Visitando la desolata distesa di cenere vesuviana che aveva seppellito Pompei, il poeta romano Publio Papinio Stazio (40-96 d.C.), nel Libro III della sua opera Silvae, si chiedeva se mai le generazioni future avrebbero potuto credere che sotto quel manto di polvere e detriti un tempo era vissuta una intera civiltà le cui tracce erano ormai andate perdute.
Il territorio di Bannari (Villa Verde), “si parva licet componere magnis”, può sgranare diversi numeri dai quali sembra legittimo trarre alcune letture non campate per aria.
L’ossidiana. È il vero fattore trainante della vita sociale nel territorio che gravita attorno al monte Arci, unico giacimento, in Sardegna, del prezioso “oro nero”, del quale i nostri avi preistorici “marmiddesus” furono “attivissimi esportatori, sicuramente per oltre mille anni, a partire dal quarto millennio avanti Cristo” (G. Lilliu, La civiltà dei sardi, pp. 19-21). Per l’ossidiana “questa montagna, nella lontana preistoria, è stata il più importante centro di attrazione e fonte di benessere per la Sardegna” (C. Puxeddu, Diocesi di Ales-Usellus-Terralba, p. 73). Questo dà ragione dell’importante densità nuragica lungo il settore pedemontano sud-orientale di questa montagna, perché, ovviamente, l’ossidiana implica più frequentazione umana, maggiore movimentazione collettiva, più vie di comunicazione, più interscambi anche oltre mare per commerciare il prodotto (l’ossidiana del monte Arci è stata trovata nelle coste della Toscana, in Liguria, nelle coste mediterranee della Francia e della Spagna…); di conseguenza, anche maggior benessere sociale.
Nelle campagne di scavi (al 2017 siamo alla quinta, appena iniziata) effettuati nel villaggio nuragico su Brunk’e s’Omu di Villa Verde, sono stati trovati vari oggetti in bronzo; da dove proviene questo bronzo, se a Villa Verde non esiste né il rame né lo stagno per fare questa lega metallica? Necessariamente gli abitanti di Brunk’e s’Omu si sono relazionati con popolazioni esterne al loro contesto esistenziale; quegli abitanti della montagna arcina, sicuramente hanno viaggiato anche lontano, o persone di fuori hanno portato qui il bronzo. Da notare: la densità di edifici nuragici del territorio di Bannari è la più alta in rapporto alle zone viciniori: Morgongiori 0,11 per Km/q, Pau 0,213, Usellus 0,341, Baini 0,576; qui i nuraghi sembrano edificati secondo un piano strategico, sulle alture, quasi a monitorare e difendere tutto il territorio vallivo. Il Casalis, nel suo famoso Dizionario geografico, storico, statistico della Sardegna, ne enumera circa una ventina. Calcolando una presenza minimale per ogni nuraghe di dieci-venti individui, si potrebbe calcolare una popolazione dalle duecento alle trecento persone. Un’attenta lettura della valle ci restituisce un comprensorio omogeneo, attivo e vivace, che dà l’impressione di un piccolo regno gravitante sul centro nuragico preminente di Brunk’e s’Omu.
Il periodo preistorico-ossidianico-muragico si salda senza soluzione di continuità con quello successivo della dominazione romana. Tante tracce di romanità, rappresentate da reperti vari e monete (particolarmente quella dell’imperatore Salvius Otho del 58 dopo Cristo trovata nelle campagne di Villa Verde), da tratti significativi di percorso viario (come la deviazione per compendium, nella foto) segnalata da storici e archeologi, che lungo un percorso pedemontano dell’Arci sud-orientale, portava da Usellus a Neapolis e a Tarros), percorsi che incrociano in pieno il comprensorio bainese. Soprattutto Roma lascia in Marmilla le tracce di un arrivo precoce del cristianesimo. Data la vicinanza della strategica Colonia Iulia Augusta Uselis, sulla quale da sempre il demos villaverdino gravita, è più che logico affermare un arrivo del cristianesimo in zona già dai primi anni della sua presenza a Roma, arrivo testimoniato inequivocabilmente dai titoli primordiali delle varie parrocchie circonvicine, tutte di santi martiri del III – IV secolo e, a Baini, dal particolare devozionale esclusivamente bizantino, di venerare la Vergine Maria “dormiente” (G. Pinna, Il culto dell’Assunzione in Sardegna).
Finito il periodo del dominio romano bizantino inizia gradualmente anche a Bannari il nuovo assetto che prende avvio durante il millennio medioevale.
Nel 1341 Bannari è già organizzata come parrocchia, perché – come risulta dai Quinque Libri dell’Archivio diocesano – essa ha un vicario parrocchiale di nome Petrus Cadau, “rettore di S. Giorgio di Pau e di Santa Maria di Bannari”. Una parrocchia che ha la forza contributiva di pagare le decime (vedi Rationes decimarum Italiae) e di inviare propri cittadini in rappresentanza ufficiale, come avverrà, di fatto, il 24 gennaio del 1388, quando “Pedro Melone, majore ville Bannari, Margiano Porquedu jurato ville Bannari e Galluro ville Bannari”, figurano a Cagliari tra i firmatari del trattato di pace tra Eleonora e il re d’Aragona.
“Nel censimento del 1589 a Bannari vennero rilevati 87 nuclei familiari, o fuochi; calcolando una media minima di quattro persone per ciascuno di essi, risulta una popolazione di 348 abitanti. Bisogna tenere presente che dal computo erano escluse le famiglie più indigenti, di conseguenza la popolazione effettiva doveva essere ancora più numerosa. Nel 1589 Bannari era il centro più popoloso dell’intera curatoria di Parte Usellus, la quale complessivamente contava 566 fuochi; dopo Bannari (87), il numero maggiore di nuclei familiari venne censito a Gonnosnò 85 fuochi, e ad Ales 77″ (A. Aveni Cirino). In altre parole, nel 1589 Bannari era il paese più importante del territorio.
“Il 30 luglio del 1744, il re di Sardegna Carlo Emanuele III, dispone il sequestro dei beni posseduti nell’Isola dai feudatari iberici, tra i quali Gioacchino Català, marchese di Quirra, di cui Bannari faceva parte. L’atto di confisca viene notificato al maggiore di giustizia bannarese, Leonardo Mely, a cui era affidato il compito di mantenere l’ordine pubblico nella villa e di esigere i tributi feudali. Il sindaco è Juan Sanna, momentaneamente assente. Alle otto del mattino del 17 ottobre, i vassalli ascoltano l’atto che dispone la confisca della villa, radunati nella ‘plaza de Mayor’, il ‘lugar acostumbrado’, cioè il luogo dove solitamente si tengono le assemblee della comunità, nel quale sono stati convocati, pena l’ammenda di 25 soldi. Alla fine della lettura, eseguita in lingua sarda, tutti si dichiarano pronti ad osservare quanto disposto dall’ordinanza, riconoscendosi vassalli del re, e prestano il relativo giuramento. Di tutti i presenti, solo due, Domingo Esquirru e mestre Joseph Cadau, forse gli unici in grado di leggere e scrivere, appongono la loro firma in calce al documento.
“A questo punto la commissione governativa si reca a Cùccur’e Funtãa (piccolo rilievo a nord del paese), per poter abbracciare con lo sguardo dall’alto ’saltos, montes, prados, fuentes y rios’ di pertinenza della villa, e dichiarare di prenderne possesso in nome del re. Rientrati nella villa i commissari si recano presso la casa del maggiore di giustizia dove prendono in consegna la chiave del ‘sipo que sirve de càrsel’, il ceppo a cui, in mancanza di un vero e proprio carcere, vengono incatenati i detenuti.
“La commissione, dopo averne ricevuto il giuramento di fedeltà al re, conferma nelle loro cariche il maggiore di giustizia, suo vice, Pedro Escano, ed i giurati Felice Acey, Antioco Melony, Antonio Aquas, Dionisio Escano, Moncerrat Esquirru e Diego Salis”.
Finisce così, il 17 ottobre 1744, in su Cuccur’e Funtãa, la preistoria e la storia antica di Villa Verde, e prende inizio quella moderna.