Uomini contro film diretto da Francesco Rosi nel 1970, interpretato in forme magistrali da Gian Maria Volontè, e tratto dal romanzo Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu ha ispirato il titolo di questa nuova rubrica. Nturalmente per le suggestioni che evoca. Vuol raccontare la realtà dei nostri paesi prendendo le distanze dalle mitologie dei “borghi autentici”, dove tutto è eccellenza, ai vittimismi. Faccia della stessa medaglia. Paesi contro vuole semplicemente raccontare il più possibile cosa significa vivere oggi in un luogo che non sia una città. Il racconto, a nostro giudizio, pare attardarsi oggi in forme etnocentriche secondo modelli che furono adottati dal secondo dopoguerra nelle varie fasi della Rinascita. Chiunque voglia può dare il suo contributo (NdR).
Anziché candidarsi a scrivere dell’Ardia di San Costantino, un giornalista dell’Unione Sarda – Francesco Pintore – il 6 e 7 luglio da qualche anno si mette in ferie e la fotografa, “il prima e il dopo” scrive lui stesso nel cartoncino della mostra aperta in questi giorni a Sedilo (Asilo Vecchio, dalle 17 alle 21, oggi- domenica – ultimo giorno) nella quale ha scelto 20 immagini con le quali sembra fare un controcanto della retorica del suo stesso mondo editoriale.
Stra-fotografata, stra-raccontata, icona stra-caricata di significati, questa festa insieme a poche altre ha su di sé una stratificazione di interpretazioni che ne hanno fatto smarrire la verità storica (se esiste) e la sovrastruttura rituale, antropologica, religiosa, pre-religiosa.
Accade tutto negli ultimi 60 anni, dopo che la Regione la proclama attrattore turistico (1955), la Walt Disney la riprende mettendoci sopra una colonna sonora da film western e il documentarista di riferimento di quella Regione, Fiorenzo Serra, la carica – sia pure con enorme profondità di lettura – di ulteriori significati.
Data da allora – siamo nel 1954 – la ripetizione ossessiva (sui giornali, sui siti internet, nelle dirette tv) della corsa dei cavalli come una riproduzione della battaglia di Ponte Milvio fra Costantino e Massenzio, nonostante l’Angius abbia scritto che non il Costantino imperatore era il “santo” celebrato a Sedilo, ma un Costantino regolo turritano (che spiega anche come mai la devozione dei sedilesi sia recente anche secondo molte testimonianze, e quella sassarese, del Capo di Sopra, logudorese, più antica e testimoniata negli ex voto e nell’onomastica medesima dei territori).
I giornali (sardi) cominciano ad interessarsi alla festa di Sedilo ben oltre il 1960. Il paese prima di allora sui quotidiani di Cagliari e di Sassari non esiste. Anzi, esiste sì, eccome: occupa paginate intere, conquista decine di prime pagine, ma per una faida sanguinosa durata anni e per i lunghi processi che la seguirono.
C’entra anche questo se è allora che alla progressiva “conquista” religiosa e cattolica del culto e dei riti anche evidentemente pagani, si sovrappone la lettura sardistica, l’Ardia come rappresentativa del ribellismo dei sardi, del loro spirito irriducibile, selvaggio. La scrive fra i primi questa interpretazione, uno dei più raffinati intellettuali e politici sardi, Sebastiano Dessanay, fra i padri dell’autonomia, il padre poeta, Pasquale (“…e Mariedda, totu tostorada, ghirabat chin sa brocca dae Istiritta….”), una figlia sposata a Sedilo.
Insomma, sotto tutti questi strati è sommersa la vicenda reale non solo storica (che è tuttavia sempre un’interpretazione….), ma antropologica appunto, le motivazioni che spinsero i sedilesi a togliere cavalli e bandiere ai logudoresi che sfilavano devotamente attorno al santuario sino al secondo decennio del ‘900, il modo in cui se la vivevano nel paese, i ragazzi, i pastori ai quali è appartenuta quasi in esclusiva la corsa sino a rischiare di morire fra gli anni ’60 e ’70, se non fosse stato per gli operai di Ottana, che la riacciuffarono; il modo i cui se la vivevano le donne; l’ospitalità del paese nei confronti dello sciame di forestieri, molti poveri e moltissimi finti poveri che venivano dalla città (Sassari) per rimediare formaggio, pane e carne nel difficile dopoguerra urbano.
E’ anche il bello, di queste feste, un segno della loro forza.
Le banalizzazioni di oggi sono inconsapevoli cantilene retoriche, che i giornali amplificano, pigramente (un deputato che fu di Forza Italia che straparla di tradizione, come Berlusconi davanti al nuraghe di Losa), non hanno più niente delle ansie interpretative passate, stanno solo dentro al gioco turistico, consumistico, spettacolare, della durata di un giorno.
E rieccoci alla mostra fotografica: il titolo scelto da Francesco Pintore per le sue 20 foto, è “Ardia 365”, fa riferimento a un altro luogo comune, secondo il quale i sedilesi, almeno quelli che vanno a cavallo, i loro familiari, avrebbero la preoccupazione della corsa durante tutto l’anno. Se è vero, è un’altra perdita, è il rigonfiamento folcloristico a uso turistico dell’Ardia. Sarebbero attese indotte, preoccupazioni dettate dall’esterno. Nella tradizione la festa, ogni festa, è stagionale. E’ un respiro nella cadenza della vita quotidiana, sia pure un respiro trattenuto, spaventato.
Ma le foto chiariscono: e si vede nelle scarsissime immagini dedicate alla corsa dei cavalli, e invece nei (pochi) volti, nelle figure riprese da dietro, nella polvere, o nel paese, in chiesa, durante l’Ardia a piedi, che lo sguardo è per il contesto della festa, l’Ardia sullo sfondo, meno trionfale anche quella, più “ordinaria“, appunto, in qualche modo consueta nelle figure non eroiche che vengono proposte.
Nella fiera turistica che la insidia ogni anno di più, minandola dall’interno, Pintore scopre, con quella che sembra anche una umiltà di approccio, una ricchezza perdurante della festa di San Costantino, una sua complessità, l’arcaico del raduno e dei movimenti di folla, della devozione religiosa di moltissimi fedeli indifferenti all’Ardia, la forza del luogo anche nella ….solitudine dei 364 giorni di un anno.
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