La Compagnia Bocheteatro di Nuoro con il contributo dell’Assessorato alla cultura Comune di Nuoro e dell’Assessorato P.I. Regione Sardegna presenta “Il Muro Incinto – Su Muru Prinzu”(ovvero Costantino Nivola in scena). Lo spettacolo è parte integrante delle celebrazioni ufficiali per i 150 Anni dalla nascita di Sebastiano Satta e per i 50 dalla realizzazione di Piazza Sebastiano Satta, monumento realizzato da Costantino Nivola.
Giovanni Carroni interpreta l’artista di Orani Costantino Nivola, che ritorna per un’ora a raccontare la sua storia, sospesa tra gli umori dell’anticamera dell’Ade.
Un viaggio della memoria che l’attore fa passare attraverso il suo corpo, le sue carni. Poiché la memoria non viene dalla mente, ma viene dalle mani, dai piedi, dal naso, dagli occhi.
Il luogo/città dell’utopia, ideale antico in cui arte e architettura, ma anche pittura, scultura, decorazione, collage, grafica, si fondono in un fermento vitale, è ripreso da Antine Nivola come
narrazione letteraria nell’opera autobiografica “Memorie di Orani” dalla quale è tratto l’adattamento drammaturgico di Paolo Puppa.
La poesia di Nivola è pari a una grande energia e, nonostante la “leggerezza” insita nel ritorno dall’Ade di Costantino, il testo è carico di movimento, densità pittorica e figurativa, di luce, di emozione.
La sua vita e quella del paese di Orani acquistano un valore mitologico, e con loro tutta la Sardegna dei primi del secolo, povera e sofferta, in parte sconosciuta ai sardi stessi.
Il suo infatti non è il materiale della “favola” ma materia del mito. Perché mito è il luogo della sua nascita, il grembo materno, è la pancia de su muru prinzu- il muro incinto; opera emblematica,
nella poetica di Costantino Nivola, “Figura femminile“ ricavata dalla superficie di marmo dolcemente concava: “il muro panciuto della casa nascondeva sempre un tesoro, il pane piatto e sottile che si gonfiava al calore del forno, promessa che la nostra fame sarebbe stata appagata per sempre. Allo stesso modo la donna incinta nasconde nel suo grembo il segreto d’un figlio meraviglioso”.
La mancanza del pane crea ansietà e disperazione, poi con l’arrivo del grano la calma dopo la paura, il momento di bellezza nella tragedia. Il dramma della fame è bandito in uno stato di pace.
Nivola racconta dunque la tragedia e la bellezza, la disperazione e la pace , così come nelle sue creazioni tra antico e moderno: forme nuragiche e mediterranee, la densità dentro le intricate linee di New York o di Orani. L’attore/Nivola si racconta attraverso il ciclo vitale delle stagioni, e dei materiali della sua arte e del suo lavoro: l’acqua, la sabbia, il cemento, il gesso, il fuoco.
Per un’ora ci regala una lezione di vita, di arte e di moralità, la stessa di cui è permeato il suo libro autobiografico.
Lo spettacolo tocca una forma ontologica della memoria. La memoria della vita e dell’incontrare la morte, perché il corpo deve sapere cos’è la morte.
La consapevolezza della morte, come per Nivola, ci consente di rinnovare noi stessi e i nostri sentimenti. Il momento di narrazione dunque è sospeso come in un limbo tra il regno dei vivi e il regno dei morti.
Poiché la nostra vita in realtà è il percorso verso l’Ade, e questo “rito” teatrale vuole essere anche l’ampliamento di questo percorso.
L’attore tenta di superare i limiti del suo corpo, dell’umano, per entrare nel metafisico della scena, per assecondare e svelare il significato profondo della parole di Antine Nivola.
Le musiche originali sono state composte ed eseguite dal maestro Battista Giordano.
Scenografie e costumi: Marco Nateri
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