazione», in quanto differente dal precedente sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Come già accennato, in questo caso si può stimare che complessivamente l’emigrazione sarda (quella verso l’estero e verso le altre regioni italiane), dal 1958 al 2014 ha interessato oltre 800 mila individui. Anche in questo caso, come nella «prima emigrazione», la parte che si è diretta verso l’estero resta inferiore a quella che si è indirizzata verso le altre regioni italiane (Piemonte, la Lombardia, Lazio e la Liguria). Essa, infatti, rappresenta circa il 25% del totale del movimento, e di questo ben il 93% si è diretto verso l’Europa e, in particolare, verso la Germania, il Belgio, la Francia, la Svizzera, paesi che hanno accolto circa 1’80% dei sardi emigrati all’estero. A fianco di queste consistenti correnti emigratorie, sono proseguiti i flussi con destinazione trans-oceanica, in particolare verso l’Argentina, il Venezuela e l’Australia. Infine c’è la terza ondata migratoria, quella più recente, iniziata negli anni ’90 del secolo scorso e tutt’ora attiva. È un processo diverso dal passato, non solo perché coinvolge in larghissima misura i più giovani, ma soprattutto perché a partire sono quelli con il capitale umano più elevato, diplomati e laureati, elementi necessari per attivare processi di sviluppo economico locale e di innovazione di cui l’Isola sente un tremendo e contingente bisogno. Gli amici di Buenos Aires hanno perfettamente colto le tracce dei processi migratori raccontati nel libro, sia quelli tradizionali sia quelli innovativi e più recenti e, con incalzanti e acute domande – che possono solo far piacere ad un autore – intrecciando un fitto dialogo, hanno fatto sì che gli 11mila km che mi separavano da Cagliari fossero ridotti alla distanza che c’era in quel momento tra me e loro: nada. Ero a casa. Grazie amici miei. ¡Hasta luego!
RACCONTARE L’EMIGRAZIONE SARDA A BUENOS AIRES: LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MARCO ZURRU E GIUSEPPE PUGGIONI, NEL CIRCOLO PIU’ ANTICO AL MONDO
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