di Ignazio Dessì
Tutti i media hanno messo in evidenza il ritorno alla libertà di Matteo Boe, l’ex primula rossa del banditismo sardo, l’uomo dagli occhi di ghiaccio condannato a 30 anni per i sequestri di Sara Nicoli, figlia di un industriale, dell’imprenditore romano Giulio De Angelis e – nel 1992 – del piccolo Farouk Kassam, strappato a 7 anni ai genitori nella villa di Porto Cervo (in Sardegna) dove il padre Fateh era proprietario di un albergo.
Farouk, sequestrato a gennaio, fu liberato a luglio con l’intermediazione – si dice – di Graziano Mesina, altro famigerato ex bandito sardo. Quella del sequestro fu un’esperienza tremenda per il piccolo Kassam, al quale fu anche tagliato un pezzo della parte superiore del padiglione auricolare sinistro. Ma che fine ha fatto quel bambino? Dove sta ora e cosa fa? Com’è diventato? Cosa pensa della liberazione anticipata del suo “aguzzino” che comunque ha scontato 25 anni di carcere? Cosa pensa Farouk della liberazione di Boe?
Per adesso l’ex bambino rapito, diventato un uomo, vuol tenere per sé qualsiasi commento, serbare nella propria sfera intima ogni sentimento. Sul profilo Facebook dell’ormai 33enne Farouk, che adesso si trova a Vancouver in Canada, campeggia un post molto chiaro. “Buongiorno a tutti! – dice – In tanti mi avete chiesto un parere o un commento sull’imminente liberazione di Matteo Boe (come appreso dai giornali). Tuttavia abbiamo deciso che per il momento non sia il caso di rilasciare alcuna dichiarazione. Un caro saluto a tutti. Farouk”.
La sua vita si è svolta finora tra l’Italia, la Francia, gli Usa e il Canada, senza dimenticare la Sardegna che afferma di amare sempre molto e di considerare casa sua. Dopo cinque anni trascorsi negli Stati Uniti per studiare Business Administration, ha fatto l’account perGroupon. Si è inoltre dedicato all’attività di famiglia. Poi, negli ultimi anni, si è trasferito inCanada, nella città dove è nato nel 1984. Il ricordo di quanto accadde nel ’92 non l’ha mai abbandonato. Inevitabilmente. Tre uomini legarono suo padre e sua madre, chiusero la sua sorellina Nour in un armadio e lo portarono via mentre urlava “lasciatemi, voglio restare con il mio papà”.
“Quella sera – ha avuto modo di rammentare sui media – stavo, come sempre, cenando a casa assieme a mia sorella ed ai miei genitori. Terminata la cena i miei ci dissero che era arrivata l’ora di andare a dormire e così io e Nour salimmo in camera dove mi misi il pigiama”. Poi arrivarono quegli uomini. I rapitori chiesero 10 miliardi delle vecchie lire per rilasciarlo, ma i genitori di Farouk non potevano pagare quella cifra. Si diceva che i Kassam fossero parenti dell’Aga Kahn, ma non era così. Farouk fu tenuto prigioniero in una grotta, patì il freddo e la fame. E aveva solo 7 anni.
Per costringerli al pagamento del riscatto mandarono ai genitori anche un lembo dell’orecchio del bambino. Un pezzetto del loro figlio. La loro angoscia cresceva. Le trattative sembravano non portare a una soluzione del caso e Fateh con la moglie facevano di tutto per liberare il piccolo. Affidandosi agli inquirenti e cercando la solidarietà della gente. Come quando la mamma di Farouk si recò nella chiesa di Orgosolo e – con l’assenso del parroco – si rivolse alle donne del luogo. “Ho scelto di rivolgermi a voi per la vostra generosità, e ospitalità, perché siete persone di cuore – disse appellandosi alla loro comprensione – A tutte le mamme lancio il mio grido, so che voi potete capirmi. Abbiamo portato i nostri figli in grembo per nove lunghi mesi, li abbiamo amati, coccolati, curati per giorni e notti, gli abbiamo dato il meglio di noi e poi un giorno, nella mia casa, sono entrati degli sconosciuti e si sono portati via il mio bambino. Nessuna lacrima, nessun grido, solo la voce angosciata di un bambino che dice “ma io voglio stare col mio papà”.
“Alla fine della messa – ricorda Marion Bleriot Kassam in una intervista a La donna sarda – tutte le donne presenti si avvicinarono e come in una processione mi baciarono, una per una”. Forse non fu quello a determinare la svolta, o forse “contribuì sicuramente”, come sostiene la mamma di Farouk, fatto sta che “dopo pochi giorni, si fece vivo Graziano Mesina e chiese un incontro con la famiglia Kassam”. Difficile capire cosa accadde davvero. Quali componenti furono davvero determinanti. Comunque l’11 luglio il bambino fu lasciato libero dopo 177 giorni, nei quali mangiò poco e non si lavò, tanto che i vestiti non gli si staccavano di dosso, come sostengono le cronache dell’epoca.
Enormi i danni psicologici e le difficoltà a ritornare alla vita normale. “Ci sono voluti molti anni per ritrovare la serenità e anche quando pensavo di averla trovata mi sbagliavo”, racconta Farouk sui media a distanza di anni. “Ho studiato Economia a Roma e poi International Trade and Commerce alla UCLA di Los Angeles e credo che la mia vita in America mi abbia aiutato moltissimo; lì ero lontano quattordici ore di aereo dalla mia famiglia, che mi ha sempre protetto per anni, e dai miei più cari amici, là non ero il ?piccolo Farouk? ma un ragazzo qualsiasi perché il mio nome non diceva nulla a nessuno”.
Di nazionalità belga (il padre Fateh è belga di origine indiana), nato a Vancouver da mamma francese (Marion Bleriot Kassam), parla tre lingue ed ha fatto esperienze in molte parti del mondo. Per questo confessa di “sentirsi un po’ internazionale”. Ma l’Italia e la Sardegna (“la sua casa”) gli sono sempre rimaste nel cuore e ci torna sempre volentieri, ogni volta che può.
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Io credo che sia da incoscienti fare domande a questo ragazzo che avrà nel suo cuore sempre quei tristi ricordi,Auguri Farouk
Buona fortuna farouk , ti chiedo scusa per il male causato da alcuni Sardi poco onesti !!!
bisogna rispettare le idee degli altri