di Marcello Atzeni
Venerdì notte duemila persone hanno assistito al concerto , gratuito, della Pfm (rientrava nel programma per i festeggiamenti di San Pietro apostolo). Oltre due ore durante le quali, la band numero uno del progressive rock italiano, ha riscaldato gli spettatori con una coperta di note . Cappelli e giubbotti non bastavano in questa strana estate. Se non altro, le nuvole, che vanno e vengono, questa volta non si sono fermate con la loro voglia di pioggia sul cielo sopra Terralba.
C’era anche Fabrizio , in qualche modo. E’ “colpa” sua se il cielo era aperto come i cuori della gente.
Concerto previsto alle 22, invece Franz Di Cioccio e compagnia cantante, salgono sul palco, “solo” alle 22.02.
Capelli lunghi con strisce di capelli grigi, tenuti a freno da una fascetta blu a pois bianchi, maglietta nera sulla quale compare la scritta “ Randagio” sul davanti e dietro, le orme di un cane.
Che come lui ha percorso mezzo secolo della musica nostrana. Ovvio che le bacchette le avesse infilate sui jeans , pronte a “massacrarle” sulla batteria, divisa ora con Roberto Gualdi. Sul palco Marco Sfogli, chitarra elettrica e tastiere aggiuntive, quelle ufficiali le comanda Alessandro Scaglione, anche voce da tenore , Alberto Bravin, chitarra acustica /voce. “ Completano” la formazione Lucio Fabbri , violino e Patrick Djivas, basso.
Lucio “Violino” e il francese, sono arrugginiti come ragazzi di vent’anni. Di Cioccio è ancora fisicamente ben messo, ma doppiati isettant’anni , salta un po’ meno. Poco male ,il grillo abruzzese, cresciuto in Lombardia, è sempre un trascinatore. I primi pezzi arrivano dal trapassato remoto, come “ La carrozza di Hans”, che però corre ancora come un tgv. E corrono anche le dita di Djivas, che si presenta sul palco con una bandana che ricorda un po’ Little Stevens. “ Impressioni di settembre” scritta da Mogol e Mussida è un distillato di storia della musica: basti pensare che la Pfm, in quegli anni lontani, iniziò a sperimentare il “moog”, il padre di tutti i sintetizzatori. “ Quante gocce di rugiada attorno a me..” e le gocce cadono dagli occhi dei ragazzi di ieri. Di Cioccio, si vede, non fa il buonista quando dice che ora “suoniamo per voi e apriamo una finestra per Fabrizio”.
Dalla quale si vede e si sente ancora l’aria intrappolata nel doppio album di fine anni settanta, quando la miglior band italiana e il più grande cantautore, s’incontrano( in realtà si conobbero nel 1970 per registrare “ La buona novella”, ma loro si chiamavano “ I quelli” ). “Andrea” apre la strada per “ Un giudice” e “ Volta la carta” chiude la trilogia deandrana. Il violino di Lucio è animato dalle energie di tutti coloro che hanno il “muso” a due metri dal palco. Si continua con “Maestro della voce”, omaggio al grande Demetrio Stratos, voce degli “ Area”. L’intro di Djivas è infinita e bellissima. Lo stesso bassista parla, poi, dell’esperimento ben riuscito, di aggiungere alla musica classica, gli strumenti moderni. Sul palco non ci sono fagotti, contrabassi e quant’altro( li trovate nel cd “Pfmclassic “). Un assaggio di Prokofiev, “ Romeo e Giulietta” da” La danza dei cavalieri” , rende l’idea che trattasi di mix vincente. Di Cioccio riappare come un “ Randagio” e riapre la finestra su Fabrizio. Scherza: “ Ce n’eravamo dimenticata una”. “ Il pescatore” travolge tutti.
Si chiude con una chilometrica versione di “ E’ festa” ( Celebration”). Che sfondò in America.
Unico rammarico, non piccolo, aver saltato a piè pari, i pezzi degli anni settanta-ottanta.
“ Come ti va”, “ Chi ha paura della notte” e “ Volo a vela”, non avrebbero sfigurato. Ma due ore e sei minuti di concerto non sono pochi.