SUONI DI UNA SAPIENZA MILLENARIA: GLI STRUMENTI MUSICALI SARDI NEL LIBRO DI GIAN NICOLA SPANU PRESENTATO AL CIRCOLO SARDO DI MILANO

ph: Gian Nicola Spanu e Giovanni Cervo


di Sergio Portas

Gian Nicola Spanu, Oristano 1961 recitano le biografie su internet, fa di mestiere l’etno-organologo, studia e classifica gli strumenti musicali tipici di un popolo, e sabato 22 aprile è qui a Milano, ospite del locale Circolo culturale sardo, per presentare un suo monumentale volume ( ILISSO editore 2014) che titola: Strumenti e suoni nella Musica Sarda”. Ad accompagnarlo anche un video-documentario di Chiara Solinas (Università di Sassari). Nel sentirlo argomentare della sua materia si intuisce che la fascinazione che lo deve aver colpito sin dalla tenera età per Euterpe (in greco: colei che rallegra), la musa figlia di Zeus e Mnemosine che si occupa di musica e poesia lirica, non si sia mai sopita, anzi. Ne fa fede il suo “curriculum vitae” che lo dice laureato sì in lettere ma con una tesi di argomento musicologico, e il proseguo dei suoi studi al Conservatorio di Cagliari, composizione con il maestro Franco Oppo, che gli studi di semiologia musicale, musica etnica, teoria generale del linguaggio musicale  fanno uno dei “classici” del novecento (è venuto a mancare il gennaio dello scorso anno). Dopo è tutto un insegnare materie che con la musica hanno attinenza (Storia ed Estetica Musicale, Sociologia musicale, Storia delle musiche d’uso, Forme della poesia per la musica) a Cagliari, Novara, Sassari, qui come professore a contratto all’università Storia della Musica Moderna e Contemporanea, e al Conservatorio Etnomusicologia.

Al Conservatorio sassarino rimane legato, coordina il dipartimento di Didattica della musica e, tra le altre cose, da dieci anni cura la progettazione grafica e coordina la stampa dei manifesti, dei depliant e vari opuscoli realizzati dal Conservatorio. Nel frattempo (come farà a trovarlo il tempo davvero è mistero) scrive e pubblica, saggi ovviamente musicologici in vari periodici specializzati italiani e stranieri ( Rivista Musicale Italiana, Anuario Musical, Revista Espanola de Musicologia). Ha progettato e curato l’edizione del volume Sonos, Strumenti della musica popolare sarda (Nuoro 1994). I volumi su Cristobal Galan e la vita musicale a Cagliari nel seicento ( Nuoro 1966). Nella poderosa “Storia della Musica” di Roberto Favaro e Luigi Pestalozza (Warner Bros- Carish, Milano 2000) ha firmato la parte relativa al periodo compreso fra i primi secoli dell’era cristiana e il Seicento. Collabora con la Rai, sede regionale per la Sardegna, dal 1988 firmando oltre 400 trasmissioni radiofoniche e televisive e due sceneggiati radiofonici. Col regista Gianfranco Cabiddu e il linguista Giulio Paulis è nel progetto Archivi Sonori, finalizzato alla documentazione di tutte le varianti locali del sardo e della cultura materiale dell’isola. In Terras e andalas (progetto della Regione Sardegna) che prevede la produzione di un consistente numero di opuscoli, guide documentari e altro materiale informativo che riguardi la storia e i beni culturali dell’isola. Insomma è un intellettuale a tutto tondo che fa della musica e dell’amore per la sua terra il “leitmotive” della sua vita. Un vero e proprio mago capace di incantare la platea con storie una più fantastica dell’altra, questi strumenti concreti rimandano a saperi, intelligenze, metodologie di vivere la festa, la vita stessa: la musica che si fa materia. E gli strumenti musicali sardi che dicono, suonano, cantano di una sapienza millenaria. Il volume stesso, con CD accluso, è un’opera magnifica da guardare, leggere e ascoltare. E’ comunque un’opera rigorosamente scientifica, gli strumenti vengono catalogati seguendo una tassonomia ben precisa: 4 le sezioni: gli Aerofani, i Membranofoni, i Cordofoni e gli Idiofani, e poi gli strumenti della festa, del carnevale, della settimana santa, dell’infanzia. Particolare è l’interesse riservato al paesaggio sonoro quotidiano. Non facciamo davvero fatica a immaginare quale fosse l’universo sonoro di un Gavino Ledda, pastore di pecore a dieci anni nelle colline del Meilogu di Sedilo: il belare degli agnelli, il tintinnio dei campanacci, l’abbaiare dei cani, il vento che fischia tra i corbezzoli, forse e non sempre il grido stridente dell’astore in picchiata. Lo strumento musicale sardo per eccellenza: naturalmente le launeddas: tumbu, mankosa e mancosedda per un “cunzertu” diverso uno dall’altro, quindi ogni strumento con repertorio proprio. “Sonai a iscala”, in crescendo, diceva Aurelio Porcu, grande interprete del Serrabus, è “come il Flumendosa”, un maestoso affluire. Le launeddas, lo possiamo dire, sono roba campidanesa, nel filmato della Solinas accompagnano un ballo a coppie di Assemini, in cui ognuna delle coppie ha un suo passo particolare, e poi a san Salvatore di Sinis, il giorno dopo che il Santo viene portato dagli “scalzi” in veste bianca, per le strade terrose che uniscono Cabras al mare, accompagnano i “goggius” in chiesa, per una festa tutta paesana, con pochissimi turisti presenti, niente a che vedere con la Sartiglia oristanese. Il termine “launeddas” era conosciuto ai “colti” fin dal 1724. Anche se di strumenti “a canne” abbiamo menzione fin dai bronzetti nuragici (famoso l’itifallico di Ittiri), per i più recenti è più difficile la datazione della loro nascita “sarda”. L’”organette”, pare inventato nel’29, brevettato nella sua forma italiana nel ’63, è conosciuto in quel di Nuoro fin dal 1894, Grazia Deledda, da giovane cronista ne scrive in “Tradizioni popolari di Nuoro”: “i giovani lo amano, i massaios ( i vecchi) lo disprezzano. Oggi ha rimpiazzato le launeddas nelle rappresentazioni di “ballu sardu” che vengono apparecchiate ai turisti di bocca buona. Assieme al suono della fisarmonica. Su “sonette a bucca”, il sonetto inventato nel 1821, è oramai entrato nel novero degli strumenti isolani e numerosi sono i virtuosi il cui nome va giustamente di bocca in bocca ( sul video impazza Michelino Carta ad Assemini). “Sa trunfa”, lo scacciapensieri, ha la forma di una tenaglia aperta, può essere di ferro, d’acciaio, di rame e persino d’argento. Al centro è fissa una sottile lama d’acciaio la cui punta ricurva passa tra i rebbi della tenaglia. Si suona tenendo fermo lo strumento tra i denti, il suono è quello di un reggimento di calabroni impazziti. Per fare rumore senza musica scritta e passare obbligatoriamente da conservatori vari è perfetto l’”affluentu”, un piatto in rame lavorato a sbalzo che viene suonato con una chiave. La “ghitarra” pare abbia origine araba, comunque sia se passate da Tuili fate un salto alla chiesa di San Pietro, vi è un capolavoro del rinascimento sardo: un retablo che si trova nella prima cappella a destra per chi entra dalla porta principale, alto più di cinque metri e largo più di tre, datato 1500: il retablo del Maestro di Castelsardo, a sinistra di chi guarda, sotto la Vergine col divino Bambino, sopra una Crocifissione, un Angelo sardo suona già allora una chitarra. Nell’immaginario musicale sardo hanno posto particolare le “campanas”; nel filmato si vedono i Thurpos di Orotelli, di nero incappucciati e con le facce scurate dal nerofumo, le campane portate a tracolla suonano a ritmo loro imposto da fantocci ubriachi. Se volete assistere ad un carnevale anarchico, in cui ognuno fa un caos organizzato e non “recita” che per se stesso, andate al carnevale di Gavoi. Dove strumento principe è “su tumburinu”, un cilindro di legno alto venti centimetri e largo quaranta, sui cui lati vengono cucite due pelli di animale ripiegate su cui fanno leva i tiranti di una funicella, a perquotere delle bacchette di legno (mazzuccos). E se volete vedere una serie impressionante di “flautu ‘e canna” andate ad Ales, al museo del giocattolo, che ha finalmente riaperto nell’aprile scorso. Troverete anche “sulittus” e “pipiolus”, pipiolu ‘e linna (costruito con legno di sambuco) e pipiolu ‘e canna. Anticamente esisteva anche “su pipiolu ‘e ossu” ricavato da uno stinco d’agnello opportunamente forato. Nel paesaggio sonoro sardo immancabili sono i “sonazzos” delle pecore, il loro suono più acuto d’estate quando sono tosate e il vello non può attutirne lo scampanio festoso. I vari campanacci debbono essere intonati fra di loro, che il gregge deve sentire il suono che lo contraddistingue, in modo che anche nelle notti più illuni, quando siano pure cento gli ovini che vengano a confondersi nel buio, ogni pecora sappia districarsi dalla ressa belante e vada a seguire il suono delle sorelle che la precedono. E  a questo punto Gian Nicola Spanu non può esimersi dall’invettiva contro il suono robotizzante delle pale eoliche dei mulini a vento che inquinano il paesaggio sonoro sardo. Come non dargli ragione? E come dargli torto quando dice dell’amarezza che prova nel constatare l’annosa chiusura del museo di strumenti musicali di Tuili. L’etnografico di Nuoro può solo supplire. A ricordarci di una ricchezza passata l’altrieri, quando un popolo povero sapeva onorare i giorni della festa con lo scampanio dei suoi campanili, le launeddas di canna facevano ballare tutto un paese, i ragazzini il venerdì santo riempivano i vicoli col lamento delle raganelle.

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